di Virginia Di Falco
Siamo al Salario, in via Savoia, dove da poco più di due anni questo ristorante si è trasferito lasciando Capena, un piccolo comune della campagna romana. Lo chef è Giovanni Scomazzon, trentaquattro anni, otto dei quali trascorsi in Inghilterra e che può vantare nel suo curriculum passaggi formativi importanti nelle cucine di Alain Ducasse, Alberico Penati e Sergio Mei.
Origini venete (è di Bassano del Grappa) che si ritrovano nella sua cucina, insieme a quella classica romanesca che deve, invece, molto più semplicemente, agli insegnamenti della suocera. E infatti troverete in carta il cacio e pepe e l’amatriciana. Con, in più, una buona offerta di pesce, proposto a seconda del mercato.
Io ho provato qualcosa dal veloce e semplice menu del pranzo, ma non ho certo avuto l’impressione di piatti superficiali o monchi. Ovviamente il servizio è adeguato ad un’offerta di business lunch, tovagliette di carta, apparecchiatura minimale, per un conto che si attesta sui 30 euro.
Ho assaggiato una gustosa panzanella di crostacei e molluschi, molto fresca, ben assemblata e con una materia prima di qualità e, per restare in tema, una carbonara di mare, con lo zafferano a sostituire il colore dell’uovo e i cubetti di pomodoro fresco a mo’ di guanciale. Un piatto ricco, goloso, con la giusta cremosità e grassezza. E, particolare che mi ha colpito, con i pomodori che sapevano di pomodoro.
Altrettanto ricco l’altro antipasto: un tortino di verdure al tartufo servito con sopra un fiore di formaggio. L’altra carbonara, chiamata “Puccini” pur ben eseguita, è un piatto che diventa forse troppo impegnativo con il tartufo. Nella carta serale, invece, molto più lavoro sulle verdure e sui dessert oltre, ovviamente, alle interpretazioni degli ingredienti canonici della cucina veneta: baccalà, bigoli e riso.
L’ambiente, in legno scuro e un tocco di rosso, con una parete a scaffale per le bottiglie, riesce ad essere non austero grazie ai tavolini da bistrot e ad un servizio veloce, presente e vivace.
Io ci sono stata nella fase di cambio di stagione, quella – precisa Giovanni – «in cui si saluta il radicchio per dare il benvenuto all’asparago bianco di Bassano, prodotto D.O.P.» al quale ovviamente lo chef è molto legato. Si ferma volentieri a raccontare storie e personaggi dei suoi anni in Inghilterra, dei suggerimenti e delle battute di Ramsey e di Blumenthal (il nome del locale è un omaggio al celeberrimo chef londinese — anche se poi l’anatra nel menu c’è per davvero). Ha ben chiaro però che entrambi sono soprattutto protagonisti dello star system internazionale che è una cosa ben diversa dalla gestione quotidiana di una cucina. A lui oggi interessa continuare umilmente il suo lavoro nel suo ristorante alla ricerca dei suoi prodotti preferiti. E su una cosa non ha dubbi. Per fare questo lavoro si deve viaggiare molto e lavorare il più possibile all’estero dove, secondo lui, la cucina è considerata un lavoro importante, complesso e prestigioso, paradossalmente molto più che in Italia.
Cantina più che apprezzabile, con sommelier in sala, e conto serale sui 50 euro.
Via Savoia, 68
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso sabato a pranzo
Tel. 06.8557736
www.anatragrassa.eu
Dai un'occhiata anche a:
- Villa Ischia Restaurant ad Atina: un luogo che coniuga l’atmosfera di campagna e di una baita di montagna
- Diadema all’Impruneta, il ristorante di Firenze che non ti aspetti alle porte del Chianti
- Relais Le Jardin: un viaggio gastronomico nel cuore di Firenze
- Quale sarà il prossimo step dello stellato L’acciuga a Perugia?
- OSMO Cucina a Firenze, il rifugio sicuro nella strada più turistica d’Italia
- Roma, 47 Circus Roof Garden, Il ristorante sul tetto di Roma antica
- Quarant’anni di Madonnina del Pescatore, Moreno Cedroni da Venezia a Pechino come Marco Polo
- “La Casetta” a Carbognano nella patria di Giulia Farnese alla scoperta dei sapori di un tempo