Ristorante Sapio a Catania
Piazza Gandolfo Antonino, 11
Tel. 350 194 7542
Aperto a pranzo e cena
chiuso lunedi e martedì a pranzo
Di passaggio a Catania durante un nostro tour siciliano decidiamo di fermarci a pranzo in questo locale nato nel 2016 che ha però cambiato sede nel luglio 2023. Siamo nel cuore del capoluogo etneo, in una piazza con palazzi del ‘700 che è stata recuperata alla vivibilità pedonale. Eravamo curiosi di provare la cucina di Alessandro Ingiulia, stella Michelin a soli 25 anni, a lungo unica della città (dalla scorsa estate da Caltagirone si è trasferito Coria), che gestisce questo locale disegnato dal fratello Daniele, architetto, insieme alla moglie Roberta Cozzetto, sommelier.
Il locale è essenziale, protestante, un vero contraltare al barocco siciliano, ha tre stanze, elemento che potrebbe candidarlo alla seconda stella, una terra di famiglia alle spalle dove si produce dell’ottimo olio, elemento questo invece che lo renderebbe adatto alla stella verde visto che il tema del recupero e del rispetto dell’ambiente entra ovunque, dalla sala all’uso dell’acqua, dalla cucina ai bagni.
Insomma, molto da raccontare e tanta strada da fare vista la giovane età della coppia che ha appena scapolato la trentina e che conferma come la famiglia sia l’arma segreta della cucina italiana, tradizionale o contemporanea che sia.
Ma quello che vogliamo sottolineare è la grande personalità che troviamo nei piatti, lo chef dimostra di padroneggiare mare e carne ma ha una mano naturale e personale incredibile quando si tratta di ragionare sull’inserimento dell’orto di stagione nei piatti ispirati al pescato e al magnifico mercato del pesce di questa città.
La personalità dei piatti in qualche modo mi ricorda i primi passi di Lorenzo Cogo perchè rasenta la genialità Lo vediamo dal gambero affogato nel verde primaverile di stagione che a prima vista rischiava di essere un inguacchio e che invece esplode nel palato lasciando integra la freschezza del gambero esaltandola con l’elemento vegetale che è al tempo stesso spalla e protagonista.
Discorso simile al baccalà con la passatina di ceci in due consistenze (qui la citazione è ovvismente Pierangelini in uno dei pochi piatti dell’alta ristorazione italiana riusciti a diventare pop). E se l’agnello è un piatto di scuola buono ma senza wow è nella triglia che lo chef si supera e ci fa innamorare. Per me questo pesce sta alla cucina mediterranea con il piccione a quella francese, è l’esame di Diritto Privato a Giurisprudenza o di Anatomia a Medicina, la prova del nove per un cuoco di interpretare una delle carni più gastronomiche create da Nostro Signore. E qui il piatto, completato al tavolo esplode al palato grazie all’abbinamento con i gamberi, impossibile non fare la scarpetta con il pane della casa ottenuto da grani antichi siciliani. Bis di identiche situazioni con la pasta e i ricci di mare, con la pancetta di maialino e con il dolce non stucchevole finale. E, a proposito di piccione, ordinato da un altro tavolo, godiamo della tecnica di servizio e del taglio davanti ai clienti che evidenzia una cottura perfetta.
CONCLUSIONE
Oggi Sapio è sicuramente una delle esperienze più interessanti che si possano fare non solo in Sicilia ma in Italia. Aborro il termine avanguardia, mi piace usare “contemporaneo”. In poche parole qui non si è inventato nulla, ma ci sono nei piatti tutte le tematiche attuali, a cominciare dallo storytelling sull’ambiente e sull’orto alla stagionalità, allo sgrassamento delle portate, fino alla vivacità del vegetale e alle note di freschezza che troviamo sempre puntuali in ogni proposta senza necessariamente poggiarsi su limone o pomodoro ma ben giocando anche con le erbe. Ci piace poi il completamento di quasi tutti i piatti in sala che fa movimento e rompe la monotonia del servizio grazie all’interazione con il cliente che viene inevitabilmente coinvolto.
Il personale di sala (non c’era Roberta) è decisamenbte qualificato e competente, la proposta comprende tre menu degustazione e una scelta alla carta e il costo, al netto del vino, può variare fra i 150 e i 180 euro. Da apprezzare l’elasticità mentale della sala dell’adeguarsi alle richieste, merce sempre più rara negli stellati. La carta dei vini è ampia e competente, l’Etna è rappresentato molto bene, talvolta in profondità anche se i ricarichi sono quasi di tipo borgognone.
Che dire, l’unico punto di caduta è stato il momento del caffè, buono ma servito alla buona, senza una coccola, tazzine senza copritazza per mantenerlo caldo, bustine in stile bar. Da rivedere totalmente.
Una esperienza da fare perchè riassume bene l’enorme potenziale dei prodotti siciliani in maniera moderna e non nostalgica. In sintesi, la cucina è sicuramente da due stelle a nostro modesto avviso. E il prezzo, benchè caruccio, vale l’esperienza perchè un posto non è mai caro se quando esci pensi ai piatti e non ai soldi. Come in questo caso, appunto.
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