La Madia di Pino Cuttaia a Licata
Corso Filippo Re Capriata, 22
Aperto a pranzo e cena
Domenica eartedì chiuso
Tel. 0922 771443
di Carmen Autuori
La cucina del bistellato Pino Cuttaia di La Madia a Licata è incentrata su due principi fondamentali, la memoria ed il Mediterraneo a cui, con la maturità, se ne è aggiunto un terzo: la visione sociologica (ed anche geopolitica) del cibo. Ma procediamo con ordine.
Licata, in provincia di Agrigento, è la sua Itaca da cui è partito ragazzino per seguire la sua famiglia emigrata, come tante, a Torino negli anni ’60 e dove è tornato nel 2000 per aprire il suo ristorante. Una scelta di cuore e non commerciale essendo il paese fuori dai flussi turistici più rinomati.
A Torino, poco più che adolescente, ha lavorato presso vari ristoranti, soprattutto di amici e conoscenti, svolgendo i ruoli più umili, per poi approdare alla Olivetti: il posto fisso.
L’esperienza in fabbrica è stata fondamentale per Cuttaia, lì ha compreso due cose importantissime, innanzitutto ciò che non voleva essere, ossia un numero, e poi che ogni uomo era potenzialmente un creativo. Ognuno dei suoi colleghi aveva un hobby, quello che mancava loro era il coraggio di mutare la passione in lavoro. Cuttaia, invece, con una scelta rivoluzionaria per l’epoca trasformò il suo hobby, la cucina (amava sperimentare le ricette di notte), in un mestiere.
La sua è stata sin da subito una cucina di pensiero, pur essendo autodidatta. Furono fondamentali le esperienze in rinomati ristoranti tra cui “Il Sorriso” di Soriso in provincia di Novara e il “Patio” a Pollone, Biella, tanto studio e le frequentazioni con gli “illuminati” dell’epoca, tra cui Gualtiero Marchesi.
Ma, come dicevamo, il richiamo della sua Sicilia con le ricette, i ricordi legati ai sapori, agli odori e ai colori dell’infanzia sono stati il canto delle sirene per lo chef che apre nel 2000 la Madia e nel 2006 conquista la prima stella seguita dopo pochi anni, nel 2009, dalla seconda.
Il locale è il trailer di quella che si rivelerà la cucina di Pino Cuttaia, di tradizione e di sentimento, ma allo stesso tempo di tecnica rigorosa.
L’ambiente, totalmente rinnovato, parla di Sicilia, ma attenzione, non quella barocca o fatta di stereotipi, teste di moro e similia tanto per intenderci: qui tutto è ‘pulito’, i sensi non devono distrarsi ma rimanere concentrati su ciò che si mangia. Gli interni sono stati curati dal talentuoso architetto agrigentino Fatima Costa, che ha scelto tre elementi, tutti presenti in natura, il legno, il ferro ed il marmo. Ad impreziosire la sala, sculture e quadri d’autore di artisti siciliani. Originalissimo il rimando al monastero delle monache di clausura di Santo Spirito di Agrigento, con la ruota che da un lato contiene piccola pasticceria che richiama quella conventuale, come le mandorle sabbiate, mentre dall’altro un bar anni Settanta.
La luce filtra, discreta, da una vetrata che delimita un piccolissimo giardino di piante grasse a cui fanno da contraltare, all’interno, magnifiche orchidee curate dalla signora Loredana sommelier e compagna di vita di Cuttaia.
Memoria e Mediterraneo, dicevamo, e da qui parte la piacevolissima e profonda chiacchierata con lo chef.
<<Il cuoco moderno deve riappropriarsi del “gesto” del cucinare perché in esso è contenuto il know how fatto di tradizione e di saperi che una volta veniva tramandato di madre in figlio – dice Cuttaia -, e lo può fare solo circumnavigando il Mediterraneo, che, da sempre, ha avuto la funzione di unire le terre che affacciano su di esso e pure di tramandarne i mestieri. In quest’ottica, al cuoco contemporaneo spetta anche il compito di sostituire la mamma che, tranne rari casi, non cucina più perché ha cambiato mestiere. Se ciò non accade, andrà perso un patrimonio di inestimabile valore che va dalla ritualità, alla memoria, alla tradizione e pure alla salvaguardia dell’ecosistema.
Penso alla nostra pasta con le sarde: se non si cucina più nelle case chi andrà a preservare, ad esempio, la biodiversità del finocchietto selvatico, oppure il pescatore di sarde? Quando ero bambino si usava cucinare la Pasta ‘a Milanese che vuole raccontare Milano (città senza mare), e gli ingredienti erano semplicemente finocchietto selvatico e sarde sotto sale.
Il cibo, se guardato da questa prospettiva, cioè con gli occhi verso il Mediterraneo, diventa anche un fatto geopolitico. Chi arriva con i barconi è uguale a noi perché si nutre degli stessi ingredienti, ha lo stesso clima, lo stesso paesaggio.
A tal proposito, ricordo mio nonno che a Torino ogni anno andava al mercato di Porta Palazzo ad acquistare tutti i prodotti che venivano dalla Sicilia. A distanza di anni ci sono tornato e nello stesso luogo ho visto algerini, tunisini ed altre etnie che affacciano sul nostro mare comprare le stesse cose di mio nonno, le arance, l’uva e tanto altro, perché erano abituati a mangiare le medesime cose. Erano loro quella terza generazione di immigrati che avremmo dovuto essere noi. La Sicilia è il porto del Mediterraneo, terra di contaminazioni, per questo non possiamo stare fermi, ora siamo noi a dover contaminare proprio attraverso il recupero del “gesto” >>.
Il Mediterraneo, dunque, è la vera dispensa delle terre che affacciano su di esso. Lo ha capito molto bene la grande distribuzione che, per l’esigenza di disporre di alcuni prodotti tutto l’anno, si approvvigiona da ogni Paese che affaccia sul Mare Nostrum.
Cuttaia ha coniato un nuovo termine per esprimere la sua filosofia, “marroir” che è l’opposto di “terroir”, perché è il Mediterraneo il nostro futuro. L’elemento che unisce ed accoglie, tutti.
In pieno lockdown, lo chef ha aperto un bistrot a Milano, Uovodiseppia, ubicato nella corte di un albergo.
<< A Milano ho voluto riproporre il ristorante di quartiere, sempre in nome di quella responsabilità sociale che ormai appartiene ad un cuoco che si rispetti. Una cucina non improvvisata, semplice ma rassicurante, un po’ come quella di casa”.
E viene fuori, così, ancora una volta questo concetto di cuoco – mamma, l’esatto contrario di cuoco – star.
Cosa si mangia da Pino Cuttaia?
Partiamo dal presupposto che ogni piatto presente in menù ha un comun denominatore: la memoria della sua infanzia, quella della famiglia e quella collettiva della sua gente.
Iniziamo dalla Razza con chips di cipolle rosse in carpione. Era la merenda che si usava portare in campagna, il pesce senza spine accompagnato dalla cipolla in carpione ad ammorbidire il pane. Inizia, così, il viaggio nella memoria di Pino che è un po’ anche la nostra.
Proseguiamo con la Pizzaiola, intesa proprio nel senso di pizza. Merluzzo affumicato al profumo di pigna, lo stesso di quelle raccolte dallo chef per accendere il camino d’inverno (l’elemento memoria), spuma di patate, pomodoro essiccato e “cornicione” di pasta di grissino a dare croccantezza. Il pomodoro, obbedendo ai rigorosi principi della stagionalità, verrà sostituito dai porcini, dal tartufo o dal carciofo: in sostanza una pizza quattro stagioni.
E poi il piatto “illusione visiva” la Nuvola di Caprese. Presentata nel 2013 a Le Strade della Mozzarella a Paestum, è da dieci anni in carta a La Madia.
<< ll piatto è nato osservando la pellicina che si forma sul latte quando bolle. Lo stavo preparando per una bagna càoda – spiega Cuttaia – e la pelle che si è creata durante la sua cottura mi è sembrata così perfetta da contenere una mozzarella al suo interno”. La lavorazione è complessa: mozzarella centrifugata con l’aggiunta di panna e voi avvolta nella pellicina di latte. La finta mozzarella è servita su acqua di pomodoro e completata con il pomodoro “da insalata”, l’elemento croccante per niente scontato.
Sole e Vento è un capolavoro della cucina siciliana più autentica. Conserva di pomodoro, acciughe, tonno, pomodoro secco, tenerumi di cappero, tutti ingredienti asciugati dai due elementi.
Si tratta del celeberrimo pane cunzato il cui companatico viene servito a mo’ di quadro d’autore su carta oleata, la stessa che una volta avvolgeva lo ‘sfuso’ in salumeria.
<< È un piatto etico – spiega Cuttaia, mentre ci raccomanda di fare un’accurata scarpetta con il pane appena sfornato – dove la carta esprime il concetto di sostenibilità. Ormai siamo sommersi dalla plastica, basta guardare i packaging nei supermercati. Sarebbe auspicabile un ritorno allo “sfuso” serio, un piccolo grande/contributo alla salvaguardia di Madre Terra>>.
Sentori di affumicato anche nella Scampagnata di melanzana. Nasce dal ricordo delle melanzane arrostite sulle braci del forno a legna quando si terminava di fare il pane, un rito che avveniva in genere in campagna, da cui “scampagnata”. All’assaggio, viene fuori tutta l’importanza della tecnica della stratificazione in cucina. Lo chef ci porta l’esempio del tartufo: una cosa è addentarlo, un’altra gustarlo a lamelle. E così avviene anche con la melanzana.
Il Raviolo di calamaro con tenerumi è il piatto della maturità. Sfoglie di pesce racchiudono le foglie più tenere delle piante di zucchine, il tutto servito con bottarga, cozze e salsa di acciughe.
Il percorso di grande tecnica ma sostanzialmente rassicurante, viene interrotta da un piatto che potremmo definire “tranchant”: Scala dei Turchi non conosce mezze misure. O lo si ama o lo si odia.
Candida spuma di acqua di frutti di mare che rappresenta la mareggiata, raviolini di seppia farciti di riccio, a riprodurre la fanchiglia che rimane nel guscio cozze frullate e lenticchie di Ustica disidratate e fritte.
Anche questo un piatto d’immaginazione rafforzata dal cucchiaio che arriva a tavola bollente, la sensazione è quella dell’immersione negli abissi marini. Cuttaia è un genio!
Fresco e cremoso il gelato al fico d’India prepara il palato al dessert.
Di chiara scuola francese invece, la Tarte Tatin. L’esplosione di gusto data dal burro della pasta brisée è sublimata dal gelato alla mandorla.
Un discorso a parte merita La Fettina.
Per descrivere questo piatto che racchiude tutto il pensiero di Cuttaia, incentrato sul recupero del “gesto” riportiamo integralmente quanto scritto dallo chef:
“Un po’ tutti siamo cresciuti con la fettina.
La fettina era l’attenzione della mamma quando le sembravamo magri o ammalati.
Era una fettina sottile e tenerissima, quasi non masticabile, condita solo con un po’ d’olio e limone.
Questo piatto di Tonno Alalunga è un omaggio all’amore delle nostre mamme e alla memoria della nostra infanzia.
Per me, il suo simbolo più forte è il seme del limone: la perfezione imperfetta del gesto domestico…Mai una mamma lo avrebbe tolto, mai una mamma lo avrebbe fatto mancare”.
Ci siamo commossi. Era inevitabile.
Ristorante La Madia a Licata
Corso Filippo Re Capriata, 22
Tel.0922/771443
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REPORT DEL 4 SETTEMBRE 2015
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La Madia a Licata
Via Filippo Re Capriata, 22
Tel. (+39) 0922 771443
www.ristorantelamadia.it
info@ristorantelamadia.it
Chiusi il Martedì intera giornata e la Domenica sera.
A Luglio e Agosto chiusi il Martedì intera giornata e la Domenica a pranzo.
di Pasqualina Filisdeo
In bianco e nero
“Spesso mi chiedono se ci sia un prodotto di cui, in cucina, non saprei fare a meno, se c’è un ingrediente che possa rappresentare il mio modo di cucinare, le mie preparazioni.
Il mio ingrediente segreto è la memoria,
è l’ingrediente che più di ogni altro caratterizza la mia concezione della cucina, che non manca mai nei miei piatti e che consente di riconoscerli.
Ognuno dei miei piatti contiene sempre almeno un pizzico di ricordi.
Ognuno dei miei piatti, con la sua semplicità, prova a raccontare una storia.
Utilizzo tecniche che citano giochi d’infanzia, episodi di vita quotidiana di una Sicilia ormai lontana nel tempo.
Immagini da cartolina in bianco e nero che riportano alla luce la radiosa Sicilia”
Questo è ciò che leggerete appena aprirete il menù del ristorante La Madia, di Pino Cuttaia e queste sono esattamente le sensazioni che proverete.
Ho conosciuto Pino Cuttaia in occasione della manifestazione “Le Strade della Mozzarella” anno 2013 quando propose la geniale “Nuvola caprese”. Da quel momento andare al suo ristorante “La Madia” è stato un desiderio ricorrente.
Finalmente, quest’anno, l’occasione di un viaggio in Sicilia lo ha realizzato.
Arriviamo a “La Madia” all’ora di pranzo. Un campanello invita a suonare. Un collaboratore di Cuttaia ci conduce, attraverso un corridoio, all’unica sala che farà massimo 30 coperti, calda e accogliente, sobria, senza eccessivi fronzoli.
Al tavolo comincio a sbirciare il menù e la dura lotta dello scegliere un piatto piuttosto che l’altro inizia a dilaniarmi, si può ordinare tutto?
Decidiamo di accettare la proposta di Pino, ovvero di farci guidare da lui, lasciarlo libero di proporci la sua storia e farci viaggiare nelle sue memorie, nei suoi ricordi, nella sua Sicilia, nel suo Bianco e Nero.
Si comincia con la Pizzaiola: Merluzzo all’affumicatura di pigna con spuma di patata su base croccante. Da solo questo piatto vale tutta la strada fatta. Il merluzzo, ridotto a fette sottili, ha un piacevolissimo sentore di affumicato e la spuma di patata accompagna ed esalta consistenza e sapore. Il cerchio di sottilissima pasta aggiunge quella nota croccante che contribuisce a regalare una piacevole masticabilitá al piatto. Estasi.
Arriva il cestino con i vari tipi di pane. Croccanti grissini, pane a lievitazione naturale, pane alla frutta secca, focaccia con pomodorini, focaccia al rosmarino, pane al finocchietto. Tutti buonissimi e il cestino del pane viene prontamente riportato colmo a metà pranzo. Il cameriere invita a degustare un ottimo olio, etichetta personalizzata per la dispensa di Cuttaia, con il pane a lievitazione naturale
Si continua con la nuvola caprese, piatto che già conoscevo perché proposto dallo chef alla strade della mozzarella e che con piacere ho riassaggiato. Una soffice spuma di mozzarella racchiusa nella pellicola che si ottiene dalla bollitura del latte così da simulare una “vera” mozzarella, adagiata su pane croccante e salsa al basilico. Irrorata, un attimo prima di servirlo a tavola, da un sugo, o meglio, una spremuta di pomodoro datterino sottoposto a leggerissima cottura. Tutti gli elementi tradizionali della caprese. Il caratteristico, prepotente, aromatico gusto del famoso piatto ma in consistenze differenti. Una melodia.
Tra una portata e l’altra lo chef lascia la sua cucina e si ferma ai tavoli per salutare i clienti dispensando consigli (me ne ha dato uno sulle alici preziosissimo!)
Continuiamo con il Polpo sulla roccia. La roccia è una spugna croccante realizzata con l’acqua di cottura del polpo, tutto su una crema di ceci, cozze, capperi ed essenza di prezzemolo. Ottimo. Anche qui un gioco di consistenze molto piacevoli.
Si continua con il Raviolo di calamaro con tinniruma di cucuzza servito con salsa di acciughe e mazzancolla, piatto fresco, estivo. Due sfoglie sottilissime di calamaro racchiudono la farcitura che è composta dalle foglie tenere della “zucchina serpente” (o “cucuzza”), chiamata in questo modo a causa della sua forma rotondeggiante e molto allungata . Introvabile se non in Sicilia. Una scoperta!
A seguire la Minestra di crostacei alla trapanese con mandorle, prezzemolo e peperoncino servito nel suo classico pentolino che contiene un godurioso bis. E’ banale definirla eccezionale, ma è così. Ovviamente abbiamo fatto il bis….
Conclude la carrellata la Spigola cotta alla carbonella di mandorle, la stessa carbonella viene servita nel piatto e ha una funzione visivo/olfattiva.” Anche qui semplicità ed estasi.
Pre dessert , granita di limone e brioche, calda. Credo la migliore granita al limone assaggiata in tutto il mio viaggio in Sicilia.
Chiudiamo con il dessert, in questo caso un’ottima cassata di gelato e un croccante cannolo ripieno di ricotta di mucca e gelato al marsala.
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