di Tonino Scala*
Lasciateci la frittata di maccheroni
Ci stanno togliendo tutto, ma almeno non toccateci la frittata di maccheroni.
Quello che è accaduto a Roccaraso e le polemiche di queste ore mi fanno sorridere, ma lasciano anche un senso di amarezza. Qual è il reato? Dov’è l’offesa? Di cosa stiamo parlando, esattamente? Di famiglie e gruppi di amici che, con semplicità, organizzano una gita fuori porta, salgono su un pullman e portano con sé frittate di maccheroni e panini.
Se il problema è lasciare pulito, sono d’accordo: il rispetto per i luoghi è un principio sacrosanto. Se il punto è regolamentare il flusso di pullman, ha senso discuterne. Ma qui sembra esserci qualcosa di più, un pregiudizio sottile e velenoso, un fastidio verso chi, con pochi soldi in tasca, trova comunque un modo per viaggiare, per ritagliarsi un giorno di libertà.
Vengo da una famiglia in cui le gite fuori porta erano l’unico lusso. Il frigo con il ghiaccio, i panini avvolti nella stagnola, la frittata di maccheroni preparata con cura la sera prima. Poi sono cresciuto in un quartiere di periferia, dove quei pullman organizzati a venti o trentamila lire erano l’unica possibilità per tanti ragazzi come me di vedere il mondo. Grazie a quei viaggi ho visto Roma per la prima volta, ho scoperto città che altrimenti sarebbero rimaste solo nomi nei libri. Grazie a quei pullman ho visto anche io Roccaraso, la neve, il cielo terso che sembrava più vicino.
Eppure, a sentire certi commenti, sembrava che fosse arrivata un’orda barbarica, una nuova invasione degli Unni. Il racconto mainstream ha trasformato una semplice gita in un’invasione disordinata, come se l’allegria di chi può permettersi solo un viaggio in pullman fosse un problema, qualcosa da guardare con disprezzo.
Erano due, tre momenti all’anno, attesi per mesi con la trepidazione di chi sogna un’avventura. L’emozione di mettere da parte i soldi per il viaggio, la speranza che la ragazza che ti piaceva decidesse di partire anche lei, le chiacchiere febbrili su cosa sarebbe successo una volta arrivati.
E allora, sì, regolamentiamo ciò che è giusto regolamentare. Ma non uccidiamo la poesia di chi parte con una frittata di maccheroni nello zaino e negli occhi la voglia di un giorno diverso. Non deridiamo chi, con semplicità, si gode un pranzo all’aria aperta, perché alla fine, chi è più cafone? Chi si siede in un ristorante a mangiare caviale con spocchia o chi divide una frittata con gli amici su una panchina, tra risate e sogni?
Lasciateci questa piccola libertà. Perché dentro quella frittata c’è molto più di un piatto di pasta: c’è la nostra storia, la nostra memoria, il nostro diritto alla felicità. C’è un pezzo di cuore.
* Scrittore Nazional Popolare
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