Chiudiamo l’anno di fronte alle infinte soprese che ci può regalare il vino, anche quando meno ce lo aspettiamo. Una improvvisata di amici a casa in queste feste, tiro fuori questa bottiglia, ben custodita, di 12 anni fa di Fiano del Cilento, concepita dal produttore per essere bevuta nell’arco di uno, massimo due anni.
Il primo segnale positivo è laperfetta tenuta del tappo, ma lo stupero arriva quando lo versiamo nel bicchiere: colore giallo paglierino ancora vivo, naso in buona evoluzionedi frutta matura con rimandi funè, tono della beva fresco, freschissimo, con allungo finale piacevolmente amarognolo. Un vino di battaglia che riesce ad esprimersi alla grande sia pure figlio di una zona calda, siamo sulle colline di Agropoli nel Cilento e lavorato in acciaio.
Una segnale di forza spaventosa che questo vitigno riesce ad offrire anche fuori dall’Irpinia, come abbiao già avuto modo di verificare con il Pietraincantenata e il Kratos di Mafficini e alcuni vini di De Conciliis (Perella, Antece) e che deve spingere i produttori ad essere più ambiziosi, osare ci più. Capire che non è normale avere un bianco evoluto perfettamente dopo 12 anni e che questa potenzialità non è affatto comune, dunque è necessario iniziare a progettare anche qui bianchi di lunga durata. Ultimamente questo produttore ha introdotto un po’ di Chardonnay. Fermo restando che ognuno è padrone a casa sua, ma la domanda nasce spontanea: se hai già un fuoriclasse tutto tuo che ti può differenziare nel furibondo mercato globale del vino, perché fare un bianco che si produce in tutto il mondo e che non potraà mai raggiungere grandi prezzi?
Sono queste le inesperienze tipiche del Sud, l’idea di fare qualcosa di originale a tutti i costi quando la via è già tracciata, facile da seguire: valorizzare uno dei migliori vitigni autoctoni del mondo che ha dimostrato ormai di gradire anche le condizioni pedoclimatiche cilentane.
Che aspettiamo?
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