di Lorenzo Allori
Ristorante Piazza Duomo, Milano. Enrico Crippa
Abbiamo ormai compiuto il passaggio verso l’autonomia a tutti gli effetti dell’arte culianaria.
In modo vagamente analogo, semplificando, possiamo dire che è avvenuto qualcosa di molto vicino a ciò che accadde in due altri momenti storici nel campo delle arti visive: nel XVI secolo prima e a cavallo tra Ottocento e Novecento poi, la pittura innanzitutto si è distaccata dal semplice artigianato e dalle commesse e ha iniziato a sviluppare canoni e stili propri, originali, allo stesso tempo i pittori hanno cominciato a dipingere privatamente, come esigenza vocazionale e necessità di espressione.
Questo perchè ogni arte è in primo luogo bisogno di espressione.
E l’espressione è imprescindibile dall’identità; a maggior ragione nel caso dell’arte gastronomica, poiché unica ad essere necessaria. Arte necessaria può sembra una contraddizione in termini, eppure nel caso della cucina non lo è, dal momento che il nutrimento e il cibarsi è bisogno biologico dell’uomo e che la cucina assieme ai racconti e ai graffiti hanno per prime dato agli uomini la possibilità di lasciare memoria di sé e di sfogare apertamente i propri sentimenti. Il cibo, come la storia, sono a fondamento della socialità e della cultura.
Lo stesso avvenuto nel mondo della cucina negli anni Settanta del Novecento e nel corso del primo decennio del XXI secolo. Anche in Italia abbiamo avuto i nostri Masaccio, Giotto e Brunelleschi, che hanno iniziato ad ampliare le prospettive del piatto e della cucina, a interessarsi per così dire ai dettagli di sfondo, alla produzione propria delle materie prime per creare il proprio dipinto.
A nostro avviso tuttavia, Enrico Crippa nella cucina del Piazza Duomo è riuscito a compiere un passo ulteriore, giacchè ha ultimato quel processo di individuazione nell’arte culinaria che le permetterà nel prossimo futuro di consolidare la propria autonomia dalle altre sue sorelle maggiori.
Si prenda a esempio il fuori menù, ribattezzato “Espressione vegetale”; in questa serie di piccoli piatti Crippa, partendo dalla materia prima, sembra essersi chiesto cosa contraddistingue la cucina rispetto ad altre pratiche, quali pittura, musica, danza. La risposta sta, non in ciò che si veicola attraverso un piatto, che semmai è il fine (come un ricordo, un evocazione, un’emozione ecc.), ma quale delle percezioni sensoriali colpisce in prima istanza. Ecco dunque che la ricerca di Crippa pare concentrarsi sui sapori, sugli odori, sulla loro fusione in gusti e aromi complessi, che cambiano pian piano che la masticazione prosegue, o che permangono a lungo nel naso e sulla lingua dopo la fine del piatto. Da lì è partito per coinvolgere successivamente gli occhi, e gli altri sensi, con una estetica che finalmente si fa originale e ancella del sapore. Di conseguenza nei piatti di Enrico Crippa non avremo più una imitazione, come in passato, di motivi pittori, architettonici o musicali, ma composizioni nuove e fortemente identitarie.
Nell’ Espressione vegetale avremo così uno studio sul gusto genuino, sapientemente impreziosito da pochi abbinamenti, e sulle gamma dei colori verdi- chiari e brillanti quelli delle puntarelle croccanti con burrata fresca, quelli del pak choi con terriccio di furikake, un condimento dal gusto kokumi e acido-piccante, quelli pastello del cavolo romanesco con salsa brusca, oppure quelli scuri della salsa verde in accompagnamento del capunet vegetale. L’insalata russa, che completa le portate, diventa una duplice circonferenza (sopra gelatina aromatica, sotto un’emulsione acidula e leggera) chiara al cui interno spiccano vivaci i vegetali croccanti.
La cucina che si viene a delineare è un inno alla natura nel suo complesso, vegetali e animali, per cui se ne voglio mantenere integre le proprietà, restituirne il sapore e rispettarne l’ineffabile bellezza non appesantendola né lavorandola troppo.
Questo concetto pare lampante nei due servizi del “Coniglio e nocciole”, quasi una composizione arciboldesca per varietà; in questa portata i vegetali sono lavorati e poi disposti in modo che essi stessi mostrino i propri volumi, le forme. Nel piatto la morbidezza del coniglio è messa a confronto con la naturale croccantezza, priva di artifici, delle verdure e delle nocciole, che in parallelo vengono lavorate a completamento del piatto in numerose altre consistenze per sposare la ferma dolcezza del coniglio e smorzare la sapidità dello jus.
La piccola pasticceria è un trionfo di geometrie, di bilanciamenti leggeri, in equilibrio liquido tra fresco, punte di amarezza ed esaltazione degli ingredienti protagonisti dei dolci, in assoluto ravvisabile nella celebre torta di nocciole, la quale si fa mezzo di propulsione per la percezione del gusto gentile della nocciola.
Si capisce subito quando si entra in un posto di eccellenza, gastronomico e non, ma pranzare nella sala rosa di Piazza Duomo, simbolicamente dipinta con sogetti floreali e animali, è tutta altra cosa. Si avverte chiaro il sentimento numinoso di stare partecipando a un evento artistico irripetibile, perchè diverso per ognuno benchè riproducibile: si ha finalmente la sensazione di stare dentro l’atelier di un artista.
Piazza Risorgimento, 4, 12051 Alba
Telefono: 0173 366167
Sito: www.piazzaduomoalba.it/
Orari: Martedì- Domenica: 12.30/14; 19.30/22
Dai un'occhiata anche a:
- Antica Osteria Cera a Lughetto, l’eccellenza dell’Adriatico nel menu Azzurro
- L’ingegnere del fine dining. Dalla Ducati al Pellico 3 del Park Hyatt a Milano, la cucina mediterranea di Guido Paternollo
- Autem, il ristorante a Milano di Luca Natalini
- A Cucina Rambaldi a Villar Dora, Rambo corre come una lambo
- Venissa: la magia del Wine Resort a Venezia
- Biella, si va al Piazzo. Nel borgo antico l’Osteria Due Cuori racconta la vera cucina del territorio
- Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, I Santini rappresentano il belpaese che fu, che è e forse non ci sarà più. Viaggio nel tristellato più longevo d’Italia
- Un nuovo chef per un’antica tradizione: Fabio Zammarano al Costantini di Tarcento (Ud)