Roma, La Piccola Amatrice, vera trattoria di quartiere

LA PICCOLA AMATRICE
Via Tripoli 24-26
Tel. 06 8620 0266
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso: domenica sera

di Virginia Di Falco

Della retorica della «cucina della nonna» davvero non se ne può più. Anche perchè è diventato un refrain noioso, oltretutto parecchio lontano dalla realtà. Dove staranno mai tutte ‘ste nonne e la loro memoria, in un Paese demograficamente vecchio e dunque sì pieno di nonne, ma che appartengono ormai quasi tutte alla generazione che non ha mai cucinato, figurarsi conservare una ricetta.
In attesa di liberarci di questa etichetta un po’ imbrogliona, sta però sta prendendo piede un’altra retorica per così dire gastronomica: quella del «locale di quartiere». Aprono ormai un giorno sì e l’altro pure pizzerie di quartiere, trattorie di quartiere e così via. La spiegazione può essere fatta risalire al bisogno sempre più sentito di voler proporre (e comunicare) qualcosa di ‘riconoscibile’, con delle radici locali condivise, così da contrastare il fenomeno dilagante di mangifici anonimi e terribilmente omologati.

Ma quanti sono oggi a Roma i locali davvero “di quartiere”? Quelli, cioè, che possono vantarsi di essere un punto di riferimento per gli abitanti di una comunità e, dunque, spendersi credibilità e fiducia anche con i clienti più occasionali?

Tutto questo discorsetto per dire che, ritornati di recente nel locale di Mirko Di Gianvito, La Piccola Amatrice, ci siamo trovati nel piatto – è il caso dire – tutti gli ingredienti di una vera (e verace) trattoria di quartiere.

Partiamo dalla prenotazione, che si fa ancora al telefono. A voce. Senza segreteria o rimandi al web o risponditore automatico. Il proprietario in carne e ossa risponde, e se non ci sono posti in sala (pochi tavoli, vicini vicini, arredata alla buona) ti propone l’alternativa della saletta al piano inferiore, più angusta e più scomoda, avvertendo del disagio. Salvo poi chiederti, quando arrivi, di aspettare due minuti, se si sta liberando un tavolo, per darti un posto più felice. Insomma: in una parola, accoglienza. Rapporto umano, personale, vivo.

Gestione familiare (sono originari di Amatrice, da qui il nome del locale), passata da padre in figlio. Pochi piatti, scritti alla lavagna, soprattutto di cucina romana, gli antipasti al buffet, come 50 anni fa. Ci si chiama per nome, si chiacchiera con i tavoli vicini. Le porzioni sono generose, per usare un eufemismo, i prezzi molto contenuti. Se arrivi tardi, trovi via via cancellate le voci del menu alla lavagna. Ma qualcosa dalla cucina esce sempre. Nessuna paura: qui non si resta digiuni.

A qualche turista di passaggio non sembra vero: e infatti hanno il tavolo pieno di piatti e scodelle, hanno ordinato tutto il menu.
Gli spaghetti all’amatriciana sono da manuale, veraci come il proprietario. La trippa chiama la scarpetta. Il roastbeef è cotto alla perfezione.

Ma c’è una cosa, accaduta a fine serata, che chiude definitivamente  il cerchio delle riflessioni sulla categoria di vera trattoria di quartiere. Nella sala ormai semivuota (in cucina hanno cominciato a pulire) si affaccia timidamente uno studente e si rivolge a bassa voce al proprietario. Gli chiede se è possibile avere UN PIATTO DI SPAGHETTI AGLIO E OLIO DA PORTARE VIA. Indovinate cosa gli hanno risposto.

qui di seguito la scheda della nostra prima visita, 1 marzo 2018:

di Virginia Di Falco

La Piccola Amatrice a Roma. Siamo a due passi dalla fermata metro Libia, e arriviamo in questo piccolo ristorante di quartiere proprio nel giorno della grande nevicata. Per fortuna abbiamo prenotato: anche i proprietari, ci diranno poi, non si aspettavano il locale pieno. Fuori fa freddo, le strade sono coperte di neve, molti alberi spezzati dal troppo carico sono ancora sulle auto parcheggiate dalla notte prima.
La sala all’ingresso con i tavoli da due e da quattro che all’occorrenza diventano da sei, le pareti giallo canarino e il piccolo buffet dove servirsi in attesa del primo piatto, rimandano subito agli anni Ottanta, quando la famiglia Di Gianvito apri’ questa attività.

Su due pareti le foto di una quercia secolare, in versione estiva e ricoperta di neve: ha 600 anni ed è il simbolo di Sant’Angelo, la frazione di Amatrice dove è nato il proprietario. E’ bella e forte, tanto che il terremoto del 2016 è riuscito solo a staccarne due rami.
Da quasi 35 anni ai fornelli, Vito lo racconta con orgoglio, oggi che con la moglie Daniela in sala, aiutata dal figlio Mirko, porta avanti una cucina semplice e schietta che non ha mai smesso di guardare alle origini.
Menu recitato a voce e rinforzato dalla grande lavagna con i piatti del giorno sulla scala che conduce alla saletta inferiore: i primi sono quelli classici, spaghetti all’amatriciana e alla carbonara in testa, ma ci sono ovviamente anche gricia e cacio e pepe.

Poi trovate le penne all’arrabbiata, gli spaghetti alle vongole oppure con cozze e pecorino, il riso con la crema di scampi, mezze maniche con broccoli e salsiccia, l’abbacchio con patate, il maialino porchettato,la spigola al forno, la frittura di paranza, e così via. La sera poi c’è anche la pizza (bassa e scrocchiarella) cotta nel forno a legna.

Soprattutto, visto il freddo che fa fuori, c’è la polenta con la salsiccia e le spuntature, con il sugo bello scuro e saporito.

Al buffet si possono prendere piatti freddi, soprattutto verdure e contorni vari; altrimenti richiedere cicoria ripassata o patate al forno.

I primi piatti – avviso ai naviganti – sono serviti in porzioni da camionista: siamo sui 150 grammi almeno. L’amatriciana è ben eseguita, con sugo di pomodoro cremoso di pecorino ma non invasivo, e guanciale asciutto e croccante. Anche la carbonara ha qui i suoi fedelissimi, e a giusta ragione: la crema di uovo e formaggio ha la giusta consistenza e non si lesina certo sul condimento.

Arrivati qui per provare soprattutto l’amatriciana, in realtà siamo rimasti colpiti piacevolmente dalla trippa alla romana: dimenticatevi dei bocconi gommosi e sbiancati. Qui il discorso si fa serio: ci sono tutti i tagli, il colore è scuro, la cottura perfetta. Una trippa vera, insomma. Con il sugo che chiama il pane anche per i più refrattari alla scarpetta.

Da bere qualche etichetta nazionale, birra artigianale, oppure vino dei Castelli imbottigliato dalla casa.
La clientela è composta per lo più da affezionati e funziona prevalentemente con il passaparola: dagli studenti fuori sede agli operai che lavorano nell’impresa edile vicina e fanno una pausa veloce ma sostanziosa con ancora in testa il berretto, dal vecchietto solitario ai mangiatori seriali di carbonara.
L’atmosfera è davvero familiare e informale, la vicinanza dei tavoli facilita la chiacchiera e restituisce alla parola ‘condivisione’ il significato che aveva prima dell’era di Facebook.

Quasi inutile aggiungere, a questo punto, che siamo di fronte alla ormai sparuta categoria dei posti dove «si mangia tanto e si spende poco»: ammesso che riusciate a far fronte alle quantità del primo piatto, per un pasto completo siamo intorno ai 25 euro.
Un’esperienza da fare se siete alla ricerca di posti autentici e familiari, dove la dimensione di quartiere e la tradizione della provincia – in questo caso della terra di origine di una delle ricette più famose d’Italia – resistono tenacemente e genuinamente alle mode.
La Piccola Amatrice
Via Tripoli 24-26
Tel. 06 8620 0266
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso: domenica sera

 


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