Lo ammetto. Adoro i ristoranti nei musei. Soprattutto quando sono ben fatti e di qualità. Trasferirsi dalla pittura, scultura o fotografia all’arte della cucina è un passaggio logico rassicurante. Inoltre, da un punto di vista meramente pratico, il museum restaurant mi sembra una confortevole opportunità civica e civile da offrire ai visitatori — così come accade in analoghi contesti internazionali. Apprezzo molto, dunque, chi si organizza per un buon lunch (light sia nel menu che nella spesa) come il maestro Colonna fa ormai da diversi anni al Palazzo delle Esposizioni. Una pausa pranzo a prezzi contenuti, in una bella sala e con una hotellerie decente ristora non solo i visitatori, ma diventa un’occasione anche per un veloce break di lavoro o lo stimolo alla visita di una mostra per un residente un po’ pigro.
Il MACRO di via Nizza (Museo di Arte Contemporanea di Roma, l’altra sede si trova al Testaccio) è uno dei palazzi d’arte cittadini che offre questa opportunità. Terminato da poco più di un anno, dopo due lustri di lavori, comprende – ampliandola – la vecchia fabbrica della birra Peroni di via Reggio Emilia, al Nomentano. Se n’è occupata l’architetta francese Odile Decq, firmando con il suo consueto tocco rosso il vetro e l’acciaio della nuova struttura.
Da quello che si legge in giro, però, né l’opera della poliedrica bretone né il ristorante gestito di sera dallo chef Marco Milani sono piaciuti granchè ai romani. SPQR. Sempre Polemici Questi Romani? O c’è dell’altro?
Approfittando banalmente di mezza giornata libera ho deciso di fare una visita alle opere esposte fino a domenica 12 giugno e, come si dice, di annusare l’aria. Anche se so che a pranzo non c’è la cucina di Milani.
Sono proprio cascata bene, giacchè la prima installazione che ho incontrato – un’opera monumentale di Ernesto Neto che mette insieme dei pesi e contrappesi fatti di sacchetti di lino pieni di spezie – riempie di profumi tutta la sala Enel del pianterreno.
Ammetto che prima della spiegazione della guida all’ingresso, pur adorando cumino, cannella e cardamomo, ho pensato che non funzionasse bene l’impianto di areazione della cucina al terzo piano….
Le sale sono imponenti, lo spazio e la luce in mostra come le opere. Ci lavorano in tanti, e molte cose sono ancora da mettere a registro, come ad esempio l’ascensore dove i numeri dei pulsanti non corrispondono ai livelli dei piani. Intrigante il Laboratorio Schifano, un viaggio multimediale attraverso il recupero del quotidiano dell’artista mentre l’archivio di Fabio Sargentini sul suo “Attico” fucina di artisti impegnati nella «Ginnastica Mentale» alla fine degli anni Sessanta, apre uno spaccato su un decennio di grandeur romana nell’arte contemporanea, quando nella capitale si concentrava «il formicolio delle menti del mondo».
Ma veniamo alla pausa pranzo. Siamo all’ultimo livello. L’ingresso del ristorante è dalla terrazza, che ancora non è completamente allestita. All’interno una sala grande e luminosa, i colori e i materiali sono quelli del museo.
Nero, rosso, tanto vetro. Alle pareti vetrine frigo con i vini, tavoli sobri, un grosso banco con vini e distillati. Al centro, i tavoli con il buffet. Formula self service, i camerieri al tavolo chiedono cosa si vuole bere, si muovono con cortesia, e riassettano spediti.
Vengo colpita subito dalla figura della direttrice di sala. Volto sorridente, un fisico con la grazia e la forza da danzatrice professionista, si muove con risolutezza tra sala e cassa. Sguardo da regista, non perde di vista un tavolo. Sarà la reazione del mio inconscio all’indiscutibile eleganza della magrezza che mi fa dirigere decisa verso il tavolo delle insalate.
Questa parte del buffet è molto ricca. Oltre a tante verdure e ortaggi da condire a piacere, ci sono insalate di legumi, di grano e orzo, di polpo e ceci, di tonno, con mozzarella, insalata russa.
Dall’altra parte pasta, e i secondi piatti di pesce e carne.
I paccheri giganti al pomodoro e basilico hanno una bella faccia, poi ci sono fusilli al pesto e tubetti allo zafferano, anche questi in insalata. Tra i secondi di carne roast beef classico, pollo arrosto e ancora, patate al forno, zucchine grigliate.
E poi l’angolino dei dessert: tortino di cioccolato e panna cotta, crostata di visciole e noci, oppure, per chiudere con meno calorie, una ricca insalata di frutta fresca.
Si può prendere quello che si vuole e quanto si vuole. Il prezzo è di 15 euro, acqua inclusa. Nei week end l’offerta è più ricca e il prezzo a persona sale – si fa per dire – a 25 euro. A parte, si può scegliere un vino al bicchiere o dalla carta del ristorante.
Beh. Che dire di più. La mia insalata, anzi, il mio collage di insalate era buono. L’atmosfera rilassata e tranquilla, nonostante il solito manager con uso compulsivo del cellulare. E poi, a costo di essere impopolare, adoro questi posti non popolari. Se la struttura austera del Museo serve a filtrare l’ingresso di chiassosi paninari e cocacolari, io faccio un doppio brindisi a Odile Decq.
Virginia Di Falco
Ristorante Macro 138
Via Nizza 138
Aperto dal martedì al sabato dalle ore 12.30 alle 15.00 e dalle 20.00 alle 23.00 e la domenica dalle 12.30 alle 15.00.
Chiuso il lunedì e la domenica sera.
Si accede al MACRO 138 dall’ingresso del museo o tramite ingresso indipendente su via Nizza 138.
Per prenotazioni
tel. 06 8548274
www.macro.roma.museum
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