Sabino Alvino di Zi Pasqualina ad Atripalda: cultura del vino e piatti della tradizione

Pubblicato in: I vini da non perdere
Sabino Alvino

Sabino Alvino, Zi Pasqualina ad Atripalda

Pasqualina De Benedictis veniva da una famiglia impegnata nel lavoro dei campi originaria di Manocalzati. Il 17 maggio ha festeggiato per 84 anni il suo compleanno e il suo onomastico ed è stato anche il giorno, nel 2005, in cui andò in cielo subito dopo aver subito il dolore della morte del figlio Pellegrino Alvino, il papà di Sabino.
Non si sa se alla cabala dei numeri bisogna crederci o far finta di crederci, certo che a volte il destino ci presenta incredibili coincidenze. Ma il nome di questa donna laboriosa e lungimirante ogni giorno, tutti i giorni dell’anno, viene pronunciato da chi prenota alla locanda che lei aprì nel 1953 ad Atripalda, Zi Pasqualina, appunto, una bandiera per tutta l’Irpinia che, oggi come ieri, funziona come un orologio.
Oggi questa icona della cucina tradizionale irpina è portata avanti dalla figlia Enza e dai nipoti Anna e Sabino, classe 1972, che hanno saputo tenere il passo con lo stesso piglio deciso della fondatrice. E il piatto dell’estate che ci consiglia Sabino è un evergreen, scarole e fagioli, tanto amato anche a Napoli. 
“Il nostro locale – spiega Sabino Alvino – nasce perché mia nonna ebbe l’intuizione di cucinare per chi lavorava sul territorio e per chi faceva la transumanza da Foggia verso il Terminio, uno dei grandi sentieri del passato che ancora oggi in parte vive proprio lungo questa direttrice. Nacque la classica cantina di paese, con la gente che si ritrovava per bere il vino, giocare a carte e da noi anche a bocce. All’epoca era l’unica distrazione possibile nelle nostre terre”.
Per quasi trent’anni il locale tenne banco diventando sempre più famoso.
“Si, mia nonna decise anche di attivare le stanze, praticamente nel nostro stabile organizzò un B&B ante litteram, la gente veniva e si sentiva praticamente a casa. Sino al terremoto del 1980 ha funzionato il ristorante insieme alle sette stanze che eravamo riusciti ad allestire.
Poi la tragedia del terremoto in Irpinia che sconvolge tutto
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“Si, fu un periodo difficilissimo, io ero ancora bambino ma ricordo i lutti, le rovine. Fu allora che nonna decise di lasciare solo l’attività ristorativa allargando la proposta dei piatti e mettendo nel menu i grandi classici, zuppe di legumi, pasta fatta in casa con il ragù, arrosti di vitello, braciole. Insomma, il menu di oggi”.
Quando hai iniziato a lavorare nella trattoria?
“Subito, la nostra è sempre stata una gestione familiare, ancora oggi lo è. Abbiamo collaboratori solo quando ci sono momenti di grande lavoro. Tornavo da scuola e lavoravo, sono sempre stato attivo per dare una mano alla famiglia sin da piccolo. Mi piaceva stare in sala, conoscere gente. Ho sempre pensato che il mio posto fosse qui”.
Tu però ha poi studiato Enologia.

“La coltivazione dell’uva era un’altra delle attività di famiglia. I miei nonni producevano anche 500 quintali l’anno e vinificavamo per noi e per i clienti. Ancora oggi facciamo il Taurasi nostro. D’accordo con la famiglia, mi diplomai all’Istituto Tecnico Agrario De Santis, fra i primi in Italia dopo l’Unità, dove si sono formati tanti enologi. Nel 1993 mi sono diplomato e posso dire che sono il primo sommelier professionista della provincia di Avellino. Allora l’esame Ais si faceva a Milano. Poi a Merano feci un corso per wine manager. In quel periodo ero sotto le armi facevo il carabiniere ma alla fine decisi di tornare e fare questo lavoro”
Quindi una svolta decisa anche da Zi Pasqualina
“Ho lavorato con mia nonna sino alla sua morte che coincide quasi con quella di mio padre. Creammo la cantina, era un momento di grande fermento nel mondo del vino, nascevano tante cantine in Irpinia e in Italia e allora i prezzi erano accessibili. Inoltre allestimmo uno spazio per affinare formaggi e salumi e diventammo un punto di riferimento anche per gli appassionati”.
Anche voi avete avuto una forte evoluzione negli anni.

“Ci siamo tenuti al passo, siamo restati legati alla tradizione irpina con la pasta fatta in casa, ma il cliente moderno deve essere aggiornato sulle novità del nostro territorio e noi dobbiamo essere i primi a scoprirle”.
In Italia fare sempre lo stesso menu fa arricciare il naso ai gastrofighetti.
“Per noi è un grande punto di forza, abbiamo ersone che vengono tutti i giorni perché sanno quello che vogliono. Nelle case si cucina sempre meno e per i giovani la tradizione, ovviamente con meno grassi e ben presentata, è una novità. In cucina lavorano mia madre Enza e mia sorella Anna che hanno rubato il mestiere a nonna, io sto in sala e ogni giorno è una avventura bellissima. Questo può essere il mestiere più bello del mondo se lo fai con passione e dedizione. Non puoi guardare l’orologio. Abbiamo poi i dolci di Davide e Marco che stai ai vini e che sa di cosa parla quando li propone. Oggi abbiamo clienti da tutta la Campania e lavoriamo all’80% a pranzo aprendo la sera solo nel fine settimana o su prenotazione”.
Un punto di forza rispetto a tanti stellati che non riescono ad aprire a pranzo neanche in città.
“Non faccio paragoni, ovviamente. Noi siamo legati ad un territorio che ha poco turismo e dobbiamo capire cosa vuole il cliente. Del resto mi mare di capire che un certo modello è un po’ in crisi ovunque. La gente vuole identità, chi la sa mantenere a tavola e in sala vince, come per esempio da noi gli amici Fischetti dell’Oasis a Vallesaccarda. Facciamo un lavoro diverso ma entrambi partiamo dalle radici e la gente lo sa”.


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