Siamo tutti stellati? La domanda è legittima perché dopo la parola “sagra” degli anni ’90, “prodotti tipici” dello scorso decennio, adesso non c’è evento che non abbia la parola “stellato”.
No, non “stellare”, ma “stellato”, un neologismo dell’era Facebook che conferma il progressivo e inarrestabile assorbimento di quel che resta della lingua e della cultura italiana alle mode globali del momento.
Non essendo più noi produttori di idee, le assorbiamo.
Allora assistiamo a delle proprietà transitive: se in una serata a diciotto mani c’è un cuoco che ha acchiappato una stella Michelin tutto diventa stellato. Cena “stellata”, “menu “stellato”, trombata “stellata” (non stellare).
Nella cultura di Facebook in cui l’approfondimento del sapere, come l’acqua dell’Alto Adriatico, non arriva neanche alle ginocchia, tutti sono contenti di partecipare a qualcosa di stellato. E si confortano con i like per avere la conferma della propria esistenza nella considerazione del prossimo.
Si stellano i prosciutti, i sarchiaponi di Atrani, le piadine di Rimini, le cene di beneficenza, etc etc
Il risultato? Un totale inquinamento luminoso che nascone la Luna.
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