Il Carpaccio a Parigi
Hotel Le Royal Monceau – Raffles
37, Avenue Hoche
Tel. 0033 1 42 99 88 12
Aperto a pranzo e cena, sabato solo a cena
Chiuso domenica e lunedì
Lei bellunese, discreta e tendenzialmente introversa come quasi tutti i montanari. Lui sardo di città, Cagliari, uomo di mare, estroverso, scoppiettante. Una coppia perfetta che si integra alla grande da ormai undici anni e che rivive la leggenda del Carpaccio, prima ambasciata della cucina professionale italiana a Parigi aperta da Gualtiero Marchesi, poi gestito dal mitico Paracucchi, prima stella del Belpaese in Francia. Una coppia di opposti che funziona alla grande (parlo per trentennale esperienza diretta, eh) perchè si compensano e trasmettono precisione, energia, creatività e soprattutto tanta gioia nei piatti. Quella gioia che, non so perchè, si sta progressivamente perdendo in molti stellati italiani seppellita da rituali stanchi e imposti da luoghi comuni.
Alessandra Del Favero e Oliver Piras hanno subito riconquistato la stella che avevano avuto a San Vito sul Cadore con il loro ristorante Aga, chiuso nel 2019 in vista di un progetto a New York poi bloccato dalla pandemia. Quando la famiglia Cerea prende in carico Il Carpaccio, restaurato completamente da Phillipe Starck, il cerchio si chiude dove era cominciato perchè si trova subito l’intesa per la sfida iniziata nell’ottobre 2021 culminata già con la stella Michelin lo scorso marzo, unici italiani, Alessandra unica donna.
Il Carpaccio oggi segna il nuovo capitolo della cucina italiana all’estero: non più emigranti che aprono le trattorie con il fiasco e le tovaglie a quadratini, neanche più presuntuosi che pensando di trasferire tout court i piatti della tradizione a prescindere dal contesto, ma professionisti che conoscono bene le tecniche, hanno idee, soprattutto l’ingrediente principale trasmesso dalla cucina italiana, la gioia nel piatto, la gioia di stare insieme a tavola continuando a parlare di cibo e gesticolando all’italiana, come spesso gli stranieri ci prendono in giro. Certo i paccheri alla Vittorio cucinati in sala fanno scena, brillano gli occhi dei commensali, onnipresente la recchia d’elefante, i due piatti iconoci che a Brusaporto per un momento divennero amouse bouche nella speranza di liberarsene per poi trasformarli giustamente in vessilli identitari. Ma, soprattutto se siete stati Da Vittorio a Brusaporto o al Gallia a Milano, conviene andare oltre questi due piatti perché la cucina di Alessandra e Oliver è complessa e interessante.
Impostata sulla freschezza e sulle potenzialità ancora sostanzialmente inespresse dall’elemento vegetale, la cucina che trovate al Carpaccio è scattante, rock, frutto di combinazioni che a volte, non pensiamo di esagerare, sfiorano la genialità che è quella dote di vedere cose che sfuggono alla maggior parte delle persone che le guardano.
Cosa si mangia a Il Carpaccio a Parigi: il menu
I tre amouse bouche sono emblematici: il carpaccio di carote è piacevolmente fresco, la tartelletta di lasagna è botturiano, la crostatina di uva e acciughe da mangiarne con il mestolo e infine il finto calamaro ottenuto con l’albume della uova i cui tuorli sono usati per la pasta fresca è una, direbbero a Roma, mandrakata. Quei giochi di illusionismo che se inseriti in un contesto fanno divertire se non diventano il fine. Non è del cuoco il fin la meraviglia, almeno noi così la pensiamo.
Perfetti i lievitati: pane, focaccia, grissini. Ci piace tanto l’olio d’oliva al posto del burro perchè ci ricorda che siamo in un ristorante italiano. I due antipasti sono due colpi di genio: la tartare di ricciola al verde gioca il campionato delle cose più buone mai provate, in cui non sai chi sia il protagonista e chi il comprimario in questo piatto in quanto al palato è un continuo gioco di sponda. Il carpaccio poi ha la felice intuizione del croccante da amaranto che interrompe la monotonia, e la noia di mangiarlo. Molti cercano di ovviare con mandorle o nocciole, ma il punto è che in bocca sono scisse, qui invece ci accompagnano sino alla fine del piatto con gusto e senza stanchezza.
I primi, altro segno di cucina italiana, guardando con un po’ di salivazioni paccheri e tortellini con la panna che fanno capolino in qualche tavolo: ci rinfranchiamo con un risotto che ripete il gioco verde-mare dell’antipasto di ricciola, qui più strutturato e complesso, ma senza perdere profumo (ecco un piatto da avvicinare scostumatamente al naso come un vino). Il primo è un sapore ben conosciuto da noi campani: linguine con salsa alla pizzaiola, ovviamente con tanto sapore del pomodoro ben estratto.
Secondo da urlo: la carne del SanPietro di solito annozza, qui diventa golosa con il cervello di vitello e la salsa di crusco.
Il servizio pasticceria è affidato a Quentin Lechat, chef pâtissier dell’Hotel, ma il tiramisù è inevitabile! Qui spettacolarizzato di fronte al tavolo.
CONCLUSIONI
Il Carpaccio è oggi un riferimento assoluto, non so se i francesi avranno mai il coraggio di dare le due stelle, in Italia le avrebbe sicuramente. Il servizio, gestito in sala dai maitre Pino Cesario e Gianluca Modafferri, è motivato, professionale: una squadra fortissima che fa dell’accoglienza all’italiana, non ingessata, colloquiale senza mai accorciare la distanza, fa sentire a proprio agio con la battuta giusta al momento giusto. La carta ampia con dei ricarichi a volte eccessivi, altre volte molto favorevoli, si vede che ai primi passi e in cerca di equilibrio. Molto brava anche la sommelier Laura, una giovane colombiana appassionata di vini italiani ben presenti, oltre che conoscitrice della Francia. Il dato politico gastronomico è che siamo di fronte ad una cucina italiana moderna, ossia arricchita da riferimenti regionali da tutto il Paese ed è questa capacità di sintesi, di ricerca del prodotto di qualità, che ci ha colpito positivamente. Una cucina italiana non ferna, ma inclusiva di cibi e prodotti provenienti da ogni parte del mondo. Un locale sicuramente da non perdere quando siete a Parigi. Soprattutto adesso che i prezzi sono decisamente abbordabili, favorevoli se rapportati alla esperienza: lunch da 55 euro, menu degustazione da 125 euro, media a la carte sui 110-120, ovviamente vini esclusi.
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