A ottobre 77 anni, gestisce la pizzeria Gorizia al Vomero che il 20 agosto centra il bersaglio di 108 anni di attività. Eppure Salvatore Grasso è “nu guaglionciello”: dinamico, sempre al lavoro, i rari momenti di riposo nella sua amata Vico Equense, tanti progetti per il futuro. Non poteva che essere lui uno dei componenti della giuria del Contest “Giovane Pizzaiolo dell’Anno” organizzato dal Mattino.
“La pizzeria è la mia vita. Fu aperta il 20 agosto 1916 da mio nonno su decisione di suo suocero, persona facoltosa che voleva assicurare un futuro alla famiglia. In realtà era una pizzeria già aperta con il nome Nuovo Vomero, ma lui, che si chiamava Salvatore come me, volle dare il nome della città friulana che era stata appena liberata dalle truppe italiane. Successivamente il proprietario dell’immobile, il Duca Pironti, gli fece acquistare il locale affianco imponendogli però di assumere anche il suo cuoco, ‘Ngiulillo, che non poteva più permettersi. Fu così che Gorizia divenne quello che oggi tutti conoscono, pizzerie e ristorante, una formula che abbiamo sempre mantenuto”.
–Il momento più difficile?
“Sicuramente la morte di mio nonno nel 2003, quando per varie vicissitudini la pizzeria rischiò di chiudere. Così io a 57 anni, mi accollai tutti gli impegni insieme a un socio che poi liquidai. Ma io non potevo sopportare di vedere chiuso quel forno dove sin da ragazzo avevo imparato ad ammaccare e dove sono praticamente cresciuto. Mi sono indebitato due volte ma alla fine posso dire con orgoglio con Gorizia è tutta mia, senza debiti e con il futuro assicurato da mio figlio Toto, si anche lui Salvatore, che ha come valore aggiunto alla gestione una grande e sconfinata passione per il vino e la mixology”.
-In tanti anni ne avrai viste di novità, sicuramente possiamo dire che però questi sono anni particolari per la pizza napoletana con l’arrivo di tanti giovani e il grande successo che questo stile sta ottenendo in Italia e all’Estero.
“Ogni epoca ha avuto le sue innovazioni, perciò la pizza napoletana è così buona e la margherita un esempio perfetto. Anche noi, per esempio lo siamo stati perché fummo i primi a ridurre il panetto portandolo a 180 grammi e a rendere il cornicione più pronunciato. Non voglio dire nulla di nuovo sotto il Sole perché sarebbe presuntuoso, ma solo notare che far cominciare la storia della pizza con il proprio ingresso in questo mondo è altrettanto presuntuoso”.
-Vero. C’è sempre una predisposizione mentale a far coincidere la storia con noi stessi, i social hanno poi accentuato questo difetto di chi non studia con un sapere che dura un solo giorno…
“Esatto. Proprio per questo mi venne l’idea, proprio nel 2016 dopo i festeggiamenti dei cento anni che facemmo insieme a Umberto, di creare una associazione delle pizzerie centenarie: il tempo non si può inventare e solo chi lo rispetta può dire qualcosa di nuovo. Non sono frasi astratte: se una pizzeria ha resistito a due guerre mondiali, qualcuna anche all’Unità d’Italia, al colera, al terremoto, un motivo ci sarà e va studiato e capito”.
Quali sono i valori più preziosi nel mondo pizza che vanno in qualche modo salvaguardati in un locale?
-Secondo me uno: la continuità. In oltre cento anni in questo forno si sono alternati solo cinque pizzaioli, compreso mio nonno. Anche nelle pizze, inutile cercare di fare i fenomeni se non si hanno idee, basta eseguire bene le classiche. Io per esempio ne ho introdotte solo due: la Gorizia 1916 e la Margherizza. Oggi è diventato difficile riuscire ad avere questa continuità perché è diventato un mondo sotto i riflettori e spesso i giovani non sanno aspettare, vogliono subito il successo e lo misurano dai like su Facebook e su Instagram”.
-Il clamore mediatico sul mondo pizza gioca un ruolo negativo?
“Assolutamente no. E’ sempre bene quando si parla di qualcosa, il problema che dall’altro lato ci deve essere la maturità di ascolto, avere il cliente di fronte. Il nostro è un mestiere faticoso e usurante, avere riconoscimenti e vedere professionisti che parlano di noi è sicuramente appagante. Penso sia così per tutti. Ma questo non deve diventare un fine: sbagliano quelli che pagano per farsi fare articoli finti, spesso da persone che non hanno qualifica”.
-Voi della vecchia scuola in genere non amate rivelare i segreti del mestiere. Possiamo conoscerne almeno uno che ha consentito a Gorizia di stare sempre aperto?
“Certo: dare pari dignità, anche sul piano economico, al pizzaiolo e al fornaio. Le due facce della stessa medaglia, anzi, della stessa pizza.”
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