di Giulia Gavagnin
E’ una legge dura, ma severa. Dove c’è una grande storia, ci sono grandi uomini, grandi arti e persino grandi prodotti.
Anche se la facciata accessibile, e quindi turistica, di quella storia che diventa quasi fumettistica per essere accessibile, è rappresentata da una cotoletta. Sì, perché chiunque giunga a Vienna con qualsiasi mezzo di trasporto, sarà colpito dall’onnipresenza del suo simbolo culinario, la Wienerschnitzel, la cotoletta alla viennese che si spartisce la primogenitura con la cugina milanese, vantando forse un qualche vantaggio temporale. Corre fin da subito una riflessione: gli ambrosiani, forse per un’eccessiva vocazione esterofila che ne corrobora l’innato fighettismo non ne fanno il medesimo vanto, essendo stati ormai colonizzati da svariate forme di cibi asiatici dagli occhi a mandorla. E’ il multiculturalismo, dirà qualcuno.
Ma che ne sapete, voi, di multiculturalismo, se il primo, vero esperimento omniculturale della modernità è avvenuto già tre secoli orsono nell’est Europa, sotto la bandiera di un’aquila a una testa prima e a due teste poi, quando a un certo punto sotto la stessa bandiera risiedevano austriaci, ungheresi, croati, romeni, ucraini, pure alcuni italiani e –culinariamente parlando- le cucine imperiali coi loro bolliti di vario genere incontravano la paprika e il cumino, forti della più grande estensione dopo quella russa in una duplice monarchia denominata K+K (Kaiserliche und Koeniglin)?

C’è da dire un’altra amara verità, anche se la storia non si fa mai con i “se”. Ma, “se” Vienna non fosse stata travolta dalla stessa storia del suo Impero che con l’attentato a Francesco Ferdinando erede al trono austro-ungarico si è dissolto come neve al sole, e oggi non fosse solo la capitale di un piccolo Stato dell’Europa centrale parlante una lingua peraltro ostica, sarebbe –semplicemente- la città più importante d’Europa, perché a Vienna s’è inventata la cosa decisiva del Novecento: la Psicanalisi e quindi la Coscienza, di cui oggi c’è bisogno disperato.
Per questo, anche per questo, se in una città del genere giunge un grande chef autoctono con una Coscienza, non solo culinaria, quella cotoletta diventa solo un accidente (per la cronaca: à-la-carte la trovate anche da lui) e, con essa, tutto quel cotè austriaco un po’ pacchiano di erba cipollina, Kartoffelsalat e Tafelspitz.
Steirereck im Stadtpark è il più recente ristorante a Tre Stelle Michelin della città, conquistate all’inizio di quest’anno dopo che la Guida aveva relegato per anni le città di Vienna e Salisburgo ad appendice della Germania, sospendendo le valutazioni per il resto dell’Austria (la storia dovrebbe essere andata così, anche se non ne sono certa). Da anni deteneva due stelle nella formula sopra esposta, ma veleggiava alto nella 50 Best, fino ad arrivare al 18’ posto nel ranking 2023, posizione più alta mai raggiunta da un ristorante ove la madrelingua fosse quella tedesca.
Nella pregiata rivista che il ristorante fa stampare a cadenza quadrimestrale, chef Heinz Reitbauer dichiara che, nel corso della vita, ognuno di noi si trova di fronte a tante strade possibili, ed è facile percorrerne una sbagliata, soprattutto se la scelta è molteplice. In particolare, questo avviene se la storia alle spalle è così densa e variegata. “Ai tempi della Monarchia e del Congresso di Vienna, gli uomini hanno portato in eredità una molteplicità di cucine influenzate da genti delle provenienze più disparate. Anche i grandi maestri della scuola Viennese hanno incrociato sulla loro strada Boemi, Moravi o Ungheresi. Persino il Kipferl (la brioscina a mezzaluna, che non a caso ha ascendenza ottomana) non ha una provenienza univoca. Se la nostra identità culinaria fosse stata a senso unico, non sarebbe stato possibile inglobare tutte queste influenze e ampliare i nostri orizzonti. Forma mentis che oggi ci consente di avere una visione a tutto tondo dell’ospitalità e di formare una comunità gastronomica autentica”.
Parla la Coscienza di uno chef consapevole del fatto che una Nuova Cucina Austriaca andava completamente rivista attraverso le pieghe di un Impero che aveva visto nascere il decorativismo di Gustav Klimt, l’architettura essenziale di Adolf Loos e la Secessione dei primi del Novecento che si sarebbe rivelato uno dei movimenti culturali più dirompenti di sempre.
Così, Heinz Reitbauer con umiltà cerca di compiere la medesima rivoluzione sotto il profilo culinario per mezzo di un ristorante completo, opulento, unico nel suo genere, dove si trovano ascendenze lontane , gusti antichi (“imperiali” ha detto precisamente un’amica triestina, quindi titolata ad esprimersi in materia), tecniche contemporanee volte a esaltare ogni singolo ingrediente e un utilizzo del vegetale che potremmo definire “filologico”. Una cucina complessa, armonica, senza punti deboli, che colloca Steirereck tra i luoghi da visitare obbligatoriamente almeno una volta nella vita.
Il ristorante è ultra moderno, nel cuore del parco cittadino, pieno in un venerdì a pranzo di un pubblico eterogeneo, il personale è visibilmente iper-collaudato e parte di una squadra affiatata. Solo parlandoci, apprendiamo che alcuni sono con Reitbauer da dieci-quindici anni e rivestono un ruolo ben preciso.
Si fa notare “Andi-Brot”, di ascendenza serba, che fino alla fine del servizio gira tra i tavoli con un carrello con almeno quaranta tipi di pani diversi, alcuni studiati secondo le antiche ricette della panetteria imperiale, che impiegavano determinate quantità di segale e di orzo secondo il gusto della corte. In questo piccolo paradiso cerealicolo, non mancano pani arditi, come quello al Blutwurst (salsiccia di sanguinaccio, tipicamente austriaca) e ciabatta italiana. Del resto, a Vienna i cognomi non terminano tutti in –er come in Baviera, qui c’erano i Ledcek, i Worzinski, ma anche i Rossi.
Non resistiamo nel commentare l’opulenza dell’offerta versus alcuni nostri blasonati chef che recano seco religiosamente un solo pane come fosse l’Eucaristia. E’ stato bello, ma adesso anche basta.
Altri due carrelli circolano incessantemente: quello dei formaggi, dai cui cassetti spunta ogni bendidio; e l’ultimo, curioso, di dieci tipi di agrumi disidratati secondo la tradizione del Parco di Schoenbrunn: un uso imperiale che fa capire l’ascendenza lontana e importante di questa cucina.
A leggere attentamente le storie contenute nella rivista di Steirereck, si comprende che dietro a ogni ingrediente c’è un grande uomo. Anche il fornitore di miele ha un passato importante: commerciava in vino naturale fino ad aver capito che ormai era un’inflazionata moda da sostituire con il più naturale dei prodotti.
Il menu degustazione si snoda attraverso dodici piatti da scegliere in alternativa con la possibilità di aggiungere i formaggi.
Ogni piatto è costellato di vegetali rari, inconsueti, dosati in modo stupefacente, che conferiscono sapori inediti a ogni preparazione.
Si inizia con lingua di vitello da latte arrotolata come una rosa con radici di crescione, estrazione di broccoli e miso di albicocca, accompagnata da insalata di senape e cetriolo con riduzione e frutto maturato di “Hirschbirne”, pera autunnale della Stiria (presidio Slow-food), grattugiata come fosse una bottarga. La prima impressione è di un piatto prepotentemente austriaco, ma al palato gli elementi dolci lo trasformano in una cosa totalmente diversa, e si capisce subito che lo chef è un maestro nell’utilizzo del vegetale.
Seguono i carciofi marinati in olio di cartamo e Madeira con carciofo-melone marinato al bergamotto, melissa officinale, ciliegia di terra (germoglio originario del Sudamerica), corniolo fermentato, olio al bergamotto: anch’essi complessi e magnifici.
Ancora, un piatto più convenzionale, se non fosse per l’ingrediente principale, il siluro, reso edibile da caviale Oscietra, cocco, burro al cavolo-rapa e olio al prezzemolo. Ricorda per certi versi il moro oceanico di Moreno Cedroni.
Due piatti stupefacenti: il fungo “Black pearl”, ibrido giapponese del pleurotus, grigliato sui carboni e glassato con limone e sommacco, con uva spina, crema di radici spontanee e vinaigrette di arancia sanguinella; e la spalla di capretto (più leggibile) con erbe primaverili spontanee, rabarbaro, pimpinella, tempura di aglio orsino e spuma di erba brusca. Una cottura semplicemente perfetta, in siero di yogurt, e un cotè vegetale di grande freschezza.
Chiusura affidata al dessert al rabarbaro con uva spina, zigolo dolce e lapazio, una selezione da grande botanico.
La base della cucina di reitberger è senz’altro tradizionale e leggibile, con incursioni nel mondo vegetale che creano variazioni caleidoscopiche con stupefacenti elementi dodecafonici.
Steirereck è un grande ristorante europeo che gode di ottima salute in patria e nel mondo internazionale che conta.
A questo punto ci piacerebbe vedere lo chef anche a qualche congresso nostrano, perché da decisamente quella che si chiama una “marcia in più”.
Steirereck Im Park
Am Heumarkt, 2°
1030, Vienna, Austria
+4317133168
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