Piazza dei Quiriti 5
Tel. 06.36000009
www.ristorantevelavevodetto.it
Aperto sempre
Un pasto completo sui 40 euro
di Tommaso Esposito
Virginia Di Falco for Rome food consultant!
Ed ecco che una ciurma di napoletani in trasferta papalina si tuffa a capofitto nella cucina romanesca.
Un exursus rapido, ma dovizioso.
Come lo si auspicava: mangione e gourmand .
Siamo nei pressi della Fontana con le nude Cariatidi che spiazzò le romane pruderie degli anni Venti.
Qui Flavio De Maio, che già sta al Testaccio, ha bissato.
Dove c’era un ristorante messicano ha aperto una nuova trattoria di tradizione.
Ha ingaggiato due cuoche, Loredana e Lidia, e un cuoco, Fabrizio.
Ha messo identico nome: Velavevodetto.
Clientela diversa, un po’ più in, ma stesso menu.
Vergato su carta paglia.
E senza scampo.
C’è tutto il quinto quarto di maiale, di agnello, di vitello.
Presentato come si conviene e come sta scritto.
Da sempre.
Dagli antipasti in poi.
Fagioli cannellini con le cotiche. Son pronti per l’aggiunta della pasta, ma si assaggiano con un buon pane bianco. Meglio ancora quello alle olive.
Vino in caraffa. Rosso.
Michele Nusdeo, che conduce la postazione ed è Michele quello famoso del chiaro limpido Carosello Glen Grant, ce l’ha consigliato. Non ha torto, è beverello.
Tenerissimi e gustosi i nervetti scarniti dai pieducci di agnello bolliti. Sono conditi con carote, olio, sale e aceto.
Cibo volgare, sta scritto da qualche parte. Perciò saporito, diciamo noi. Un po’ come il partenopeo père e musso.
Crocchette di favata.
Un vezzo esterofilo del cuoco. Falafel in versione romanesca. Senza troppe spezie, soltanto fave secche rinvenute e rese favata. Poi fritte a mo’ di crocchè. Saporite.
Carciofi fritti. Ricetta giudaica, ma anche papalina. I carciofi reggono le sorti di Roma e son sempre buoni comunque giungano a tavola.
Rigatoni co’ la Pajata.
Ecco, qua ci sarebbe da soffermarsi un po’.
La pajata, cioè il budello di agnello ripieno di chimo, primo derivato della digestione del latte, si lascia andare in padella e se ne ricava un sugo cremoso con la passata di pomodoro. E’ una ricetta cruda e dura. Nasce bianca probabilmente, come l’ amatriciana.
Poi diventa rossa con l’avvento del pomodoro. Sentori ancestrali. Azzardo quelli di un lattantino che sugge le poppe materne. Non la mangiavo da anni. L’ultima volta fu da Nerone al Colosseo. I rigatoni di Gerardo Di Nola portati fin qua da Giovanni Assante fanno la loro parte, amidosi come sono.
E’ una ricetta che attizzerebbe Gordon Ramsay.
Rigatoni alla gricia o griscia.
Guanciale e cipolla lasciati struggere sul fuoco. Se ne ricava il sugo per condire anche qui rigatoni.
E’ l’antenato dell’amatriciana, come dicevo. Porcelloso e succulento. Ricolmo com’è d’uso di pecorino grattugiato.
I Tonnarelli cacio e pepe si assaggiano. Cremosi e tenaci, sono questi spaghetti fatti a mano, quanto basta per dire che son buoni.
Poi contorni e secondi.
Trippa alla romana. Al di qua del Cupolone è’ una ragione di vita come ricorda Belli:
Er monno è una trippetta, e l’omo è un gatto
Che je tocca aspettà la sua porzione.
Che è caciosa, pomodorosa, morbidona al palato.
Poi la Coratella. Un po’ tutte le interiora dell’abbacchio.
Sono soffritte in padella di ferro e servite così come riescono: naturalmente sapide, ferrose, ruvide.
Si dice che le Polpette di bollito di Flavio siano tra le migliori di Roma. Dorate e fritte sono fatte con manzo, gallina, mortadella, noce moscata, pane spugnato, patate lesse, prezzemolo, sale e pepe.
Stanno in compagnia di scarola e patate
L’ insalata di puntarelle è buona e non manca.
Così pure i broccoletti lessati, strizzati, ripassati con lardo, sfumati al vino bianco dolce.
E dove si assaggiano siffatti?
D’altronde la cucina de Roma è fatta proprio così. L’importante è essere pronti all’impresa.
Che mmaggnà da stroppiati! io ne sò mmatto.
E gguarda er Papa, che davero è jjotto:
ce se lecca li bbaffi com’un gatto.
G.G. Belli
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