Quando ci si accinge a scrivere di alcune esperienze, mentre si avverte immediato il privilegio di poterle raccontare allo stesso tempo si viene colti da un forte senso di responsabilità derivante dalla consapevolezza della complessità del compito di tradurre nelle parole giuste quanto si è potuto vedere, in questo caso soprattutto assaggiare, ma comunque sentire nel complesso, con i cinque sensi e non solo.
Mi è capitato di fare questa riflessione ultimamente dopo essere stata a pranzo al Faro di Capo d’Orso, in Costa d’Amalfi, a Maiori, dove lo chef Pierfranco Ferrara è al timone del ristorante che ha ottenuto la stella Michelin nel 2005.
Recentemente la cucina è stata rinnovata grazie all’opera del kitchen designer Andrea Viacava: fornelli completamente a induzione e un nuovo spazio organizzato per far girare le varie fasi del lavoro come l’ingranaggio di un orologio perfettamente oleato.
La squadra, che ha visto una nuova composizione a partire dalla stagione appena aperta, è composta da giovani capaci e affiatati. In cucina Pierfranco Ferrara è affiancato dal suo secondo Antonio Castaldo, capo-partita ai pani, e da Stefano De Santis agli antipasti.
La direzione e il coordinamento del servizio in sala sono affidati a un esponente della nuova generazione della famiglia fondatrice del locale, Bonny Ferrara, classe 1992, dall’inappuntabile eleganza british scritta nel suo dna vivacizzata e completata da una verve tipica mediterranea. Stile ed eclettismo che contribuiscono a dare personalità al servizio.
Nella sala, che comprende 35 posti, il sommelier Antonio Pappacoda, con alle spalle un’esperienza al San Pietro di Positano, lo chef de rang Antonio Cardamone e il commis Giorgia Caporaso, si aggirano tra i tavoli solerti ma mai invadenti consigliando, illustrando e guidando con garbo i clienti nel percorso di degustazione.
Pierfranco porta nelle sue creazioni le erbe aromatiche che crescono nei meandri della rigogliosa Macchia Mediterranea in cui il ristorante è immerso: tanti sentori quali rosmarino, origano, timo, vengono raccolti appena fuori dalla sala e dalla cucina, in questo posto che si integra armoniosamente con la natura circostante, dove gli artefatti umani riescono quasi a intrecciarsi con le piante, gli arbusti, le siepi e i rami degli alberi che si protendono verso questo cielo che osserva dall’alto un territorio ricco di ogni bene.
I grandi prodotti locali, che hanno contribuito a rendere così famosa questa striscia di Terra a strapiombo sul mare, vengono accostati con altre materie prime di eccellenza del mondo. Ecco allora che la mozzarella e la ricotta di bufala, la provola, la burrata, il fior di latte, il caciocavallo podolico, il limone cult della zona, lo Sfusato Amalfitano, la nocciola di Giffoni, i gamberi rossi, le triglie di scoglio, i ricci e tartufi di mare, la colatura di alici, il carciofo violetto si mescolano alla carne di piccione, al foie-gras rigorosamente fatto in casa e al wasabi che strizza l’occhio al Sol Levante.
Perché nell’ottica di Pierfranco Ferrara la territorialità non deve diventare un limite ma, anzi, per potervi dare il giusto lustro bisogna aprirla a ciò che oltre confine è gastronomicamente di rilievo ovviamente mantenendo come punto cardine irrinunciabile l’alta qualità.
Quindi mentre ci si percepisce affacciati su una terrazza che guarda la costa, accarezzati dal vento che porta con sé i profumi tipicamente mediterranei, guardano un po’ oltre si scorgono i profili d’oltralpe e, ancora un po’ più lontano, addirittura quelli dell’Estremo Oriente.
A partire dall’ultimo menu, quello di primavera, lo chef ha deciso di ritornare alle origini, cioè di riportare l’impronta acquisita nei tristellati francesi nella sua cucina e lo sta facendo ora che ha considerato i tempi maturi per poter fare un passo del genere (la svolta gourmet del ristorante, che nacque negli anni 50 ad opera di Luigi e Bonaventura Ferrara, si ebbe nel 1999). I dettami di oltralpe mostrano la loro influenza nella selezione dei prodotti, nell’attenzione riguardante l’uso delle materie prime, le cotture, la tecnica che consente di bilanciare gli ingredienti e ottenere determinate consistenze ed equilibri tra tendenze dolci e salate e l’approccio fondato sul rigore.
Come ci dice lo stesso Pierfranco, il metodo si basa prima di tutto sull’autodisciplina: non si può richiedere agli altri ciò che in prima persona non si è pronti o capaci di dare e di dimostrare; obiettivi che si possono raggiungere anche misurandosi con realtà importanti a livello internazionale, momenti fondamentali nel percorso di crescita professionale e personale, come chef e come uomini. Mentre parla dai suoi occhi e dalla sua gestualità colgo la convinzione, l’emozione ma anche la fatica giornaliera di chi ogni giorno si impegna per dare il massimo e mai niente per scontato, per migliorarsi e migliorare.
I piatti che arrivano in tavola mostrano di avere un’idea precisa dietro, un concetto che poi naturalmente è sottoposto a dei test sul campo per aggiungere, togliere, rettificare, in una sola parola per equilibrare il tutto fin quando non si ottiene il risultato finale che si considera all’altezza di ciò che il cliente merita.
Piatti che, a prescindere dalla materia prima e dal tipo di preparazione, colpiscono a livello visivo per la loro delicatezza: sembra traggano ispirazione dalle tele di Monet, la loro delicatezza cromatica ricorda le pennellate con colori a olio del celebre pittore impressionista a cui poi si accompagna per piacevole concordanza una leggerezza, una freschezza in termini gustativi.
L’assortimento dei pani, tutti fatti in casa, fragranti e caratterizzati da una bella scioglievolezza al palato, comprende una focaccia al rosmarino, un pane con lievito madre, uno al pomodoro, un rustico napoletano, un pane con olive nere, uno con sesamo e ricotta e uno integrale. Ognuno di questi è abbinato alla portata, a seconda se è più o meno strutturata. L’olio extravergine di oliva è il DOP Colline Salernitane NODO/DONO dell’azienda agricola biologica Raffaele Palma di Maiori ottenuto dalle cultivar Frantoio, Leccino, Rotondella, Carpellese e Ogliarola.
Si parte con l’entrée di benvenuto: tacos di pasta all’uovo con straccetti di tonno e friggitelli con una fogliolina di menta che aggiunge una piacevole nota di freschezza; alice, provola e maionese di erbe fatta in casa con un bel contrasto tra la croccantezza esterna e la morbidezza del ripieno; trancio di rana pescatrice; créme brulée con biscotto di caciocavallo podolico.
Si prosegue con la triglia di scoglio scottata sulla sua pelle con guanciale croccante, compressione di pomodoro, essenza di fior di latte, cannella, gocce di cioccolato e guarnizione di scorzette. La mano dello chef qui esprime abilità e sicurezza nel mettere insieme elementi che apparentemente possono risultare lontani tra di loro ma che di fatto raggiungono un perfetto equilibrio. Accordo delle discordanze.
L’ultimo antipasto, Rossini di tonno al sesamo tostato, foie-gras, gelatina di Granny Smith e tartufi di mare, è la sintesi della fusione di una materia prima locale di qualità, quale il tonno, con il simbolo principe della cucina francese, il tutto completato dalla salinità dei tartufi di mare e dalla freschezza caratteristica di questo tipo di mela.
Per primo raviolo fatto in casa con aria e ripieno di mozzarella di bufala, ricci e tartufi di mare, una portata la cui principale connotazione è il rispetto per la materia prima: la mozzarella nel ripieno è lasciata in purezza e gli altri elementi che compongono il piatto contribuiscono a enfatizzarne il gusto.
Si continua poi con il risotto mantecato con burrata, colatura di alici di Cetara e asparagi, sashimi di gamberi rossi, menta e limone di Amalfi. Un piatto che non ha bisogno di parole. Semplicemente, chapeau.
Al momento del secondo le onde del mare si spingono fino alla macchia mediterranea e i flutti restituiscono una delicata ricciola scottata in olio al rosmarino, salsa di olive e capperi, limone Sfusato Amalfitano e asparagi. Questa tecnica di cottura rende il pesce tenero lasciandolo umido all’interno mentre la salinità dei capperi, l’amarostico degli asparagi e la freschezza del limone danno una spinta briosa al piatto.
Si passa poi al piccione in due cotture, scaloppa di foie-gras e jus di rapa rossa, un viaggio da Maiori a Parigi andata e ritorno con il gioco di diverse consistenze, croccantezze, morbidezze e cremosità, tutte nello stesso piatto. Particolarmente riuscita la scaloppa di foie-gras.
Precedono i dessert dei cubetti di ananas caramellato con essenza al rosmarino, crema di bufala e croccante alle nocciole.
Sorpresa finale affidata a una insalata di fragole e rabarbaro, streusel al wasabi, zenzero confit e spuma di ricotta di bufala, papille gustative sulle montagne russe grazie alla fresca acidità del frutto, la piccantezza di wasabi e zenzero, la croccantezza dello streusel e la sofficità della spuma.
Omaggio alla Costiera con il rinfrescante Sfusato Amalfitano in diverse consistenze.
Chiusura con una invitante e golosa piccola pasticceria.
La lista dei vini, di caratura internazionale, è notevole per estensione e profondità e include circa 1700 etichette con l’obiettivo di raggiungere in breve tempo la quota 2000.
Questi i vini degustati con i consigli di abbinamento proposti dal sommelier di sala: Franciacorta Brut Cuvée Prestige Ca’ del Bosco, Franciacorta rosé 2011 Bellavista, Fiano 2016 Antica Hirpinia, Azisa 2015 della tenuta siciliana Zisola di Mazzei, il rosé 2015 della tenuta toscana Belguardo di Mazzei, il rosso 2011 Capodorso dell’azienda agricola Trotta di Raito, il Moscato Rosa 2000 Vigna Bellina di Jermann e il rhum agricolo della Martinica Trois Rivières.
Cinque i menu degustazione disponibili: “Mare d’Amalfi” e “Colline di Ravello” rispettivamente di mare e di terra comprendenti ciascuno un piccolo stuzzichino, un primo, un secondo, un avant dessert, un dessert e la piccola pasticceria al costo di 70 euro; “Giardini di Tramonti” con un piccolo stuzzichino, un primo e un secondo di terra, un avant dessert, un dessert e la piccola pasticceria al costo di 65 euro; “L’Azzurro di Cetara” con un piccolo stuzzichino, un antipasto, un primo e un secondo di mare, un avant dessert, un dessert e la piccola pasticceria al costo di 85 euro; “In Prima Classe” che include un piccolo stuzzichino, due antipasti di mare, due primi di mare, un secondo di mare e uno di terra, un avant dessert, un dessert e la piccola pasticceria al costo di 150 euro.
Al piano superiore Capo d’Orso Eventi, gestita dai fratelli Pio e Gigi Ferrara, un contenitore che si avvale dello chef Catello Attanasio e che da poco ha visto l’ampliamento di un’ala della terrazza. Qui è attivo anche un servizio Bistrot per coloro che vogliono degustare un menu più “easy” rispetto a quello del Faro.
Dal 2015, a poca distanza dal ristorante, è nata Tenuta Solomita, resort aperto tutto l’anno composto da 6 stanze collocate su diversi livelli di terrazzamenti con vista mozzafiato.
Quando la cucina riesce a far chiudere gli occhi davanti all’infinito di fronte a sé, cioè quando questo passa in secondo piano rispetto a ciò che è nel piatto, si realizza che si sta compiendo un’opera fuori dall’ordinario, quella per cui i contenuti vengono prima di tutto, prima del contesto così come del possibile status di luoghi del cuore.
Il Faro di Capo d’Orso
Strada Statale Amalfitana, 44
84010 Maiori (Sa)
Tel. 089.877022
www.ilfarodicapodorso.it
Chiusura settimanale: martedì
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