Roberta Esposito, classe 1983, è ormai nella maturità espressiva della sua professione che la vede fra e poche, pochissime, pizzaiole al lavoro e titolari di una attività, La Contrada ad Aversa. Bazzica tra fornelli e forni da quasi trent’anni perché sin da piccola subì il fascino del fuoco del forno a legna rimanendone irrimediabilmente attratta. E’ brand ambassador de La Gioiella, il più importante caseificio pugliese che produce tra l’altro, la Mozzarella di Gioia dop. E la sua ricetta dell’estate è un semplice paccaro con il cuoccio, alias gallinella di mare.
Figlia di Walter Esposito, fiorentino ma di padre partenopeo come indica chiaramente il cognome, e di Luciana, napoletana doc, è nata e cresciuta ad Aversa dove il papà, funzionario del Banco di Napoli, fu trasferito. All’epoca c’erano solo due ristoranti, uno era proprio la Contrada, famoso all’epoca per il baccalà fornito da una baccaleria aperta alle sue spalle, che nel 1996 viene messo in vendita. Walter decide di rilevarlo dando sfogo alla sua passione per i vini e per il cibo.
“Mio padre -racconta Roberta – decise di comprarlo nel 1996. Avevo appena 13 anni ed iniziai subito a lavorare aiutando il pizzaiolo che avevamo deciso di inserire per ampliare l’offerta. Allora, soprattutto in provincia, non era così netta la distinzione fra pizzeria e ristorante e spesso si usava la pizza come antipasto ai clienti affamati. Imparai così il mestiere, prima facendo da fornaio, ossia dedicandomi alla cottura al forno a legna, poi piano piano entrai nei segreti della lievitazione”
Pizza, ma anche cucina e vini…
“Certo, spesso per esigenze davo una mano alla sala, un luogo del locale che tutti i cuochi e i pizzaioli dovrebbero frequentare perché impari ad entrare in contatto con il pubblico, dalle esigenze alle bizze, una grandissima palestra di vita. Ovviamente continuavo anche a studiare all’Università e da mio padre presi anche la passione per i vini facendo un corso Ais per sommelier. Altro momento formativo che consiglio a tutti perché ti insegna una vera e propria lingua gastronomica. Oggi vendiamo molto più il vino della birra”.
Quando sei passata in prima linea?
“Non è stata una decisione di famiglia, ma una conseguenza. Come ho detto la pizza era un appoggio alla cucina, se ne facevano al massimo 200 a settimana e all’epoca c’era un solo pizzaiolo che io cominciai a sostituire quando, per un motivo o per l’altro, non poteva venire al lavoro. Fu una necessità per non perdere clienti.”
Una sorta di apprendistato tradizionale in cui le cose non si spiegano ma vanno rubate di generazione in generazione.
“Proprio così, a forza di stare vicino al pizzaiolo avevo imparato tutto, prima la cottura, poi i segreti della lievitazione sino allo staglio dei panetti”.
Quando diventi ufficialmente la pizzaiola della Contrada?
“Avevo 24 anni, era un sabato e il nostro pizzaiolo per un serio problema familiare ci avvertì che non poteva venire al lavoro. Mio padre senza perdere tempo mi disse di mettermi al lavoro. Devo dire che mi sentivo sicura e infatti la serata andò benissimo senza scossoni”.
I tuoi fratelli hanno seguito lo stesso percorso?
“Mio fratello Alessio si, è un ottimo cuoco e ci ha consentito di mantenere la formula pizza e cucina anche se ovviamente la pizzeria per tante ragioni è sicuramente più importante. Mia sorella Al
Fui attratta dal fuoco. Mia sorella invece fa altro”.
Cosa è cambiato in questi ultimi anni?
“Tantissimo, ho fatto tante serate in giro per l’Italia e sono momenti di grande arricchimento. In sostanza ero partito dal concetto di pizza come comfort food sino al desiderio di fare qualcosa di diverso. Il tema non è tanto, o solo, l’impasto. Io lo faccio molto semplice, un diretto con lievitazione a 12 o 24 ore a seconda della pizza. La differenza è cosa ci metti sopra e come lo fai. Io amo molto giocare con i prodotti di mare e non è facile ma alla fine quando il risultato viene bene sono soddisfazioni grandissime. L’impasto napoletano è assolutamente superiore, biga o prefermenti vanno bene per la teglia. Almeno io la vedo così”.
Il locale è anche cambiato moltissimo.
“Certo, abbiamo ristrutturato e reso più elegante e funzionale il tutto, non bisogna mai stare fermi e al tempo stesso non dimenticare la tradizione. Per dire, abbiamo mantenuto la pizza del ruoto, una usanza aversana e dei paesi dell’interno, da 15 quindici anni quando ancora nessuno la proponeva. Mi sono appassionata, con il nuovo locale è iniziata la crescita, ora siamo sulle 2000-2500 pizze a settimana. Per vincere servono determinazione, tantissimo lavoro. Buoni collaboratori sono fondamentali. Vincono le classiche, le pizze d’autore fanno divertire il cliente ma bisogna saperle fare”.
Anche Aversa è cambiata?
“Si, si sono aperte tante pizzerie e tanti colleghi famosi e bravi. Io lo vivo come uno stimolo. Non è una torta da dividere, il mercato della pizza è proprio un lievitato che cresce perché è anticiclico e non conoscerà mai crisi anche se è diventato molto selettivo perché il pubblico è cresciuto tanto, ne capisce di più ed è esigenza. Oggi la pizzeria oltre al prodotto buono deve offrire servizi, apririsi alle tendenze del beverage e saper comunicare. Aversa è diventata una capitale della pizza, uno stimolo a migliorare il locale, il servizio, la comunicazione. Se pensiamo a quello che hanno fatto i romagnoli con la piadina adesso lo stiamo facendo noi con la pizza. Il boom è stato positivo, ha fatto bene a tutti e tanti giovani si sono avvicinati al mestiere. Bisogna essere convinti per quello che si fa, non prendersi troppo sul serio, ci siano alti e bassi”.
La ricetta. Paccari con la gallinella di mare
La ricetta è semplice: si parte con il pomodorino vesuviano, secondo me insuperabile perché amarognolo. Lo soffriggo con aglio e peperoncino verde in olio d’oliva. A parte faccio il fumetto con gli scarti del pesce e lo aggiungo al soffritto, lascio andare un po’ e alla fine aggiungo il pesce. A parte cuocio la pasta, salto tutto insieme e completo con del basilico e buccia di limone grattuggiata. Buonissimo.
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