di Marco Contursi
Alcune degustazioni recenti, di salumi “artigianali” veramente pessimi, unite al fatto che quando si parla di valorizzazione di razze e prodotti carne trasformati, chi degusta non venga quasi mai coinvolto, mi portano a fare amare considerazioni sull’arte norcina campana.
Partiamo dal presentarmi, sono da 10 anni Maestro assaggiatore Onas (organizzazione nazionale assaggiatori Salumi), il primo in Campania ad aver conseguito la qualifica insieme al collega Fabrizio delle Femine, nonché delegato dell’associazione per la nostra Regione. Negli anni ho organizzato decine di corsi, formato altri maestri, organizzato incontri tematici e degustazioni, alcune anche incredibili come quella sui migliori prosciutti al mondo, o quelle mono razza sui salumi di mangalica, casertana, nero siciliano e calabrese.
Parlo quindi, con cognizione di causa, di un mondo, quello della salumeria che troppo spesso viene banalizzato.
Esempio classico, oggi nei locali di fascia alta, c’è il carrello dei formaggi, delle acque, dei distillati, finanche dei vegetali, ma nulla sui salumi.
Le massaie ancora vanno al supermercato a chiedere il parmigiano buono ma il prosciutto cotto economico, “tanto ci devo cucinare”.
Sui tagliere che servono nella maggioranza dei locali o sui salumi che finiscono sulle pizze, meglio stendere un velo pietoso, con la buona pace di pochissimi.
Ma d’altronde, gli utenti che su altri prodotti (vino, birre ecc) fanno corsi e diventano o si sentono esperti, sui salumi fanno passo e si accontentano di qualsiasi cosa venga propinata loro.
Una strigliata la meritano pure i produttori, quasi mai disposti al confronto con chi degusta e qui apriamo una parentesi.
Un Maestro assaggiatore di salumi, è un tecnico della degustazione, una sorta di sommelier del salume per capirci. Come le cantine hanno un filo diretto con i sommelier che sono gli ambasciatori del vino così dovrebbe essere per i produttori di salumi, interessati, almeno quelli che vogliono fare un prodotto di vera eccellenza, ad un confronto serio, prima, durante e dopo la produzione. Ma quanti lo fanno? Pochissimi, ed un gran numero di questi pochissimi, poi storce il naso e fa l’offeso se gli si fanno notare dei difetti organolettici del prodotto. Molto meglio chi scrive, fotografa e incensa senza capirne una acca. Sarebbe invece auspicabile ed utilissima una degustazione tecnica insieme al produttore, per confrontarsi e capire dove si può migliorare.
Ma coinvolgere chi fa una degustazione tecnica dei salumi, dovrebbe essere un must anche di chi, a vario titolo, si occupa della promozione delle razze e dei prodotti derivati. “L’eccellenza non ha senso farla se non la sai comunicare”, questa una delle prime regole del marketing, e la comunicazione, il racconto di un salume non può essere affidato a chi lo produce o a chi ha allevato il maiale, altrimenti sarebbe autoreferenziale, ma a chi da anni si forma e si batte per la valorizzazione dei salumi con i consumatori finali. Sarebbe inoltre auspicabile una collaborazione proficua anche col mondo accademico, il cui apporto fondamentale nella fase dell’allevamento e spesso anche in quello della trasformazione, poi però viene fisiologicamente meno nella fase della degustazione e della comunicazione del prodotto. D’altronde, “ognuno è masto nel suo campo”, a ciascuno il suo. E invece si assiste a eventi singoli, separati gli uni dagli altri, spesso con connotazioni di profitto economico che dovrebbero essere disgiunte dai momenti di promozione pura, rimandando la fase del giusto emolumento a un momento successivo.
Ma anche a guide e riviste varie del food si possono muovere delle rimostranze. Eccezion fatta per la rivista della Amira, “Ristorazione ed Ospitalità”, che vede l’esperto Diodato Buonora come direttore, quante riviste dedicano una rubrica fissa al mondo dei salumi? Io non ne ho contezza. E punteggi e simboli vari, assegnati dalle guide,tengono conto dei salumi? NO. Nessunissimo conto.
Ma i salumi fanno parte della nostra cultura alimentare, iniziamo a degustarli molto prima del vino, esempio classico il panino col salame o col prosciutto che portavamo a scuola. Sono indicatori antropologici della ricchezza di un territorio, delle tradizioni di un luogo, raccontano di altri prodotti tipici locali ad essi associati (esempio, il peperone crusco nelle salsicce lucane).
Un patrimonio gastroculturale che merita di essere conosciuto e valorizzato, cosa ancora più importante quando parliamo di prodotti derivati da razze autoctone o con storia particolare come i Presidi Slow Food.
Da appassionato puro, prima ancora che tecnico dell’assaggio, lancio questo appello ad una maggiore coesione della varie figure intorno ai salumi e auspico una progettazione seria, della trasformazione e della successiva valorizzazione dei prodotti di salumeria.
D’altronde febbraio è il mese dell’uccisione del maiale. Se non ora, quando???
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