di Virginia Di Falco
L’insegna Hostaria che vedete all’ingresso è solo un omaggio alla memoria degli antenati di Agata Parisella, famiglia di ristoratori proprio qui all’Esquilino, a pochi metri da Santa Maria Maggiore, sin dalla fine dell’Ottocento.
Memoria che ritroverete ovviamente nei suoi piatti di cucina squisitamente romanesca, che però i suoi viaggi e le sue esperienze hanno reso sempre più eleganti e raffinati. L’insegna che racconta il percorso di Agata e di suo marito Romeo, originario del Sannio, sommelier e custode di una portentosa e pluripremiata cantina è dunque in realtà quella di un ristorante del circuito Jeunes Restaurateurs d’Europe, quella della più volte confermata stella Michelin e dei diversi riconoscimenti ormai più che decennali delle guide specializzate.
Locale curato dalle linee classiche, opere d’arte alle pareti, la collezione di teiere di Agata che fa capolino in due angoli della sala, tavoli distanziati per una trentina di coperti in tutto. In sala siamo accolte da un giovane preparato e professionale, che lavora con una cortesia piacevole e non invadente.
Un’atmosfera che riporta un po’ indietro negli anni, ogni traccia di melting pot dell’Esquilino sembrerebbe lontana chilometri da qui, se non fosse per i musulmani che disegnano l’ombra della loro preghiera sui tappeti al di là della finestra sul cortile, in fondo alla sala.
Il benvenuto è realmente tale, nel senso che predispone al pasto con la giusta curiosità del palato prima ancora che della testa: una polpettina di pane raffermo speziata, erborinata e agrumata su una crema di crostacei. Fresca e golosa.
Decido di cominciare, qui ed ora, il rito primaverile capitolino della «vignarola», la zuppa di favette fresche, piselli, carciofi e pancetta servito con un crostino all’olio extravergine di oliva. Piatto delicato, profumato e olio specialissimo, non a caso Agata ha scritto un libro su questo elemento prezioso che l’accompagna sempre, come lei stessa racconta – insieme al marito – nei sui viaggi gastronomici all’estero. I pani, le “streghette” e i grissini, tutti fatti in proprio, sono davvero buoni e sono la conferma di un’accurata selezione di materie prime e spezie di qualità.
Intanto, la Coca cola con limone ordinata dai russi del tavolo vicino come aperitivo fa apparire meno irriverente la mia scelta di bere solo acqua minerale. Ma dopo mi aspetta un pomeriggio di lavoro e non posso rischiare di crollare sul mio Mac. Per dovere di cronaca i russi con la coca cola ci chiuderanno anche il pranzo, fatto salvo un intermezzo con una bottiglia di Angelo Gaja.
La mia compagna di tavolo sceglie invece un risotto allo zenzero fresco con lime e frutti di mare servito con un’ostrica fritta al nero di seppia. E’ il piatto che ci ha convinto di meno. Complici vongole e cozze senza la giusta sapidità, persino lo zenzero fresco non riesce ad avere ragione della eccessiva dolcezza della mantecatura. Si continua, recuperando il rapporto con il mare, con un rombo chiodato accompagnato da un budino di asparagi e da un ciuffetto di asparagi raccolti nella pancetta e da un quadrotto di rombo impanato e fritto e servito su uno stecco a mo’ di gelato pralinato. Cottura perfetta del pesce e con buon equilibrio complessivo raggiunto grazie alla spinta amara del verde e alla giusta iniezione di grassezza.
Ma il piatto da dieci e lode l’ho preso io. Detta in sintesi: il piatto che vale il viaggio o, più semplicemente, la spesa. La famosa variazione di baccalà di Agata: la sapidità nature del carpaccio mitigata da un olio dolce e profumato; il classico irrinunciabile del fritto, dalla panatura impeccabile e asciutta del filetto alla sfizioseria del piccolo toast con dentro la bottarga; e ancora, la classicità del guazzetto di pomodoro e basilico – perchè, come si diceva prima, anche la memoria vuole la sua parte – la sontuosità del baccalà mantecato; la robustezza dell’abbinamento del filetto con i peperoni che profumano di orto. E da sgranocchiare, tra un passaggio e l’altro, le croccantissime chips di pelle di baccalà che, come ci insegnano gli islandesi, si mangiano e non si buttano certo via. Un piatto completo, raffinato, con il giusto tributo alla tradizione romanesca ma anche molto moderno ed immediato.
Si può chiudere con il classico millefoglie, la variazione di cioccolato, la composta di sorbetti oppure, se alla vista della parola babà il vostro ricordo si fa struggente come succede a me, tuffarvi in questa pasta leggerissima alla crema inglese. Il momento finale dolce è ovviamente comprensivo di predessert e piccola pasticceria.
Il conto è sostanzioso: antipasti e primi piatti a 25,00 euro; secondi piatti a 35,00; dessert a 20,00. A pranzo si può scegliere una formula easy che prevede due piatti e un calice a 35,00 euro. Il menu degustazione tradizionale è proposto a 110 euro; quello di “Agata e Romeo” a 130.
Agata e Romeo
Via Carlo Alberto, 45
Tel. 06.4466115
Aperto a pranzo e a cena
Chiusura: sabato a pranzo, domenica e lunedi a pranzo
ristorante@agataeromeo.it
www.agataeromeo.it
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