Alfonso Sarno
Povero Sant’Antonio Abate ed Eremita con il campanello, bastone dalla croce a forma di tau ed il porcello: l’elenco di coloro su cui deve vegliare e proteggere è – diciamocelo – estremamente variegato ed impegnativo. Così oltre ai pompieri, macellai e salumai, contadini, canestrai, norcini, ed allevatori, animali domestici (il 17 gennaio, giorno a lui dedicato, la Chiesa ha ripristinato la bella tradizione di benedire, ora cani, gatti ed altri fedeli amici, un tempo anche le stalle), ceramisti si deve occupare anche dei fornai e pizzaioli. Ed oggi con il riconoscimento da parte dell’Unesco per l’arte di fare pizza sicuramente metterà ancora maggiore attenzione affinché tutti i suoi protetti ma, soprattutto, questi ultimi gloria e vanto della città di Napoli siano sempre più conosciuti ed apprezzati. Loro, grati, lo celebreranno ogni anno con tutti gli onori, proprio il 17, nel corso della Giornata mondiale della pizza. Simpatico modo per ricollegarsi alla vecchia consuetudine che li vedeva chiudere i loro esercizi per riunirsi in casa, ognuno insieme con la propria famiglia, intorno ad un bel fuoco propiziatorio che avrebbe assicurato buoni affari ed una clientela affezionata. Rosse fiamme che li accomuna ai ceramisti, artigiani-artisti che nelle loro botteghe ponevano a protezione dei loro forni una immagine del barbuto santo egiziano, nato intorno al 251 e morto nel deserto della Tebaide nel 357. Purtroppo simbolo, inoltre, di una malattia dolorosa e fastidiosa, l’herpes zoster o fuoco di sant’Antonio, che le povere persone colpite combattevano sì con le medicine ma, soprattutto, con un incessante fiume di preghiere al venerando monaco.
A cui, a differenza di altri santi, diciamo un po’ alteri e distanti, ci si poteva e può rivolgere con la massima confidenza, pregandolo non soltanto di non fare ammalare gli animali o far sì che il forno faccia il proprio dovere ma anche per essere protetti dagli attacchi del diavolo. “Sant’Antonio, Sant’Antonio, lu nemico de lu demonio” recita un’antica filastrocca: da lui conosciuto e sperimentato quando ritiratosi nella solitudine del deserto fu oggetto di feroci tentazioni diaboliche, raccontate nella “Leggenda Aurea” dal beato Jacopo da Varazze, un frate domenicano nominato, nel 1292, arcivescovo di Genova ed in numerose opere d’arte. Insomma, chi meglio di lui può capire le preoccupazioni dei suoi tanti protetti alcuni dei quali come pompieri, pizzaioli, ceramisti, fornai e pizzaioli sono a continuo contatto ed in qualche modo dipendono dal fuoco, simbolo di passione, di vita ma anche di distruzione. Entrato nell’iconografia con cui viene tradizionalmente raffigurato per merito di un una Comunità religiosa, quella dei Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne, ordine ospedaliero e monastico-militare fondato nel 1015 in una cittadina francese attualmente ribattezzata con il suo nome che si occupavano in modo specifico di curare gli ammalati di herpes zoster, molto diffuso tra i poveri a causa della cattiva alimentazione, e di un’altra strana malattia, l’ergotismo, provocata dall’ingestione della cosiddetta segale cornuta. Malattie che i buoni frati infermieri combattevano applicando il grasso di maiale (e qui entra in gioco l’altra presenza abituale nell’iconografia antoniana e che ha fatto sì che tra i diversi suoi attributi ci fosse anche quello del “santo con il porco”) quale emolliente per le piaghe. Maiali che i religiosi allevavano nei loro conventi e che, per la loro utilità socio-sanitaria, avevano il privilegio di scorazzare liberi per le strade servendosi liberamente dei rifiuti trovati per strada e creando, però, anche intralcio e confusione per le strade.
Fuoco anche come simbolo dell’inferno di cui Sant’Antonio Abate è attento custode e da dove riesce a sottrarre le anime dei dannati, ingannando i diavoli con degli stratagemmi. Appunto, il protettore perfetto dei pizzaioli: bravo e capace come loro nel capire come usare il fuoco, elemento indispensabile al pari dell’acqua e della farina per preparare una autentica pizza napoletana di tradizione, alimentata da robusto, profumato legno.
Dai un'occhiata anche a:
- La start up del riso, “Quanto”, fondata per diffondere la scienza dell’alimentazione lancia il riso “ebano”
- Che sapore ha la pizza di un distributore automatico? Noi l’abbiamo provata!
- Salvare la noce di Sorrento. L’impegno di Slow Food Penisola Sorrentina e Capri
- Si può mangiare la buccia del formaggio? Risponde l’esperta
- World Pasta Day 2024: il giro del mondo in dieci piatti di pasta italiani fuori dall’Italia
- Amy Jackson e Ed Westwick, wedding party ai Giardini del Fuenti: un finale da sogno in Costiera Amalfitana
- I miei migliori morsi del 2024 in ordine di apparizione: 004 il piatto vuoto…
- Come è nata davvero la birra di Natale?