Trafitti e piegati dall’ennesima inutile ondata di un dibattito ciclico del web (vini naturali si-no, guide si-no, solfiti si-no, guru si-no, vitigni autoctoni si-no, barrique si-no) appassionante come un film porno visto cento volte o un dibattito Casini-Alfano, ci aggrappiamo esausti a questa boa di soccorso di Sara Carbone pubblicata su Vinix. Chi non la vede è perduto. Ma davvero.
Annata 2010: nessuna bottiglia prodotta delle nostre etichette più importanti di Aglianico del Vulture: 400 some e Stupor Mundi.
Questa è la notizia e dietro questa sofferta decisione ci sono alcune riflessioni.
Mi piace la gente che si appassiona, ma detesto avere di fronte chi cerca nel lavoro che facciamo la conferma o la smentita alle proprie idee preconcette sul vino. Fare il vino è un po’ più complesso che rispondere ai requisiti di poca solforosa o cemento al posto dell’acciaio o lieviti indigeni. Invece il mondo intorno al vino tende a dividere i produttori in buoni e cattivi, con delle semplificazioni a volte imbarazzanti, sia in senso positivo che negativo, creando fazioni da tifo sportivo sui temi triti e ritriti.
Nel percorso dalla vigna alla bottiglia ci sono fattori imponderabili e non controllabili, quelli che decide la natura, e ci sono uomini che devono prendere decisioni condizionate dalle caratteristiche di una annata.
L’annata 2010 è stata un disastro. Le abbiamo provate tutte in vigna, sono arrivate tutte le malattie della vite e non siamo riusciti a fermarle e per di più acqua, acqua ed acqua tra settembre ed ottobre, tanto da essere stati costretti a vendemmiare negli unici tre giorni asciutti di ottobre quel poco che era rimasto sulle viti, senza neanche poter prendere in considerazione la maturità polifenolica. Risultato? Ci fu subito chiaro che non avremmo potuto produrre lo Stupor Mundi, il nostro vino di punta, in una annata così. Quest’anno abbiamo deciso che la massa migliore sarebbe andata per il Terra dei Fuochi, il nostro aglianico meno complesso, rinunciando ad imbottigliare anche il 400 some, l’altro nostro aglianico che ha velleità di invecchiamento. Il resto è andato malinconicamente alla vendita di sfuso.
Saltare un’annata con ambedue le etichette più importanti ha conseguenze anche sulla comunicazione: nel periodo del balletto delle guide del 2013 non ci saremo; fuori dalla competizione, fuori dalla possibilità che di noi, già piccolissimi, si possa parlare. Ci saranno guide disposte a dare spazio ad una azienda che presenta la già piccola produzione monca dei due vini di punta?
La decisione è stata dolorosa. Avremmo potuto cercare scorciatoie e mettere comunque qualcosa in bottiglia, però alla nostra integrità, al rispetto dei nostri clienti e anche alla nostra reputazione non rinunciamo e non perché vogliamo passare per santi o ergerci a produttori migliori di altri. E’ una decisione presa con il poco romantico, ma riteniamo unico, serio, obiettivo di costruzione di una reputazione, quella di non mettere sul mercato vini al di sotto della media qualitativa delle annate precedenti, perché un cliente deluso da una bottiglia è quasi certamente un cliente perso.
Abbiamo preferito fare un investimento sul futuro, anche se questo significa che oggi abbiamo le spalle meno forti di ieri.
Mi piacerebbe che quando, come accade periodicamente in rete, si fanno considerazioni sul costo di una bottiglia, ci si ricordasse che ci sono scelte a tutela di chi beve che hanno un costo, proprio come in questo caso.
E sono scelte molto poco zen.
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