Uliassi
Via Banchina di Levante, 6
Senigallia (An)
Tel. 071.65463
www.uliassi.it
Uliassi Ulisse. Facile gioco di parole, lo ammetto. Poi però penso all’Ulisse dantesco e al “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” e non posso fare a meno di associarlo a Mauro Uliassi, alla sua cucina e al suo modo di presentare il cibo. Nel mio immaginario, gli assomiglia fisicamente anche un po’.
Ma veniamo per ordine.
Io sono quella che va a cena fuori una volta l’anno ma che, quando lo fa, si concede una cena degna di questo nome. Condivisibile o meno, sono scelte. L’anno scorso, presa da dubbi amletici, ho deciso di chiedere consiglio a due persone del cui parere avevo massima considerazione.
Alla domanda: dove vado a mangiare prossimamente, un’amica brava, seria, esperta di cibo e di ristoranti, ottima scrittrice, etc etc mi ha risposto in questo modo: da Uliassi. Io lì, ho la sindrome di Stendhal.
La sindrome di Stendhal ovvero quelle sensazioni di capogiro, tachicardia, emozione, sconvolgimento di fronte ad un’opera d’arte. E stiamo parlando di una persona che certo non si lascia andare a facili complimenti, specie quando si tratta di cucina.
Non mi restava che chiedere numi ad un amico (il quale amico ha una passione smodata per il vino, è un giornalista de Il Mattino ed è autore di un blog che porta il suo nome pieno di articoli interessanti, dovreste leggerlo!). Stessa domanda a cui ha risposto così: vai da Beck per capire, da Uliassi per emozionarti.
C’era di che rompere un’amicizia, voi capite. Da Uliassi per emozionarsi è il tarlo che può rovinare il sonno di molte notti.
Ora che da Uliassi ci sono stata, perdono il tarlo attivato per un anno intero e ringrazio il caro amico per il suggerimento.
Uliassi come Ulisse, dicevamo, perché è un continuo viaggio, una continua ricerca, una continua evoluzione. Dopo averlo incontrato al suo ristorante, ho l’impressione che sia lui per primo a compiere questo perpetuo viaggio, oltre che farne fare uno memorabile ai suoi ospiti.
Partiamo dall’essenziale: i particolari. Locale splendido, sui toni del bianco e rosso, con una terrazza sul mare di Senigallia che d’estate riporta ad un’atmosfera suggestiva. Tavolo in bianco, menù dipinti a mano da Catia Uliassi (e volendo si può acquistare, devolvendo in beneficenza, i menù bonsai per i collezionisti), lanterna, laccio elastico con sfera di vetro lilla che racchiude il tovagliolo, e il senso estetico sentitamente ringrazia. Da Uliassi c’è tutto da ricordare, perché non c’è nulla da dimenticare.
Ci sediamo e scegliamo, come prima volta, di provare il menù classico.
Forse vi aspettereste frasi ricche di tecnicismi, a partire dall’equilibrio dei sapori, fino al contrasto di sapidità caratteristici di ogni piatto. Un fine gastronomo in questo potrebbe aiutarvi ma personalmente non credo che rispecchi i piatti che ho avuto la fortuna di assaggiare quella sera. Che siano tutti eleganti, equilibrati e sorprendenti, beh, è quasi un’ovvietà per un due stelle michelin.
Ma qui c’è altro, e di questo posso testimoniare, ovvero dello choc (tutto positivo) che ho avuto a quel tavolo.
Badate bene: vero che alla base di ogni piatto c’è una grande conoscenza tecnica ma questa non sfocia mai nel tecnicismo. Non c’è l’eccesso di trovarsi di fronte a piatti che vogliono fare il verso ad un quadro a tutti i costi, snaturandolo forse, e penso ai mille piatti che vedo su fb in cui se non ricordano quadri con schizzi non li vogliamo, se non c’è il letto o la crema sul fondo del piatto sempre e comunque non ci sediamo a tavola. No, Uliassi queste cose le usa ma sa dare loro un senso e forse dovremmo lasciare queste interpretazioni a chi è capace di usarle.
Posso parlarvi dei suoi piatti solo come emozioni intense perché questo è ciò che provocano
Arrivano i grissini, le alghe e il KirRoyal, accompagnato dai vari tipi pane “fatto dai ragazzi” e dal burro con acqua di ostriche. Il burro con acqua di ostriche l’ho quasi guardato con sospetto e poi mi sono sciolta al primo assaggio. Sapevo che dopo avremmo avuto tanto altro ma non mi sono sentita di privarmi dell’assaggio di ogni singolo tipo di pane. Vorrei poter dire che era per puro spirito di osservazione ma era talmente buono che sarebbe una bugia.
La chicca per gli amanti del vino: il bicchiere che presenta sul fondo 7 piccole bollicine di cristallo, che convogliano il perlage esattamente in sette piccole file al centro e non, come sempre, sul bordo del bicchiere. Come spiego al marito sommelier che non so dove trovarli, quei bicchieri?
Il trittico di amuses bouches, ovvero il wafer con foie gras e nocciola, l’oliva ascolana scomposta e il crostino di pane alle noci con burro, alici e tartufo nero. Non erano neanche indicati nel menù ma da soli valgono il viaggio. Il wafer con foie gras e nocciole ma ha tolto l’uso di parola per parecchi minuti. E non è andata meglio quando ho assaggiato quel pane con alici e tartufo. Guardavo mio marito con lo sguardo di piena riconoscenza per avere pensato a una cena da Uliassi come regalo di anniversario. Lui era impegnato a concentrarsi sul crostino ma lo capisco benissimo.
Dopo questo inizio spumeggiante (il mio cuore legato ancora profondamente al wafer), sono cominciate le portate del menù I classici:
Tagliatella di seppia, pesto di alga nori e quinoa fritta. Ho sempre trovato immangiabili le tagliatelle di seppie, spesse mezzo cm e gommose. Guardate il piatto di Uliassi: sono di spessore millimetrico, morbide, cotte a bassa temperatura. Dire che si sciolgono in bocca è un eufemismo. E la sorpresa della quinoa fritta: mi piacciono i grandi chef anche perché ti presentano il cibo come mai avresti pensato, hanno una funzione didattica. Ho già comprato la quinoa per provare.
Dopo questo piatto sorprendente per esecuzione, abbiamo visto arrivare la triglia croccante con zuppa di prezzemolo e misticanza.
Lo so, è un grande classico, uno di quei piatti che ha provocato la Sindrome di Stendhal nella mia amica. Ho avuto la forza di guardarlo per un intero lunghissimo minuti prima di assaggiarlo perché era bellissimo: la delicatezza della salsa, messa lì, quel tanto che serve e non una goccia in più e la triglia avvolta nel pane subito accanto. Ingredienti semplici ma rielaborati qual tanto da creare un nuovo mondo. Assaggio e stupore si aggiunge a stupore.
Poi lui, il Rimini fest: su questo piatto ci ho lasciato il cuore. Calamaretti con una citronette azotata. Ho assaggiato e pensato alla genialità e mi sono detta, orgogliosamente “caspita, Uliassi è italiano, posso parlarne all’estero”. A questo punto ero ufficialmente sbalordita. Difficile esprimere a parole quanto possa essere buono: credo che solo la prova valga. Sto ancora cercando di decidere quale piatto sia il mio preferito e questo compare in ogni ballottaggio.
Albanella di molluschi, crostacei ed erbe aromatiche: per i detrattori dell’alta cucina, che la considerano solo esercizio di stile, questo piatto è la prova che la tradizione è uno dei cardini della cucina di livello. La vaso cottura, che poi ha origini antiche, dona un profumo che avvolge: il cameriere solleva il coperchio e il resto scompare. Il profumo del pesce, unito al basilico, all’aglio, alla carota, al pomodoro arriva intenso e allo stesso tempo delicato.
Seppie giovani arrostite sporche e granita di ricci di mare: in questa cena, viaggio dal nord al sud, dall’Italia ai paesi stranieri come Spagna, Giappone,. Medioriente, Uliassi ti guidae ti sorprende per sapori e consistenze. La perfezione della granita morbida e fredda accanto le seppie calde è qualcosa che non si dimentica.
Come se il menù classico non fosse sufficiente, lo chef ha insistito perché provassimo un piatto del menù lab: la ricciola alla puttanesca: crudo di ricciola con pomodoro, capperi e olive. E tutto il mondo fuori.
Il fondente di patate, anatroccolo, radici di erbe di campo e tartufo nero. Confesso che qui, come un’altra coppia vicino, un po’ di rimorso solo a sentire la parola anatroccolo, s’è provato. Ma solo prima dell’assaggio, perché subito dopo aver assaggiato, abbiamo convenuto che l’anatraccolo avesse fatto una degna fine, avvolto fra il fondente di patate e lo strato generoso di tartufo. In un menù quasi tutto di pesce il piatto di carne, che fa scordare ogni tipo di sentimentalismo per l’anatroccolo, ti induce a pensare “è straordinario anche con la carne”.
Gli spaghetti affumicati alle vongole e datterini alla griglia:entra di diritto nelle cose più buone assaggiate nella vita. Intanto, onore ad Uliassi per la cottura della pasta. In un mondo in cui siamo abituati a mangiare tutto troppo cotto, troppo sfatto, quasi ad evitare la fatica di masticare, gli spaghetti sono croccanti, li mastichi con piacere e godi la pasta come mai. Ma l’affumicatura è capace di entusiasmare (ormai gli aggettivi emozionali quasi non bastano più). Fra uno scuotimento di testa e l’altro, dicendoci che oltre non si poteva andare, ci siamo detti che cercheremo di scoprire con ogni mezzo il segreto di quella affumicatura. Doveste averne notizia, sapete a chi rivolgervi.
Ultimo ma non ultimo, la rana pescatrice in porchetta, murici e zuppa di finocchietto selvatico: altro grande piatto altri sapori notevoli ma a questo punto avevamo finito le parole e siamo passati alle espressioni facciali di compiacimento.
I dolci sul finire, fragole, panna e cardamomo e tutte le consistenze della nocciola, che sono ottimi ma hanno l’ingrato compito di competere con i precedenti piatti.
Abbiamo scambiato parole piacevoli con il nostro chef, gentile e disponibile, molto premuroso nel chiederci se tutto fosse andato bene. Il confronto fra la cucina di Uliassi e l’arte non è a caso né eccessivo. E’ come quando leggi un grande libro: lo finisci e guardi il mondo con occhi diversi.
Non potrò mai dirvi “se andate da Senigallia, passate da Mauro Uliassi”. Impossibile. Vi dirò invece sempre “andate da Mauro Uliassi e con l’occasione visitate Senigallia”.
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