Ristorante Dina Alberto Gipponi a Gussago
Via Santa Croce 1
Telefono +39.030.2523051
http://www.dinaristorante.com
Aperto tutte le sere, tranne la domenica
di Lorenzo Allori
Lungo le vie centrali di Gussago, all’angolo di un crocicchio- ove come noto avvengono gli incontri soprannaturali e si formulano i patti demoniaci- compare alla vista un edificio rosso sangue con scritto a caratteri neri Dina.
Dopo aver suonato l’anonimo campanello, si sblocca il pesante e legnoso portone: se si decide di varcare la soglia si andrà incontro a un viaggio iniziatico sotto la virgilea guida del cuoco Gipponi.
Passata la prima stanza, riccamente adornata di opere d’arte, si scende -accolti- nella prima sala del percorso, che appare allestita come una grotta scura- una sorta di cantina- illuminata da luci basse. Si prosegue nella cosiddetta veranda, affacciata su un finto salotto, arredata come una casa di qualche decennio fa, benchè, aguzzando un poco lo sguardo, si possono osservare le tante opere d’arte sparse nell’ambiente intorno, che si mimetizzano ai tavoli e agli oggetti più comuni in un fortunato connubio tra ordinario e artistico.
La tavola è nuda e la mise en place contenuta, ma plasticamente concepita dal cuoco, come tutto del resto nel ristorante è a immagine e somiglianza del capocuoco.
Servizio giovane sebbene molto professionale: tale è la fiducia che il sommelier, spiega il caposala con una punta di orgoglio, è autodidatta (questo spiega anche l’assenza di una proposta al calice e una cantina molto ampia e costruita); a dir del vero per essere aperto da un anno il locale gira puntuale come un ristorante consumato.
Si inizia con due dei benvenuti più creativi visti di recente nei ristoranti gastronomici: messi da parte cialde e finti macaron, viene qui servito un brodo di carne leggermente ristretto e volutamente non chiarificato. Il sapore è educato, vellutato e balsamico al palato: non c’è un gusto che predomina, anzi si combina una sinfonia di aromi vegetali che ben equilibrano l’umami dato dalle carni.
Viene a seguire uno dei piatti simbolo del ristorante, un casoncello che alla vista e al palato pare crudo, che tuttavia nasconde una farcia calda e dal sapore corposo, con spinte speziate che verticalizzano il gusto e i retro odori.
Entra quindi in scena una piccola pagnottella a lievito madre e grani pugliesi integrali, recuperati di recente da piccoli coltivatori; il pane è accompagnato da un burro montato all’essenza di arancia, che fornisce quello zing in grado di pulire la bocca e, in primo luogo, spingere la stimolazione pannosa della mantèca.
I primi due entrèe sono complementari a loro modo, ossia due piatti spiazzanti, dai gusti scanzonati e decisi, che giocano con il cliente nei concetti e nelle stratificazioni dei sapori.
Il primo dei due è un omaggio a uno cuoco particolarmente caro ad Alberto Gipponi, ovvero Davide Oldani. Una morbida sfoglia magistralmente dorata in superfice accoglie una sapida crema di grana, al di sopra un vellutato gelato di cippolla rossa, servito alla giusta temperatura e perfettamente mantecato.
Il secondo, servito in un piccolo bidoncino metallico, somiglia a un cocktail gastronomico: una studiata stratificazione che gioca con gli stati della materia e che per essere degustato al meglio necessita di essere energicamente mischiato. In questo antipasto il semplice concetto di costruzione verticale viene completamente sovvertito: non contano più l’assaggio e la stratificazione, ma il caos e le combinazioni che da esso emergono una volta amalgamato.
Ne esce un piatto con una base di bosco e di terra, rinfrescato da profumi continui di limone e menta, in ultimo e solo in ultimo interviene la salinità della cozza.
Si passa in seguito, con l’ultimo antipasto e il secondo dei primi, a una fase degustativa più immediata e meno esaltante: il francofilo fegato con salsa bordolese e l’infanzia bresciana dei casoncelli con polvere di salvia. Piatti buoni, ben eseguiti, con cotture esemplari, che tuttavia mancano di quel “wow!” a cui ci si è abituati sin dall’inizio del percorso.
Ecco però, tra i due piatti, inaspettatamente rispuntare l’alchimia estrosa e bizzarra del cuoco: uno spaghettone cotto al chiodo, dressato con mandorle e noci tostate e una delicata crema di mandorle incenso e mosto d’uva della cantina Divella. Un vero trionfo di toni balsamici e agrodolci che aiutano a mettere in luce l’assoluto e indiscusso protagonista del piatto: il grano dello spaghettone.
Dietro volere di Gipponi la portata principale viene presentata nel buio, sotto una cupola d’argento e illuminata da una fioca luce bianchissima.
La teatralità è quella tipica del ristorante spagnolo; il climax, però, giunge al culmine quando da un lato si effonde nella stanza il rumore di un accelerato battito di cuore, dall’altro lato arriva il cameriere, che invita a mettere le cuffie per gustare il piatto nel completa intimità.
Giacché senza la vista e senza i suoni, i sensi umani si affinano e si amplificano; sono costretti a concentrarsi su ciò che si ha di fronte (ed è per questo che non ci saranno immagini di codesta creazione): un animella di vitello dalla burrosa consistenza, coperta da una leggera polvere di sarda di lago, che regala il “saporito”a ogni boccone, e una riduzione di borsc di rapa rossa per le note agrodolci.
Il cerchio è chiuso, sia fatta luce.
La parte finale del pasto inverte nuovamente le aspettative dell’avventore: ci si aspetta solitamente la parte dedicata ai più soavi sapori, mentre pre-dessert e dolce sfuggono a qualunque classificazione (come Alberto del resto).
Arriva in tavola per prima, una ciotola con un riso cotto nel latte e nel limone: un vero capolavoro, senza dubbio una portata che vale il viaggio: il riso croccante servito tiepido, l’amarezza dell’albedo presente nell’agrume, la sferzata citrica e la carica aromatica del limone, appena ammansita dal latticino, regalano una persistenza balsamica e rinfrescante.
Il secondo pre-dessert è un gelato al tartufo finemente realizzato; sapiente il bilanciamento degli zuccheri e dei grassi, intatto e potenziato dalla cremosità l’aroma del tartufo nero.
Il dolce parte da una straordinaria intuizione, ossia creare un leitmotiv partendo non tanto da note dolci e piane, quanto da quelle prepotentemente amare del cavolfiore. Benchè servito fuori temperatura, rimane evidente la ricerca puntigliosa per raggiungere un gradevole connubio tra cavolfiore, bergamotto e wasabi; che, per dirla con De Andrè, solo quel cuoco poteva farli sposare senza farli scoppiare.
A concludere la piccola pasticceria più insolita e piacevole mai assaggiata, quasi un rito sciamanico più che un commiato: cozza in escabeche ripiena di marmellata di aancia amara, capperi e funghi disidratati e radice codonopsis con i suoi cangianti aromi di camomilla, castagna e liquirizia; accompagnata da uno shot gelido di bava di lumaca, aspra e rinfrescante come limonata.
Sale, terra e mineralità come alchimia prescrive.
Si termina la cena uscendo da dove si è entrati, passando attraverso il “laboratorio”, uno spazio finemente apparecchiato, con tanto di tovaglia, ed elegantemente affrescato da un capolavoro di arte moderna. Difatti, spiega il cuoco, è questa la stanza di Dina che lo rappresenta veramente, “quelle di là sono altra cosa”, dice sottovoce.
Sembra che il capocuoco abbia colto alla perfezione l’imput dato da Jung, che recita: “Ti lamenti di non essere compreso da nessuno. Prima cerca di comprendere te stesso, solo allora sarai compreso anche da gli altri”.
Quando si esce dall’atanor di Alberto ci si sente in qualche modo trasmutati, come in eterna mutazione è d’altro canto la cucina di Gipponi.
Una volta fuori al freddo è possibile tornare al proprio cammino di “homo viator”, tornare a riveder le stelle.
La mise en place raffinata su un tavolo nudo, quasi a voler rimarcare la totale trasparenza dell’idea dietro il ristorante.
Ristorante Dina Alberto Gipponi a Gussago
Il pane di grani recuperati pugliesi con lievito madre. Profumato, leggero, con una buona alveolatura
Il burro montato all’essenza di arancia in accompagnamento alla pagnotta
Il primo benvenuto. Brodo non chiarificato di carne: semplice, confortevole, diretto. Niente trucchi, niente inganni
Casoncello crudo ma cotto
Casoncello crudo ma cotto
Casomai venisse a cena Davide Oldani: una sfoglia dorata con gelato di cipolla in carpione, crema di grana padano
Tutto ci passa attraverso e ci cambia: tartara di funghi alla base, crema di pane e cozze al centro, aria di limone e menta
Vi rode il fegato (INVIDIA): fegato di fassona scottato, riduzione di mela e curcuma, cipolle croccanti, salsa bordolese, estratto di mela, noci
Divina: spaghettone alla crema di mandorle, mosto d’uva Divella, incenso, mandorle di Noto tostate
Ne mangerei un bidet: casoncelli tradizionali su salsa di grana padano e polvere di salvia
Riso latte limone candito e non
Gelato al tartufo nero
Ma che cavolo! Spuma di cavolo vaniglia, wasabi, bergamotto, crumble di nocciole
Via Santa Croce 1 Gussago (BS)
Telefono +39.030.2523051
http://www.dinaristorante.com
Aperto tutte le sere, tranne la domenica
Ristorante Dina Alberto Gipponi a Gussago
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