di Marco Galetti
Quante frecce abbiamo a disposizione nell’arco di una vita, nella nostra faretra, per uscite spericolate con la freccia di sorpasso prima di dover accostare desolatamente sul ciglio con le quattro frecce ?
Lo sanno tutti: non lo sa nessuno.
Una delle primissime frecce di sorpasso l’ho messa in Romagna, centro il bersaglio Cervia sull’onda dei ricordi e del Mare Adriatico…i miei mi portano in vacanza qui perché dal balcone si vede il mare e perché si mangia bene, devo sempre aspettare almeno tre ore prima di fare il bagno ma ne vale la pena, ieri c’erano i tortellini panna e prosciutto, oggi le seppie coi piselli,, il mare è un olio su telo da spiaggia, non c’è una nuvola all’orizzonte ad oscurare il mio umore, il mio orizzonte sembra infinito ma non so di saperlo, la mamma mi metterà la crema solare e papà mi porterà a forza di remi oltre gli scogli di sicurezza, mi farà sedere a prua col mio cappellino bianco sulla nostra barca bianca e arancione, la corda della piccola ancora per l’ormeggio è arancio come il salvagente che indosso per sicurezza anche se ormai mi sembra di nuotare meglio di lui, ma non glielo dico…di pomeriggio faremo la pista nella sabbia e giocheremo con i ciclisti disegnati sulle palline, sto diventando grande, la mia non si ferma più sotto il tunnel…ieri sono uscito dall’albergo e ho baciato una ragazzina, spero che questa vacanza non finisca mai, non vanno disattese le richieste dei bambini…
…ragazzi, estate, ultimo anno di liceo, davanti a noi due mesi di libertà, chilometri di musica, notti di parole, faretre piene all’inverosimile di frecce, flussi di energia in perenne movimento e sul Primavera bianco del mio amico, il cavalletto consumato per le grattate in curva, mandavamo scintille in tutti i sensi, pur avendo in testa una cosa sola, direzione altro sesso, scoprire l’immaginato a lungo, con la sfrontatezza di chi sa che le porte sono ancora tutte aperte e non è intenzionato a varcarne nessuna.
Abbiamo condiviso tutto…l’intesa scaturita quell’estate era destinata a durare nel tempo, oltre le nostre scelte future inevitabilmente divergenti; la nostra amicizia continua, a prescindere, abbiamo dormito qualche ora per notte in spiaggia, in macchina, in pensione, in qualche hotel di lusso e nel giardino di qualche villa, consumando quella vacanza e quelle a venire.
Al camping di Riccione avvennero i primi incontri ravvicinati con giovani tedesche e ragazzine italiane vestite di plastica che la sapevano lunga, insieme a qualche psichedelica divorammo quell’estate, pirofile di tortellini panna e prosciutto e una quantità impressionante di seppie e piselli, sembra un’estate fa…
Oggi mascheriamo la malinconia e fingiamo di non ricordare, ma se capita di vedere su qualche lavagna le scritte vintage, oggi seppie e piselli, oppure, oggi tortellini panna e prosciutto, panna o non panna, dentro sorridiamo.
Non c’è più.
Eppure mi sembrava di aver parcheggiato qui…
Il vigile mi guarda stupito, eloquente l’interrogativa sul suo viso, dopo la mia delirante richiesta, probabilmente gli ho ricordato Totò…
Scusi, non trovo più la mia macchina, l’avevo parcheggiata qui nel 1980, gli ho detto tutto agitato dopo una notte di ricordi…
E’ una Dyane verde pisello senza seppie, l’ha vista ?
Ma cosa si è bevuto un litro di Rosso Antico ?
Non antico, Vintage
“Le seppie coi piselli sono uno dei più strani e misteriosi accoppiamenti della cucina. Le seppie, da vive, ignorano in modo assoluto l’esistenza dei piselli. Abitano le profondità marine, nuotano lente e quasi trasparenti in una limpida luce d’acquario, fra strane masse sospese, tra ombrelli fosforescenti che pigramente s’aprono da soli sul vuoto e da soli camminano come fantasmi; tra lanternini che occhieggiano e si spengono, tra lievi alghe lucenti che ondeggiano appena, mentre nessun alito di vento le carezza, fra forme enigmatiche e lunghe, nere, bisce immobili. Laggiù non arriva notizia del mondo esterno, dell’aria, delle nuvole. Le seppie non hanno e non possono avere alcuna idea di quelle leguminose. Bisogna dire di più: non hanno alcuna idea delle leguminose in genere e degli ortaggi. Ma che dico: ortaggi? Esse ignorano addirittura gli orti, la terra, le foglie, l’erba, gli alberi e tutto il mondo fasciato d’aria. Non sanno che in qualche parte lontana esistono i prati su cui si rincorrono fanciulle con grandi cappelli di paglia e lunghe vesti leggere tra piccole margherite; ignorano i canneti. Non vengono a contatto coi piselli che dentro il tegame sul fuoco, quando sono già spellate, tagliate a pezzi e quasi cotte, che non è certo la condizione ideale per apprezzare la vicinanza di chicchessia, si tratti pure di personaggi rispettabili come i piselli.
Dal canto loro questi — ammesso che abbiano delle idee – non possono avere nella migliore ipotesi che un’idea molto vaga del mare. Più che altro per sentito dire. Sono chiusi nel baccello, poveri pallottolini ciechi che non si sa, davvero per chi esistano, là dentro, e, se non ci fossero gli uomini a tirarli fuori, ben difficilmente vedrebbero il sole. Non vedono nemmeno i prati, l’orto in cui nascono, figurarsi il mare e le profondità di esso. E probabilmente delle seppie non avranno mai sentito nemmeno il nome. Eppure si direbbero fatti gli uni per le altre.
Ma l’uomo è uno strano animale. Fabbrica le barche, la fiocina, le lampade. Non si contenta di pescare in modo semplice e primitivo con la canna, o le reti, o le nasse, pesci più a portata di mano. Vuole anche le seppie. Di notte va sul mare lentamente costeggiando gli scogli in silenzio. Da lungi si vede l’abbagliante lampada, la luce che penetra nell’acqua e la colora, fruga le anfrattuosità degli scogli e dà qualche bagliore fuggitivo al volto intento del pescatore.
Intanto coltiva gli orti, pianta i piselli, li cura e sorveglia, li coglie. Poi porta tutto al mercato. Una mattina, ecco le seppie sul banco della pescheria, da una parte; e dall’altra, lontano, ecco i piselli nel reparto ortaggi. Ancora non si conoscono, ignorano l’esistenza gli uni delle altre. Fa freddo. Arriva la donna; qui entra in campo solitamente la femmina dell’uomo che, non paga di fare i figli, vuol fare anche le seppie coi piselli; quel giorno; perché non le fa tutti i giorni; questo non è il cibo particolare dell’uomo; è un capriccio, una raffinatezza, un di più; quel giorno le è saltato il ticchio di fare le seppie coi piselli; senza interpellare le seppie, senza domandare ai piselli se sono d’accordo. La femmina del re del mare, della terra e del cielo, compera le seppie e i piselli mediante il denaro guadagnato e fabbricato; perché l’uomo ha inventato anche il denaro, e lo fabbrica, lo guadagna, lo contende, lo nega.
Ma torniamo alla donna. Va a casa. Spella, taglia, scafa. Seppie e piselli – partiti rispettivamente le une dagli abissi del mare, gli altri dalle viscere della terra, s’incontrano in un tegame sfrigolando.
Da questo momento i loro destini sono legati. Nel primo istante c’è un po’ di freddezza, ma dopo poco, bon gré mal gré, s’accordano a maraviglia. Insieme vengono scodellati, insieme arriveranno a tavola, insieme verranno assaporati e lodati, né cercheranno di sopraffarsi l’un l’altro. Consummatum est. Rientrano nel tutto. Hanno percorso fino in fondo le traiettorie del loro lungo viaggio e delle loro brevi vite che, con un’effimera fosforescenza nel buio dell’universo, si sono incontrate, fuse e spente”.
(da Manuale di conversazione- Achille Campanile)
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