di Monica Caradonna
Si avvicinal’11 novembre, arriva San Martino e il Salento si prepara a far festa. Sono diverse le aziende vitivinicole che apriranno le porte delle loro cantine per celebrare i vini nuovi. Divertente il calendario messo a punto dal Movimento Turismo del Vino di Puglia con una Vittoria Cisonno sempre sul pezzo e indirizzata verso una promozione del territorio che si fonda sulle sacrosante tradizioni. Cinque cantine che dalla provincia di Taranto sino al nord barese sono pronte ad accogliere enoturisti e curiosi (tutte le info su mtvpuglia.it). E sono diversi anche gli appuntamenti previsti in Italia perché, lì dove c’è un salentino, ecco che spunta una festa a base di vino fatto arrivare direttamente da casa. A Roma, ad esempio, venerdì 10 novembre, nella ex Dogana, pizzica salentina e vino nuovo con i tamburellisti di Torrepaduli (info line 340 4906881).
Ma quanto c’è di vero in questa tradizione che propone l’abbinamento di vino novello e castagne? Girando e rigirando per le campagne del tacco d’Italia è difficile anzi quasi impossibile trovare alberi di castagne, eppure la tradizione vuole proprio che di cartocci di marroni ci si ingozzi. E il novello? Ma che tradizione è questa? Ne parliamo con Pino De Luca, giornalista, gastronomo, godereccio, appassionato di enogastronomia.
A San Martino in Salento si celebra il novello ma non è propriamente una tradizione. Qual è la vera storia del santo del vino?
Il Novello sta a San Martino come io al tutù per le ballerine di danza classica. San Martino è una sorta di capodanno agricolo perché l’annata agraria, in Salento, cominciava il 12 Novembre e finiva l’11 Novembre dell’anno successivo. Quindi San Martino è come San Silvestro per gli agricoltori. Poi ci sono alcune coincidenze che hanno portato San Martino agli onori della celebrità. La prima, la più immediata, è la frangitura delle olive e la produzione dell’olio; la seconda è la “rottura del piatto” ovvero la verifica del primo vino (vino nuovo e non novello-ndr) che aveva finito la fermentazione e, con l’arrivo delle prime tramontane, era pronto per essere bevuto. E quindi festa di capodanno con le prime pittule, le rape stufate, le interiora di agnello e la ventresca “firrata”. Insomma, occasione di grande festa, di eccessi, di libagioni e di liberazione dei freni inibitori, da cui l’accezione di festa dei “cornuti”, anche se qualcuno dice che derivi anche dal fatto che i celti, conterranei di Martino di Tours, avevano gli elmi con le corna.
Il Novello può essere considerato la risposta italiana al Beaujolais nouveau?
Il Novello è da considerarsi semplicemente come una risposta “all’italiana” piuttosto che italiana. Semplicemente perché il Beaujolais nouveau, piaccia o meno, è un prodotto innovativo con una identità (100% macerazione carbonica e 100% di vitigno Gamay). Secondo le italiche disposizioni si chiama Novello un vino che ha il 40% di macerazione carbonica e il 60 di indistinto e i vitigni ammessi sono anche essi una sessantina. Dimmi tu se si tratta di passi avanti o piani di corsa completamente diversi. Lo dico indipendentemente dal risultato e dalla sua piacevolezza.
De Luca, quindi vino novello o vini nuovi?
Non mi iscrivo tra i talebani anti-Novello, ho avuto il privilegio di gustare qualche vino Novello prodotto con i sacri crismi che era assai godibile. Certamente il “vino nuovo” ha un gusto molto particolare, specialmente il rosato, quello vero, dal colore antico. Ma non credo che appartenga a gusti che vanno di moda. Ma inciuccarsi di vino nuovo fatto bene, a San Martino, è un piacere unico.
Negli ultimi anni sempre meno aziende producono novello. Se ne sente la mancanza?
Se il Novello deve servire a nettàre (pulire-ndr) le botti meglio non produrlo, se invece qualche azienda ci si vuole impegnare per farne un prodotto serio perché non farlo? In fondo si tratta sempre di un succo di uva fermentato, solo che conserva, temporaneamente, il frutto. E va benissimo con la salsiccia di maiale ai ferri!
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