di Virginia Di Falco
E’ di due settimane fa la notizia del nuovo piano del commercio di Roma atteso prima dell’estate. Oltre un milione di metri quadrati da destinare a megastore, ipermercati e centri commerciali che si aggiungeranno al milione e mezzo di metri quadrati già esistenti. Ma quanti accidenti sono un milione e 150 mila metri quadrati? L’unico calcolo facile facile è che si moltiplicheranno, anzi, si cloneranno a perdita d’occhio centinaia di migliaia di prodotti tutti uguali, indistinguibili. L’incubo dei replicanti in nero di Matrix che diventa realtà.
Meglio scendere con i piedi per terra, allora, e prendere la Metro A per Giulio Agricola. Destinazione quartiere Don Bosco, da Roberto Liberati, per tirare un sospiro di sollievo.
Qui dove la parola Bottega ha ancora un significato, un odore, un’atmosfera riconoscibile e calda.
Tanti anni fa era la macelleria di quartiere di Emilio, il papà di Roberto che ancora sceglie, seleziona e manipola letteralmente le carni prima di farle finire in uno dei banchi più schietti e vivaci di Roma: polpette di tutti i tipi, zucchine farcite con macinato pronte da mettere in forno, fazzoletti di carne imbottiti, spiedini, hamburger e cotolette degne di questo nome, abbacchi sontuosi, pezzi pregiatissimi e quinto quarto poverissimo. Provenienza qui è una cosa diversa dal diktat di Bruxelles sulle etichette. I luoghi e le persone hanno tutte un nome, spesso il cognome non serve perché chi produce e porta qui le sue cose è un amico, qualcuno che Roberto va a conoscere di persona o invita nella sua bottega. Come ad esempio i «Maghi Infarinati» di Ivrea che prima di Pasqua hanno preparato e fatto assaggiare in bottega le loro meraviglie artigianali.
E ancora la pasta dell’Abruzzo e di Gragnano, i formaggi più buoni d’Italia, la straordinaria mozzarella di bufala di Riva Bianca, il miele biologico della valle del Tanaro, il casatiello e i pani di Gabriele Bonci, le colombe e i panettoni di Alfonso Pepe, i vini biodinamici e le birre artigianali, le miscele di tè di Alessandra Celi.
Ti perdi tra mille etichette che in realtà sono bigliettini di presentazione, di auguri, di partecipazione. Quasi tutte le persone che entrano si conoscono tra loro, salutano affettuosamente padre e figlio, cercano con cura tra i banchi, riempiono piccole sporte di vimini invece di sacchetti di plastica. Una rete di amici, di amici degli amici, di conoscenti che tornano per il piacere di ritrovarsi. E che hanno tutti una faccia riconoscibile, tanto che Roberto ama fotografarli e tenerli nel suo album di bottega. Nessun anonimo, nessun clone. Mi fermo un momento a pensare alla ricchezza inestimabile contenuta in un posto come questo.
Certo, un pacco di pasta artigianale costa come tre al discount; con gli euro che occorrono per la colomba di Pepe compri sei colombe industrali in offerta speciale; e a occhio la ricotta di Riva Bianca costa come uno stock intero di quel prodotto bianco molliccio con lo stesso nome imbustato da una multinazionale.
Si chiama consumo consapevole. Costa carissimo. Ma anche riempire a casaccio una busta di plastica al centro commerciale ha il suo prezzo. Tanto difficilmente stimabile quanto non immediatamente percepibile.
Ho conosciuto Roberto Liberati su facebook e grazie ad amici comuni mi sono fatta l’idea di una persona giovane convinta che la sua parte si fa aprendo ogni giorno la saracinesca della propria bottega e della propria mente, senza nessuna preclusione e senza alcun pregiudizio. Anche solo in pochi metri quadrati.
Ad avercene, come chioserebbe qualcuno.
via Flavio Stilicone 278
(Metro A Giulio Agricola – quartiere Don Bosco)
Tel. 06.71544153 – 06.7101156
Aperti:
dalle 8.30 alle 13.30
dalle 17.00 alle 20.00
Chiusi: lunedì (a luglio e agosto chiusi il sabato pomeriggio)
info@bottegaliberati.com
www.bottegaliberati.com
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