di Antonella Petitti
Rispetto. E’ stato questo il leit motiv della mia visita allo chef Rocco Iannone. L’ironia della sorte vuole che sia stato anche il tema di Identità Golose di quest’anno. Ma stavolta Rocco non vi ha fatto irruzione con Striscia la Notizia, com’è noto a molti. Però, continua a raccontare con forza e personalità il suo punto di vista sulla cucina, sulle tendenze “molecolari” e su quel sistema fatto di giornalisti, guide e pseudo gourmet che lui intende combattere.
Qui, da Pappacarbone a Cava de’ Tirreni, i piatti non si fotografano, in altre occasioni ho provato noia rispetto a questa posizione, da Iannone sono riuscita a guardare la cosa da un altro punto di vista, forse perché ha spiegato bene il suo punto di vista.
“Non voglio che cattive foto dei miei piatti girino su Internet, io non mi preoccupo di fare un bel piatto, l’importante che sia buono. C’è un esercito di ragazzini inesperti che credono di poter giudicare i miei piatti, ma prima dovrebbero andare a scuola, per acquisire le competenze per farlo”.
Ecco la sua essenza è qui. La sostanza prende il sopravvento sulla forma, in assoluto. Un ristorante semplice, lineare, sul bianco. Una mise en place semplice, lineare, sul bianco. Piatti semplici, affatto impettiti, senza nessun fronzolo.
Qui la materia prima è ciò che conta, poi segue l’artigianalità e la mano dello chef. “Nessun mio piatto sarà uguale da una sera all’altra”, ci tiene a specificare Iannone. “Questa è l’artigianalità, la parola opposta all’omologazione imperante, alla standardizzazione che siamo costretti a subire eppure nessuno chef si ribella. Dobbiamo incazzarci quando ci propongono cibi congelati e di 4 stagioni, non possiamo continuare a stare zitti, altrimenti cambiamo lavoro. Non ci sono veri grandi chef in Italia, in Francia si, ma non qui. I più grandi nomi italiani si sono prestati a campagne pubblicitarie vergognose, dalle patatine al fast food”.
Ecco perché non è difficile comprendere il perché sia un professionista molto criticato, che o sia ama o non si tollera.
Gli chiedo qual è il massimo della tecnologia che ha in cucina…Lui non ci pensa due volte, “il bollitore” mi risponde ridendo. Poi ci pensa e aggiunge “l’abbattitore, ma è obbligatorio e a volte serve”. Dal 2005 ad oggi la sua cucina è stata qui, a Cava de’Tirreni, a due passi dal Palazzo di Città. Ma la sua vera casa è nella sua azienda agricola di Fisciano, 5 ettari in cui c’è di tutto, quasi tutto quello che si mangia al ristorante.
A Tenuta Nannina Rocco riesce a realizzare la voglia di controllare l’intera filiera, di essere certo di cosa sta cucinando. “Mi hanno invitato in trasmissioni tv, ma è frustrante dover cucinare con quello che ti forniscono, non mi piace, non lo faccio” – sorride da furbetto e racconta qualche “marachella” fatta ad un collega chef piuttosto che un altro.
Si, lui ama ironizzare, mettendo alla gogna ciò che ritiene offensivo per un mestiere ed un settore che ama da sempre, sin da quando uscendo da scuola (le medie) andava a imparare a far le pizze. Poi l’alberghiero, e tante esperienze anche all’estero.
Ancora oggi si diverte a “trasferire” la sua cucina per due mesi all’anno in Sardegna, al Forte Village. “Io non eseguo, io creo” – continua – “sono allibito quando qualche giovane di talento viene a fare uno stage qui da me e mi racconta che in altre cucine non fa tutto quello che si fa qui da noi. Infatti da un po’ di tempo ho deciso di non proporre alla mia giovane squadra corsi e stage vari, li porto una volta al mese da persone anziane che hanno tanto da insegnare. Si può essere innovatori solo se si conosce bene la tradizione, ed io mi sento innovatore”.
Ma torniamo al rispetto che ho lasciato in testa all’articolo. E’ stato il filo conduttore perché Rocco più di ogni altra cosa chiede rispetto per la materia prima e per la salubrità di ciò che si serve, rispetto per quei giovani che hanno voglia di apprendere questo mestiere e trovano maestri che insegnano loro a far la spesa nelle grandi catene, rispetto per le tradizioni e per la terra.
Non ho foto dei piatti che ho mangiato, ma ne posseggo il ricordo e l’esperienza. In un mare magnum di piatti fotografati e caricati sui social network, forse la scelta è anche furba. Per vederli dovete andare da lui, ma posso confermare che ne varrà la pena.
Si tratta di pietanze che rispecchiano gli ingredienti, ben dosati, equilibrati, chiari. Cotture veloci, leggere, poco invasive. Dopo un delizioso benvenuto ha fatto capolino una zuppa di ceci di Cicerale e bianchetti, ed un’insalata di carciofi e seppie con aceto balsamico. Due i primi: cicatelli in crema di patate e totani e tortelli ripieni di cipolla Ramata, con fave fresche e pecorino di Moliterno. Un secondo: merluzzo con spinaci. Per chiudere della crema catalana aromatizzata alla verbena ed una sfoglia con babà e crema.
Rocco ha molto da dire, sia a voce che nei piatti. Si tratta di un verace rappresentante di una cucina campana, che si è arricchita di competenze, esperienze e di una vocazione agricola sempre più forte.
Andate a vedere i suoi piatti, e se non resistete…mangiateli ad occhi chiusi.
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