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Ristorante con camere
Un giovane allievo di Alfonso Iaccarino porta il mare vero nel Sannio pur essendo insuperabile nella preparazione delle carni
Ecco un bel fuoriporta, molto pratico, per provare la cucina leggera, netta e senza fronzoli in puro stile Don Alfonso. Sì, perchè il giovane chef, Crescenzo Licciardi, è proprio lì che si è fatto le ossa per alcuni anni, facendo anche parte della brigata impegnata dalla famiglia Iaccarino nella consulenza al Syrenuse di Positano. L’esperienza maturata, la scuola, oltre che nelle tecniche di cottura, si vede con chiarezza da come viene costruito il menu, con percorsi chiari, senza barocchisimi o stranezze che abbiamo visto resistere in molti posti proprio nel Sannio mentre sono stati ormai digeriti nel resto della Campania tra gli anni ’80 e ’90. Leggi, per esempio, soffermarsi su salumi e formaggi non locali, oppure introdurre prodotti extraterritoriali come angus e speck.
Ma andiamo con ordine. Siamo in una palazzina di inizio Novecento che sembra costruita con il torrone bianco di San Marco dei Cavoti, a metà tra una favoletta di Andersen e un racconto di De Roberto, ben ripresa, costruita sopra un poggio e distante 500 metri dall’uscita della superstrada. Dieci stanze con 20 posti letto, un viale di olivi, due sale da pranzo ben arredate. Una, più raccolta, con cinque tavoli, l’altra più assolata per piccole cerimonie. Già, perché Crescenzo ha la tranquillità di lavorare in famiglia in quanto il padre, Giancarlo, ha una grande esperienza proprio nel settore della banchettistica, maturata ad Apice con la struttura costruita ad hoc, l’Hotel Ristorante Licciardi (www.ristorantelicciardi.it).
L’ambiente dunque è molto confortevole, elegante ma essenziale. Proprio come la proposta del piatto. Ecco il menu tradizione (a 45 euro, sempre bevande incluse): aperitivo, antipasto con pomodoro ripieno, parmigiana, burrata, sottoli, ravioli fritti e salumi. Poi i ravioli con farcia di ricotta e rucola con il pomodoro, infine il maiale in diverse versioni, dalla costata alle erbe alla pancetta rosolata, alla tracchia alla griglia. Come seconda scelta il menu degustazione che abbiamo percorso tutto: grande e delicato coniglio in porchetta con insalatina croccante, di nuovo i ravioli, lo spaghetto al guanciale, aceto balsamico e parmigiano che ci ha ricordato una carbonara light, infine un magnifico capretto arrosto con carciofi e patate novelle. In questo caso il costo è di 50 euro.
C’è infine, come è naturale per chi ha lavorato in Penisola, il menu di pesce (a 60 euro) con il baccalà mantecato, i broccoli e i peperoni secchi, la pizza rustica di tonno, olive e pomodori, l’Ave Maria dei paccheri al sugo di scorfano, il dentice farcito di pomodoro e basilico con polo e zucchine, il trancio di spigola arrosto. Ovviamente si chiude con il dolce: crostata di frutta fresca, la piramide di cioccolato al latte e al rhum,la tazza di cioccolato caldo, la spuma al caffé e la brioche tostata. Infine si può mangiare semplicemente alla carta, dove segnalo gli gnocchi di patate, il tartufo nero e la salsa di arrosto e la costata di vitello glassata con patate schiacciate e spinaci.
I piatti hanno un sapore netto, non c’è voglia di stupire, neanche di piacere, ma di educare all’essenza di ciascun prodotto. Per capirci con la congrega degli appassionati di vino: lo stile è quello di un bicchiere di Fiano Pietramara dei Favati. La tendenza della cucina campana, si sa, è a sottrarre non ad aggiungere. Ossia, il piatto è costruito attorno ad un elemento principale e gli altri devono valorizzarlo, non coprirlo o controbilanciarlo. Esattamente l’opposto di quella speziata Orientale o salsata francese old style. Quando la materia prima è buona, come in questo caso dove il pesce è fresco mentre la carne è sempre di territorio, c’è davvero poco da fare, la bravura dello chef si vede nella sua capacità di dare la spinta nella direzione giusta.
Sentiremo dunque parlare di Crescenzo, ne sono sicuro. Sapete perchè? Semplice, nessuno prima di lui era stato capace di farmi un capretto, cioé la mia carne preferita da mezzo secolo, così buono come lo ha cucinato lui. Pascolava nei dintorni prima di finire nel mio piatto tenero tenero attraverso una rapida spadellatura e poi una lenta cottura al forno. Evviva, evviva: dopo tante delusioni, tanto dormire, e tante caricature, il Sannio sembra finalmente svegliarsi grazie ad una giovane pattuglia di ragazzi (Foro, Kresyos, Locanda della luna, Barry), con tanta voglia di esibirsi e di fare bene nella propria terra ai quali si aggiungono alcune classiche certezze (Frangiosa, Pignata, Nunzia). E allora, cosa aspettate? Siete ad un’ora dalla città, circondati da dolci colline e decine di aziende di qualità, ripassate i sapori che vi hanno cresciuto, oppure, semplicemente, educatevi al buono. Carta dei vini in formazione, per entrare nell’Olimpo serve un sommelier in sala.
Come arrivare
Da Napoli uscire a Caserta Sud e proseguire in direzione di Benevento lungo la Fondovalle Isclero e poi sulla Fondovalle Telesina. L’uscita è San Salvatore, girate a destra e salite per un paio di tornanti sul poggio dove c’è Villa Gioia. Occhio ai limiti di velocità, queste strade sono il paradiso dei autovelox gestiti da indebitate amministrazioni comunali che rimpinguano le casse taglieggiando gli automobilisti.
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