di Salvatore Pope Velotti
Ristorante Tre Cristi a Milano. Secondo una stima della FAO, tra Europa e America settentrionale lo spreco alimentare ammonta a 95-115 kg di cibo pro capite. Nell’Africa subsahariana se ne sprecano solo tra i 6 e gli 11. Lo spreco alimentare ha risvolti ecologici, etici ed economici che ci coinvolgono direttamente ogni volta che mangiamo. Anche quando andiamo al ristorante, poiché è stato calcolato che in Europa il 14% dello spreco alimentare avviene tra le cucine professionali.
Un approccio etico dell’alta cucina che tenga conto di questi dati è possibile? Senza scomodarsi per raggiungere improbabili guru in qualche angolo sperduto del pianeta in aereo e contribuendo all’inquinamento globale, la risposta la possiamo trovare sostenibilmente in via Galilei 5 a Milano, a 4 minuti a piedi dalla fermata della metro di Repubblica. È qui che da un paio di mesi Franco Aliberti ha preso le redini del ristorante Tre Cristi Milano.
In un locale dai colori tenui, con un morbido azzurro per le pareti e per i tendaggi, il giovane chef fa della lotta allo spreco alimentare la sua cifra stilistica. Traccia due percorsi di degustazione dedicati a Milano, epicentro della sua nuova avventura: nel primo al chilometro zero sostituisce il chilometro giusto, indicando la distanza metrica di provenienza degli ingredienti; nel secondo menù, invece, i quartieri della città e le loro caratteristiche socio-urbanistiche ispirano ingredienti e presentazioni.
Il mondo vegetale è un ovviamente riferimento forte della linea progettuale del locale: fotografie di ortaggi decorano le pareti e originalissimi pezzi unici in ceramica, disegnati dallo chef usando broccoli e cavolfiori come stampo a perdere, arredano la tavola.
Nel menu alla carta, di grande superficie e a dire il vero un po’ scomoda, il 4 diventa il numero perfetto: tanti sono gli antipasti, altrettanti i primi, i secondi e i dolci. Diversi piatti accidentalmente vegani, vera rarità nei ristoranti di alta cucina. Proprio su questi piatti mi soffermerò.
Nell’attesa della comanda, viene portato un olio toscano monocultivar di ogliarola, chiaramente delicato e dolce, e il cestino del pane: in due versioni, bianco e integrale ai semi, è fatto in casa col lievito madre che, avvolto in un panno di lino, è in bella mostra sul ripiano davanti alla vetrata della cucina a vista: è l’anziano membro dello staff (invece giovanissimo) e se ne sta silenzioso a osservare che tutto proceda bene, sul confine esatto tra sala e fornelli.
Il benvenuto dello chef è un gambo di broccolo intriso in succo di barbabietola e planciato. Un amuse bouche programmatico, da mangiare con le mani.
Seguono poi i ceci con cimette di rapa e castagne: una crema raffinata, con alcuni ceci lasciati interi per aumentare la piacevolezza al palato, contrappuntati dall’amaro delle cimette e accompagnato dal finale lungo e boscoso delle castagne lesse.
Arriva quindi il piatto di pasta che marca l’origine campana di Aliberti: spaghetti al pomodoro. Un piatto che ovviamente lo chef racconta come legato ai ricordi d’infanzia, della produzione di conserva a casa della nonna nel vesuviano, ma che ha completamente rivisto nella tecnica, estraendo i sapori del pomodoro, dell’aglio e del basilico, concentrandoli a raggiungere consistenza e sapidità tipica dei sughi di pomodoro meridionali ma con assoluta leggerezza. Un piatto memorabile e della memoria.
Giunge quindi il piatto che, insospettabilmente vegano, ammicca dalla carta; è quello dal nome più breve di tutti, senza bisogno di descrizioni come avviene per gli altri: semplicemente: Zucca. Si tratta, a mio giudizio, del vero piatto manifesto del locale: nessuna parte della zucca è sprecata, dalla buccia ai semi ai filamenti. Sarebbe facile adagiarsi morbidi su una vellutata di polpa arancione ma Aliberti spinge la tecnica sulla sua idea di spreco zero: su una fine salsa a specchio estratta da parti di scarto e della polpa, è adagiata una fetta di zucca, cotta al forno e planciata. Ciuffetti di crema della buccia sono disposti sulla superficie insieme a qualche seme tostato; il tegumento di questi ultimi e picciolo sono l’unico scarto prodotto per questo piatto ma solo perché indigeribili. Al palato le diverse cotture e consistenze rimandano ad un piatto terroso, vegetale, intenso e piacevole, con note tostate eppure dolci, prolungate. L’aspetto è invece straniante: sembra un trancio di pesce servito con le squame su un brodetto chiaro, una perfetta illusione pareidolitica, vera cruccio di tutti gli onnivori nei confronti di alcuni piatti vegani. Aliberti conferma di aver voluto giocare su questa ambiguità per invogliare gli scettici della cucina vegetale a mangiarla con meno timori, come se l’illusione di una forma riconoscibile addomesticasse i pregiudizi.
Siamo quindi al dolce che, solitamente, oltre i sorbetti è assolutamente un evento unico: una composta di mele con mele a cubetti, crumble all’olio e cannella e una spuma alla vaniglia. Aliberti è pasticcere di formazione e riversa le sue conoscenze in questa piccola delizia poco dolce e a base vegetale, in linea con i canoni della moderna pasticceria.
Il percorso si conclude con un piattino di nocciole pralinate che gustiamo a manciate, sgranocchiandole rumorosamente, terminando col mangiare con le mani così come avevamo iniziato.
Tre Cristi Milano
Via Galileo Galilei, 5
Angolo Via Marco Polo
Milano
Tel: 02 29062923
Mail: info@trecristimilano.com
Web: www.trecristimilano.com
Menu degustazione a 70 e 90 Euro, con wine pairing a 110 e 150.
Alla carta dai 90 ai 120 Euro.
I piatti provati: ceci 22, spaghetti 28, zucca 30, mela 15, per un totale di 95 Euro bevande escluse.
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