Findus, Ikea, adesso Star. Chi si è fidato delle multinazionali peste lo colga. Oggi in prima pagina sul Mattino ci abbiamo riso un po’ su. Per non arrabbiarci troppo. Con questa lettura chiudiamo la giornata:-)
«Solo carne scelta, è il vero segreto del ragù Star». Così recita uno dei tanti slogan usati negli spot e da ieri finalmente il mistero è stato svelato a tutti gli italiani, soprattutto ai napoletani impegnati da decenni a discutere: locena o prosciutto? Maiale o manzo? Oppure tutti e due? E le salsicce sì o no?
Niente di tutto questo amici golosi, il vero segreto del Gran ragù Star era, è, un pizzico di carne di cavallo. Cavolo, come non averci pensato prima?
Diciamo la verità: comprare un ragù già pronto è di per se un non senso perché questa preparazione nella tradizione napoletana è sinonimo di attesa, pazienza, rispetto, rito familiare. Ma anche quello alla bolognese, il modello di gusto imposto dalla multinazionale a partire dagli anni ’60, esige i suoi bei tempi lunghi.
Sì sa, la grande industria è fatta così: non entra nei particolari, fa studiare il gusto medio e propone il proprio prodotto regalando a buon prezzo i sogni giusti ai consumatori. In fondo, perché alzarsi nel cuore della notte per riaccendere il ragù che ha già peppiato il giorno prima? Basta allungare la mano sullo scaffale del supermercato e il gioco è fatto in pochi minuti. A volte anche con la pasta dentro.
Ancora oggi il ragù meridionale è ovunque ispirato al modello napoletano con le sue varianti.
Nelle Murge troverete anche quello d’asino, nell’Agro Vesuviano viene aggiunto il salsiccione o pezzentella, nelle aree interne spunta quello di agnello e di cinghiale per palati forti svezzati prima dell’avvento degli omogeneizzati.
Ma solo in città si è raggiunto un sapiente equilibrio tra l’uso delle diverse carni, il dolce del maiale a bilanciare l’amarognolo della brasciola di manzo fatta con la locena (ossia la carne ricavata tra petto e clavicola dell’animale). E poi l’uso del pelato piuttosto che del concentrato, del lardo o quello più moderno e per alcuni sacrilego dell’olio: in ogni famiglia c’è uno stile e il migliore di tutti, come diceva Eduardo che l’ha reso famoso in tutta Italia, è sempre quello di mammà.
Detto questo, sinora nessuno, almeno a Napoli, aveva pensato al cavallo, una carne troppo magra, come quella di bufalo. Magra, forse, ma assolutamente conveniente.
Tanto conveniente da finire nelle lasagne delle Findus in mezza Europa, un po’ nelle polpette Ikea e adesso anche nel Gran Ragù Star. Certo, la carne di cavallo non fa male, nel Materano e in Puglia è ancora molto diffuso il consumo, qualche decennio fa i medici la consigliavano ai bambini un po’ anemici.
Dobbiamo «ringraziare» allora la grande industria per questa intuizione, per la prima volta supera la creatività della cucina di casa e dei cuochi. Se non fosse per due piccoli particolari non di poco conto: primo, in etichetta non è dichiarata e questa si chiamerebbe truffa, secondo, non sappiamo nulla di questi cavalli. Già, perché una cosa è un bel puledrino che scorazza vicino a Castel del Monte, ben altra uno che ha vissuto dopato perché era impegnato nelle corse.
Ma che dire, in fondo, basta un po’ di buon senso per stare lontano da certi prodotti. Al primo cucchiaio di prova ci sarebbe venuto in mente l’ultimo versetto della poesia di Eduardo: «Ragù? Uè, Star M’ ‘a faje dicere na parola? Chesta è carne c”a pummarola».
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