Una nostra passione è sicuramente l’Aglianico del Vulture, vino che non può mai vincere nei cento metri perché ha il fisico del maratoneta. E in effetti riprovare dopo vent’anni il 1998 di Paternoster, parliamo del Rotondo che è stato tra l’altro il primo rosso lucano ad ottenre il riconoscimento dei Tre Bicchieri fa una certa impressione. Non solo per la gioventù di un vino in perfetta forma, ma anche per il perfetto equilibrio centrato sin nella prima edizione con il legno. Si parlò di vino modernista perché affinato in barrique, ma in realtà possiamo dire che l’uso è stato subito ben dosato e i risultati si vedono adesso a distanza di tempo. La freschezza sostiene la beva, i tannini sono piacevolmente setosi dopo due decenni e, insomma, è un gran bel rosso che noi abbiamo usato su un agnello lucano cucinato da Peppe Misuriello alla Locanda Severino di Caggiano.
Scheda ottobre 2007. Siamo tornati su un classico ricco di significato per l’azienda madre del Vulture: il Rotondo 1998 è infatti stato il primo vino Paternoster ad ottenere il ricoscimento dei Tre bicchieri e ad aprire una nuova linea aziendale dalla quale poi, nel corso degli anni, non ci si è più allontanati. L’Aglianico viene lavorato nella fascia alta in tre versioni: il base Sinthesi, il Don Anselmo con il legno grande almeno la metà della massa e, appunto il Rotondo. Si tratta di un vigneto acquisito negli anni ’90, proprio all’uscita di Barile della superstrada Potenza-Melfi, nel quale è stata costruita la nuova cantina che apre di fatto la strada del vino che porta sino a Venosa. Il vigneto del Rotondo, è il nome della località, è a 500 metri di altezza, ben esposto e carezzato dal vento in continuazione perché è in cima alla collina. La fermentazione avviene macerando sulle bucce in acciaio per una decina di giorni a temperatura controllata e con continui rimontaggi e follature. Poi l’elevamento in barrique nuove per 14 mesi e in bottiglia per un anno. Potremmo definirla una tecnica modernista rispetto a quella tradizionale e non è un caso se è stato con questo vino, all’epoca nuovo, che la maison vulturina ha conquistato i Tre Bicchieri. In realtà non possiamo parlare di uso invasivo della lavorazione e la concessione alle tendenze del momento passa soprattutto attraverso la speziatura dolce dei legni e il tannino decisamente più morbido all’uscita. Sui tempi lunghi, parliamo infatti di otto anni, possiamo dire che il Rotondo 1998 si presenta con i tratti tipici dell’Aglianico del Vulture e in ottima salute: il naso infatti mantiene la complessità, ancora il sottofondo di frutta rossa matura poi caffé mediamente tostato, cacao amaro, notarelle balsamiche, un pochino di liquirizia, in bocca è un Aglianico classico, con freschezza che fa tapis roulant alla beva in cui prevale l’equilibrio fra alcol, struttura e tannino con le sensazioni del naso sostanzialmente riconfermate: non c’è dunque discrasia fra olfatto e palato. Rispetto alle aspettative avremmo magari atteso una maggiore profondità ma credo dipenda dalla fase vissuta dal vino in questo momento, che è di ritirata per poi dispiegarsi completamente sui terziari avvolti attorno alla scheletro della freschezza con il quale si affronta il viaggio nel tempo. La 1998 si conferma in ogni caso annata interessante e sicuramente solida, anche se un passo indietro alla 1997 e alla 1999: il Rotondo va bevuto, davvero, sulla cucina classica della festa contadina della domenica, proprio come ho fatto io: cavatielli al ragù, ravioli, parmigiana di melanzane, polpette al sugo, tracchiole e involtino di cotica, pollo ruspante e patate al forno. Che vuoi di più dalla vita? Un lucano.
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