di Simona Paparatto
Una storia avvincente di determinazione e coraggio, di audacia e perseveranza, i cui protagonisti, i marchesi Incisa della Rocchetta, hanno saputo sfidare tenacemente il destino, trasformando un territorio dimenticato da Dio e non certo (si credeva) adatto alla vite, in un’eccellenza enologica.
Maremma, terra toscana amata dai più grandi poeti del mondo come Dante, ma anche Giosuè Carducci, che nella sua “Davanti San Guido” descrive così questo piccolo lembo di terra, unico e straordinario: “I cipressi che a Bolgheri alti e schietti, van da San Guido, in duplice filar… Intorno, intorno, tutto è silenzio nell’ardente pian. O siediti alle nostre ombre, odorate, ove soffia dal mare il maestrale… Vedi come pacato e azzurro è il mare, come ridente a lui discende il sol! A notte canteranno i rusignoli…Che de le grandi querce a l’ombra stan ammusando i cavalli… ti canteremo noi cipressi i cori che vanno eterni fra la terra e il cielo: da quegli olmi le ninfe usciran fuori te ventilando co ‘l lor bianco velo; E quello che cercai mattina e sera tanti e tanti anni in vano, è forse qui, sotto questi cipressi…”
Il riferimento è a Bolgheri, che tra splendide colline ed il littorale tirrenico, diventa il palcoscenico di questa epopea.
Tutto inizia nel 1930 con il matrimonio tra il marchese Mario Incisa della Rocchetta, nobile piemontese di Rocchetta Tanaro e la contessa Clarice della Gherardesca, appartenente all’omonima e illustre famiglia pisana, che porta in dote Tenuta San Guido, oltre a 2500 ettari di terre (attualmente la superficie vitata è di circa 100 ettari), dove gli sposi decidono di trasferirsi, poiché nonostante zona umida, paludosa e poco accogliente, attira il consenso di Mario, da sempre sensibile alla natura incontaminata e selvaggia.
Originario di Asti, il marchese Incisa ama i vini di alta qualità, ma in un dopoguerra in cui il mercato non ha pressoché nulla da offrire ed anche le importazioni dalla Francia sono quasi inesistenti (ad eccezione degli straordinari bordeaux dell’amico barone di Rothschild), ha l’idea di sperimentare quelle uve internazionali che nella Francia delle Graves, donano risultati eccellenti: Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, qui trovano largo spazio d’espressione. Il marchese nota, infatti, una sorprendente similitudine tra le terre della tenuta di Clarice, chiamate Sassicaia (per via di quel suolo sassoso, ghiaioso, ciottoloso, misto ad argilla, che le caratterizza) e quelle dei prestigiosi vigneti francesi di Bordeaux, ed ispirato da questa scoperta, concepisce l’audace idea di produrre un vino capace di catturare l’essenza di terre tanto generose, con differenti altitudini (dagli 80 ai 400 m slm), ottimo irraggiamento solare e microclima particolare, anzi, unico. Da questo momento si insinua in lui il seme di un’avventura destinata a trasformare il panorama vinicolo italiano e a scrivere un capitolo indimenticabile nella storia dell’enologia mondiale.
Ma facciamo un passo indietro.
Negli anni Venti, il marchese Incisa assaggia un vino prodotto dai duchi Salviati Migliarino di Pisano, che gli ricorda incredibilmente uno Chateau Margaux del 1924 bevuto a casa del nonno Chigi, prefiggendosi di farne uno con le stesse caratteristiche sensoriali.
Nel 1944, acquisisce alcune barbatelle di Cabernet Sauvignon proprio dagli amici duchi Salviati, per piantarle nella zona di Castiglioncello, una collina sopra Bolgheri, ventilata, poiché accarezzata dalla fresca brezza di ponente (anche se circolano voci che parlano di un possibile acquisto dal barone di Rothschild).
Inizia a produrre il vino della Sassicaia dal 1948.
I primi anni sono un vero e proprio viaggio nell’ignoto, con una cantina rudimentale e risultati deludenti: marcatamente tannico e spigoloso, il vino non convince affatto, ma Mario è comunque determinato a difendere il suo sogno.
Nel 1962, è coadiuvato dal nipote Carlo Guerrieri Gonzaga, giovane enologo che diventerà il noto proprietario della rinomata tenuta trentina San Leonardo. Comincia ad adottare tecniche drastiche per l’epoca, decisamente controcorrente, come potature severe e una forte riduzione della produzione per pianta, arrivando persino a 350 grammi per grappolo.
Nonostante nessuno lo incoraggi, egli non si arrende, anzi, persevera ancora.
Nella prima, vera vendemmia ufficiale, il 1968, il vino viene battezzato ufficialmente Sassicaia, una scelta che incarna l’essenza e la grandezza del territorio da cui proviene. La distintiva stella, stemma della famiglia Incisa della Rocchetta, caratterizza da subito l’etichetta. Le condizioni decisamente inappropriate della cantina, certamente non adatte ad una produzione professionale, non consentono di ottenere una singola annata, per cui, riuscendo ad ottenere circa tremila bottiglie, si devono unire vini provenienti dai raccolti del 1966 e del 1967, da gran parte del 1968 e persino da una minima parte di 1965 e 1969. A questo punto, sembra che il vino cominci a trasformarsi ed a piacere, dando risultati incoraggianti tanto cheFine modulo, assaggiato dalla critica internazionale, trova risposta immediata.
Il cugino Niccolò Antinori lo incita, dunque, a produrne maggiori quantità, non solo per uso familiare, ma per commercializzarlo, proponendogli accordi commerciali per la distribuzione proprio con la famiglia Antinori, attraverso una delle sue società, la BiGi di Orvieto (che negli anni successivi viene venduta al Gruppo Italiano Vini), aprendo le porte della cantina anche a Giacomo Tachis (1933-2016), giovane enologo di straordinario talento e visione: la sua influenza nel mondo del vino è rivoluzionaria, e il suo contributo fondamentale per la trasformazione e l’elevazione della viticoltura italiana.
Lavorando già con la famiglia Antinori, Tachis sfida le convenzioni del tempo, divenendo tra gli anni ’60 e ’70, un pioniere di nuove pratiche e tecniche di vinificazione in Italia, come l’introduzione di barrique di rovere francese per l’invecchiamento, quando il settore vinicolo italiano cerca di rinnovarsi e di competere a livello internazionale.
La sua collaborazione con alcune delle cantine più rilevanti del paese, e la sperimentazione di varietà di uve non tradizionali e metodi di vinificazione innovativi, lo porta ad aprire la strada ai cosiddetti supertuscan, vini toscani di grande prestigio, ottenuti senza o con pochissimo Sangiovese, utilizzando vitigni internazionali come Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc e Syrah (Tignanello, Sassicaia, Solaia, Le Pergole Torte, Masseto, Lupicaia, Brancaia, per citarne alcuni), vini iconici che portano un’innovazione che rivoluzionerà la produzione del vino, soprattutto in cantina, come succede a Tenuta San Guido, ove vi è un abbandono dei vecchi metodi semi-artigianali con una ventata di tecnologia che eleva il Sassicaia ai vertici del panorama mondiale.
Negli anni successivi, con l’ulteriore evolversi delle tecniche vinicole (è del 1972 l’introduzione delle barrique francesi), la fama del Sassicaia cresce fino ad arrivare ad essere un vino di riferimento. Dal 1969 al 1974, il Sassicaia viene distribuito saltando due annate (1969 e 1973), e la rete di vendita Antinori non sembra particolarmente convinta di questo vino. Tuttavia, è nel 1974 che si verifica un evento cruciale: il giovane critico enologico Gino Veronelli recensisce l’annata 1968 di Sassicaia nella sua rubrica su Panorama, definendolo “straordinario”. Questo contribuisce a dare al vino una visibilità e una reputazione sempre maggiori, ma è nel 1978 che ottiene il riconoscimento internazionale definitivo. A Londra, in una degustazione alla cieca dei 32 migliori Cabernet Sauvignon del mondo, Sassicaia 1972 emerge come il vincitore indiscusso, nonostante l’annata poco fortunata poiché molto piovosa: evento grazie al quale un vino italiano riesce a primeggiare su quelli provenienti da alcune delle più celebri tenute di Bordeaux e grazie al quale, il fenomeno Sassicaia diventa globale.
Nel 1978 la rivista Decanter chiede ad alcuni sommelier di eseguire una serie di degustazioni alla cieca: bene, questi individuano il migliore Cabernet del mondo, proprio nel Sassicaia e il critico americano Robert Parker, attribuisce per la prima volta il massimo voto ad un vino italiano, sul suo Wine Advocate, all’annata 1985.
Nel 1994, finalmente, la legislatura riconosce l’importanza del Sassicaia, introducendo nella DOC Bolgheri anche i vini rossi, prima esclusi. Nasce così la denominazione Bolgheri Superiore DOC Sassicaia, che ne sottolinea l’eccezionalità e l’unicità.
Dal 2013 il Sassicaia si stacca dalla DOC Bolgheri e acquisisce una DOC riferita esclusivamente alla terra della tenuta di San Guido, divenendo Bolgheri Sassicaia DOC: è la prima volta che una DOC è riferita ad una singola cantina.
Nicolò Incisa della Rocchetta, che prende il timone di Tenuta San Guido dopo la morte del padre Mario, nel 1983, continua a dirigere con passione e dedizione questa storica azienda. Egli ama ripetere che la famiglia Incisa ha dato al mondo un vero e proprio gioiello, conosciuto da tutti, anche da coloro che non hanno mai visto una vigna. Egli, coadiuvato abilmente dall’enologo Tachis, ha saputo portare Sassicaia 1985 ad impareggiabili traguardi, con uno stile ed una personalità unici e costanti nel tempo, complice un terroir ideale, tra mare e collina.
Priscilla, figlia di Nicolò, insieme ai cugini fa parte della terza generazione: una squadra affiatata, che rappresenta la continuità dell’azienda.
Le annate più prestigiose: 1977, prima annata ad ottenere grande riconoscimento all’estero; 1985, dopo trent’anni considerato dagli esperti non ancora maturo. (valore circa 3000€). Una bottiglia di questa annata è stata battuta all’asta di Sotheby’s a più di 18.000 $; 2009, che nel 2013 ha ricevuto l’Oscar del Vino; 2012 con 99/100 Wine Enthusiast; le eccellenti 2015 e 2016 (100/100 RP circa 500€).
Nell’anno 2000 nasce Guidalberto della Gherardesca, un Toscana IGT (Cabernet Sauvignon 60/70% e Merlot 30/40%, vinifica in acciaio e sosta almeno 15 mesi in barrique) di grande rilievo, in grado di affiancare Sassicaia, ma dalle caratteristiche più approcciabili e meno impegnative, che richiede affinamenti meno prolungati. Questo vino nasce dalla volontà di Nicolò Incisa di avvicinarsi anche al Merlot, utilizzando, peraltro, il medesimo Cabernet Sauvignon del Sassicaia. È un vino dal color rubino compatto, dai riflessi porpora, dotato di profumi di frutti rossi come more ed amarene, che spesso evolvono in spezie dolci come la cannella, insieme alla rinfrescante vena balsamica data da cardamomo e ginepro e da erbe aromatiche tipiche. Dal gusto pieno e rotondo, è dotato di grande avvolgenza del frutto, raggiungendo il perfetto equilibrio grazie a quella vigorosa componente fresco-sapida che lo caratterizza. Piacevolmente godibile anche in gioventù.
Nel 2002 è la volta de Le Difese Toscana IGT, con una percentuale di Sangiovese (8/12 mesi in barrique di secondo e terzo passaggio), il vino più immediato, quotidiano (se così si può dire, con un prezzo indicativo di 28/30 euro), dai profumi fruttati di piccoli frutti di bosco alternati a docili speziature. Vino mediamente complesso, di buon corpo, dal gusto caldo e fresco e da un tannino perfettamente integrato e piacevolmente sapido. Buono l’equilibrio delle sue componenti, buona persistenza e di facile beva: “vivace e serio”.
Sassicaia, che nel 2018 ha festeggiato i suoi primi 50 anni, ha certamente determinato la nascita di una zona vitivinicola nuova, ma è soprattutto un mito che va oltre il vino iconico: Mario Incisa ha creato, negli anni, l’oasi di Bolgheri, tra Bibbona marina e Castagneto Carducci marina, primo rifugio faunistico privato italiano, oggi affiliato al WWF, con diverse coltivazioni, adottando particolare attenzione alle biodiversità e con grandi varietà di specie animali, piante ed uccelli acquatici migratori. A Bolgheri, in accordo con Federico Tesio, leggendario allevatore di purosangue, Mario Incisa e la moglie Clarice hanno dato vita alla scuderia Razza Dormello Olgiata SpA (tra il Lago Maggiore di Como, Roma e Bolgheri), da cui proviene il grande cavallo Ribot (anche Donatello II e Nearco), campione di galoppo tra i più forti e noti di tutti i tempi ed in grado di sbalordire il mondo.
Tutto questo è sintetizzabile in una sola significativa parola: amore! Amore non inteso come sentimento, ma come volontà, pura volontà di realizzare un’idea, partendo dal territorio grezzo ed inviolato, che ha consentito di rilevare l’assoluta unicità dei vigneti di Tenuta San Guido, rispetto alle zone circostanti,.
Bolgheri Sassicaia DOC 2015 (Cabernet Sauvignon 85% – Cabernet Franc 15% Matura 24 mesi in barrique di rovere francese e almeno 6 mesi in bottiglia) Il Sassicaia (80/85% Cabernet Sauvignon e 15/20% Cabernet Franc; affina in barrique 18 mesi) RP 97/100 – WS 97/100 – WE 97/100 – JR 97/100
Il colore è rubino intenso. Imponente, sontuoso, dal ventaglio olfattivo ampio. I profumi spaziano dai frutti rossi di mora, cassis e mirtillo, all’arancia sanguinella ed alle spezie di cannella, pepe nero, rabarbaro, liquirizia, cacao, arricchite da decise tostature di caffè e tabacco e dal richiamo di macchia mediterranea e anche di resina.
Il tannino è docile, ma incisivo. Ottima la struttura. Estremamente elegante, armonico, emozionante, dal gusto raffinato, ma potente, dal finale incredibilmente lungo, balsamico, vibrante. Grande la potenzialità evolutiva.
Dai un'occhiata anche a:
- Dal maritozzo alla lepre: Il percorso sensoriale firmato da Chef Denis Nardin alla Tavernetta al Castello di Spessa (Go)
- Vini Rossi e Passito di L’Astore Masseria – Nuove annate
- I vini di Erste+Neue dal Südtirol alla Locanda Gesù Vecchio a Napoli
- Viaggio tra le vigne di Isole e Olena, cuore del Chianti Classico
- Dodici sfumature dell’Asprinio di Aversa Dop | L’evento del Consorzio Vitica alla Reggia di Caserta
- I vini dell’Alto Piemonte in trasferta a Milano, per una masterclass d’eccezione
- Cilento Fiano Vigna Castello di Rocca Cilento Dop 2020 – Verrone
- Antica Hirpinia, alle radici del Taurasi a Taurasi