Via della Giustiniana, 5
Tel. 06 45424282
aperto: a pranzo e a cena
chiuso: il sabato a pranzo e la domenica
www.incannucciata.com
Prima di raccontare qualcosa di questo posto, del suo chef e della sua cucina, una necessaria premessa. Siamo nella periferia nord (incrocio tra via della Giustiniana e via Flaminia). Mi trovo in tarda mattinata bloccata con un’amica da un appuntamento saltato e insieme pensiamo ad una pausa pranzo di consolazione da Dino De Bellis, chef autodidatta super attivo che lavora proprio qui. L’amica che è con me telefona e prenota. Ci troviamo così, meno di un’ora dopo, senza preavviso, all’Incannucciata.
Rinunciamo al menu fisso e scegliamo quattro diversi piatti dalla carta. C’è tutto, ed è anche molto buono. Scopriamo solo alla fine che Dino non era ai fornelli. Sta girando un programma TV (anche lui??!!). In cucina, però, tutto gira come deve girare. Dino sarà anche autodidatta ma l’aspetto organizzativo (e anche quello della comunicazione) non gli è di certo estraneo.
L’osteria, alla quale Dino ha aggiunto l’aggettivo “antica” per ricordare che la struttura originaria sta lì da più di un secolo e con il suo semplice tetto in canne (da qui il nome) serviva per il ristoro dei pastori della zona. Oggi questa parte della periferia romana, che non è stata completamente devastata dall’edilizia, conserva infatti molti tratti della campagna romana, molto verde, olivi e tante pecore al pascolo. L’osteria è stata ristrutturata qualche anno fa con un piano di recupero responsabile e rispettoso dei materiali. Dentro le salette sono accoglienti, lo stile essenziale. Con il bel tempo si può usufruire del giardino esterno, quasi un patio, protetto da piante di ulivo.
Servizio molto alla mano ma attento, una lista dei vini con poco meno di 200 etichette con un buon equilibrio tra novità, classici, territorio e, non da ultimo, costi. Fa parte, inoltre, delle Tavole della Birra dell’Espresso.
A pranzo, già da qualche stagione, funziona la formula del pranzo all’osteria: due piatti, un primo e un secondo, a dieci euro. La scelta, ovviamente, è limitata. Ma i prodotti sono sempre di qualità, le porzioni abbondanti e chi per motivi di lavoro si trova da queste parti, sicuramente apprezza uno spaghetto all’amatriciana e il classico salsicce e patate al forno (li abbiamo visti girare in sala e avevano proprio un bell’aspetto).
Sempre disponibile, anche a pranzo, il menu alla carta. Abbiamo preso due antipasti e due primi. L’assoluto di cavolfiore: una crema di cavolfiore con la colatura di alici e cavolfiore fritto in pastella. La cosa più buona delle quattro, in assoluto (!). La crema di cavolfiore è delicatissima, perfetta. Il cavolfiore è stato ammansito al naso ma il sapore è reso gagliardo dalla colatura di alici. La frittura, poi, è leggerissima, prende quasi il volo dal piatto. Anche il pate di fegato di coniglio con cialde di polenta e piselli è un antipasto riuscito.
Uno dei primi piatti, le mezze maniche alla carbonara, per dirla con l’espressione preferita di Pignataro, è un calcio di rigore. Eh Eh Eh…. Ma anche i calci di rigore si possono sbagliare. Invece qui l’entrata in porta è garantita: la pasta è di Gragnano (Pastificio dei Campi), la cottura p-e-r-f-e-t-t-a, grande equilibrio e cremosità di uovo e formaggio, guanciale croccante. Che golosità.
Anche l’altro primo piatto è di carattere: cannoli di crespelle gratinate al cinghiale con pomodoro e formaggio. Il ripieno al cinghiale, infatti, non è certo per palati delicati, robusto e un po’ selvatico.
Altro non siamo riuscite ad assaggiare, piatti di corpo, di sostanza. E abbondanti. Quindi, almeno a pranzo, difficile affrontare altro. Peccato perchè il menu prometteva bene: il tomino incartato in pasta fillo e guanciale su salsa verde, l’uovo in trippa alla romana chiamato affettuosamente da Dino “omaggio ad Arcangelo” (l’oste e amico Dandini ndr); i fusilli al ragù di agnello, gli ziti spezzati con ‘nduja robiola e arance, la guanciola di vitello con le patate, la faraona disossata ripiena con pane e salsicce e castagne, i bocconcini di agnello con verza ripassata e uvetta, la millefoglie di manzo in crosta di pane alle spezie e patate. Come a dire, ce n’è per tutti i gusti, quelli veraci da campagna romana e quelli veraci di altri territori e altre culture sperimentati con ordine e disciplina, senza svolazzamenti.
Insomma, se non si fosse capito, questo assaggio di Incannucciata ci è proprio piaciuto. E anche l’oste che non c’era, che grazie all’aiuto del suo secondo, Daniele Marchi, ha ben impostato una cucina classica, senza stanchezza e con tanta voglia di fare. Soddisfazione anche nel conto, per un pasto completo sui 40 euro.
Virginia Di Falco
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