di Virginia Di Falco
Diciamo subito che questo posto ci è piaciuto molto. La ragione è nelle persone che lo hanno costruito. In quelle che sono in cucina e in quelle che sono in sala. Perchè è un posto dove si sta bene. Dove si lavora per far star bene chi entra. E lo si trasmette raccontando le origini dei piatti, i loro nomi, la loro terra.
Ogni proposta dunque è una storia, ben definita. Ogni piatto è nuovo, eppure non è inventato. Non ha mai l’ingombrante sapore del nulla. Sentirete il pane, i pomodori, il latte, il mare, il cioccolato. Riceverete la giusta attenzione e vedrete soddisfatta ogni curiosità. Il personale è preparato e partecipante. In una parola starete bene. Il patron Marco Ledda fa da apripista con menu e proposte del giorno: il mercato permette di introdurre un guizzo imprevisto ma fa anche cancellare qualche piatto, pur se gettonato.
Mentre riflettete sul da farsi, un piccolo aperitivo (pensiero gentile che non trovate nel conto) con un bicchierino di Bloody Mary e del pane e pomodoro. Si. Pane e pomodoro. Tanto per non dimenticare chi siamo e da dove veniamo.
Come benvenuto, un’alice marinata (alla perfezione) su un boccone di burrata pugliese, con il grasso del formaggio che arretra di fronte alla freschezza e sapidità del pesce. La carta è in buon equilibrio tra mare e terra. Però è il primo ad avere una marcia in più, la partita tra le due città nel cuore dello chef Luigi Nastri, Amalfi e Roma, finisce uno a zero.
Cominciare con la zuppa di pesce crudo è infatti quasi indispensabile. Un’esperienza da non perdere. Sei diversi tipi di pesce, a seconda del pescato, serviti in acqua di pomodoro e schiuma di mare. Figuriamoci, «schiuma di mare», ho pensato con lo scetticismo di chi sul mare ha vissuto per vent’anni. E invece si sente davvero. Forte e inconfondibile ai sensi, molto più del pesce crudo. Il mare a morsi. Un piatto da dieci e lode.
E anche il pesce spada, uno dei più difficili da rispettare in cucina – dove in genere lo si uccide con una seconda mattanza – viene alleggerito da una centrifuga di cetriolo e dall’aceto di riso che gli danno una bella spinta. Anche i primi piatti non deludono.
Abbiamo provato un risotto alla parmigiana di melanzane, ben eseguito, divertente, servito con sopra gli ingredienti della parmigiana scomposta. Un gioco, ma anche una lezione, sui sapori base della nostra mediterraneità.
E poi, ancora, l’omaggio all’amico e al maestro Gennarino Esposito, con una minestra di pasta mista con ceci e gamberi che richiama la minestra di pasta mista di Gragnano. Il must del menu, secondo molti, anche se a noi è toccata una versione con un pizzico di sale di troppo.
Dalla carta: triglie e ricci con lattuga di mare e di terra; latte di capra, patate asparagi e tartufo; coniglio con giardiniera e cipollotto alla cacciatora; ravioli alla genovese in brodo di pecorino; bastoncino di pesce azzurro con insalata di agrumi.
Il Luca Boccoli, sommelier di sala, aiuta in maniera discreta nella scelta degli abbinamenti, dalla carta, molto ben impostata e senza ricarichi eccessivi (di sotto una cantina con circa 1500 etichette) o alla mescita, con tante proposte al bicchiere che variano di giorno in giorno sulla lavagna accanto al bancone.
Per chiudere, i dessert di un giovanissimo interprete della migliore pasticceria francese, Stéphan Betmon, formatosi alla scuola di Pierre Hermé. Si può scegliere tra menta, yogurt e pistacchio, millefoglie di mele e amaretto, insalata di frutta e tè giapponese.
Molto delicato e ben lievitato il babà al rum con crema e fragole
Ottimo il gianduia del dolce giardino piemontese, riuscito omaggio alla regione italiana del cioccolato.
Il tutto in un ambiente rinnovato, pensato, curato (lo sono anche le toilettes); dove il servizio si traduce nel far star bene gli ospiti e non in una voce del conto. Conto che, peraltro, si aggira sui 50 euro: poco di più di quello che si paga in una trattoria del centro.
Arredo semplice ed essenziale tra scaffali di libri e bottiglie, un angolo bar e una sala con il bancone pasticceria. E che bello ritrovare in vaso i gladioli, fiore nostrano diventato demodè dopo l’invasione asiatica delle orchidee ikebanate (sembra che nessuna ristrutturazione di hotel o ristorante riesca a farne a meno).
Possibilità di aperitivo, dalle 18 alle 20 o di spuntino veloce al banco con degustazione di salumi e formaggi. Soprattutto la sera, obbligatorio prenotare. Se siete in cerca di suggestioni, obbligatorio frequentare.
Settembrini Vino e Cucina
Via Settembrini 27
Tel.: 06 3232617
Fax: 06 3232617
Aperto a pranzo e a cena. Chiuso il sabato a pranzo e la domenica
www.ristorantesettembrini.it
info@ristorantesettembrini.it
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