Ristorante Del Cambio a Torino di Matteo Baronetto
Piazza Carignano, 2
Tel. 011.546690
www.delcambio.it
Sempre aperto.
Chiudo domenica sera, lunedì e martedì a pranzo
Un grande classico dove nelle due sale i sessantottini in pensione finalmente ritrovano il nemico di sempre che sembrava sparito, quella borghesia raccontata nei film di Tognazzi che il bombarolo di De André, col suo pinocchio artistico, “arnese artigianale”, aveva tentato di far saltare in aria alla “fiera della vanità”. Ma è un nemico che oggi conforta chi lo ha combattuto, pur essendone figlio come ci ricordava Pasolini, adesso quasi rinfranca e rassicura dopo la pioggia di yuppies, finanzieri d’assalto, predoni di stato, evasori e bancarottieri che hanno calcato la scena dalla fine degli anni ’80 in poi. E se la coppia di gay un po’ anoressica (“sono porzioni da camionisti”) ma poi bulimica di chiacchiere anima e rallegra la sala Risorgimento dove Cavour mangiava studiando le annessioni delle regioni italiane al suo Piemonte, possiamo dire che il Ristorante Del Cambio regala la sensazione di tornare a casa, entrare in una basilica, o in una biblioteca dell’archivio di Stato, dove vivono ancora le monumentali certezze dell’800 mandate in frantumi nel secolo breve.
Due sale (l’altra è la Pistoletto con gli specchi abitati), l’American bar al piano di sopra con cucina autonoma, la farmacia Bestente per chi ama dolci di Fabrizio Galia a prezzi accessibili (modello Ducasse a Plaza Athenee), i sotterranei delle cantine dove sicuramente ha caminato anche Pietro Micca, ovunque qui si respira certezza, la confusione elettorale sembra solo un Truman Show televisivo. Ma la certezza più granitica di tutte, tra camerieri e cameriere vestiti uguali, maitre dalla lunga esperienza e sommelier al lavoro su è giù, è nella regia della cucina, quella di Matteo Baronetto.
Alle Strade della Mozzarella lo scorso anno Matteo Baronetto è arrivato carico di rivisitazioni, in nome di un concetto molto amato oggi: “confortevole”. “Ed il conforto” spiegava Baronetto a Paestum “lo si ritrova nei nostri classici, quelli che ci fanno sentire a casa”. Così compaiono i suoi gamberetti in salsa rosa, il suo vitello tonnato, le acciughe in salsa verde, chiudendo con l’ uovo sodo che voleva essere un calamaro. Giochi ricchi di tecnica e materia prima eccellente con l’ importanza di conoscere la storia e l’ origine dei piatti per poter dare loro una nuova veste, pur continuando a mantenere un fil rouge con i sapori e le tradizioni che conserviamo nella nostra memoria organolettica.
Memoria, dunque, con grandi classici piemontesi che la nostra borghesia ritrova con piacere. Memoria che gioca con il futuro, in un menu a 130 euro di sette portate con il “prima” e il “dopo” presentati contemporaneamente. E memoria dei classici della chef. Ma anche creatività, con il menu a improvvisazione (135 euro). In sostanza, in questo ordine galileano dove tutto dalla cucina alla sala gira senza una sbavatura, alla fine ognuno può fare come cazzo gli pare, anche ordinare una costoletta alla milanese e un dolce e andar via. Proprio la poliedricità del posto, solo visivamente ingessato, lo rende frequentabile, amato e di successo perché le occasioni, comprese le straordinarie degutazioni organizzate dal primo sommelier Davide Buongiorno nella sala allestita in cantina, sono davvero tante.
Ristorante Del Cambio a Torino di Matteo Baronetto
Sicchè, dopo l’aperitivo fatto per ingannare il tempo si aprono le danze.
Il primo e il dopo si apre con il gioco del gambero e si riesce a capire quanti passi in avanti ha fatto la cucina. A sinistra la freschezza completamente seppellita nella salsa rosa come si usava un tempo, c’è sicuramente il piacere iniziale del boccone grasso e morbido ma che poi stanca. A destra invece la maionese è sostituita da una emulsione di gamberi e la freschezza del crostaceo esplode immediata. Un esempio perfetto della evoluzione in cucina negli ultimi trent’anni che fa sembrare antico ciò che sino a poco fa sembrava moderno.
Di mestiere la carne cruda, finisssima ed elegante.
Stratosferico il piatto della trippa di Saint Jacques, una cineserie perché per ottenere questo piattino in cui la trippa è nella salsa, occorrono molti cili. Che mondo è questo dove si buttano le parti dell’animale che hanno sapore per mangiare la sua idea? Una metafora del tempo che viviamo, tutta estetica e poca sostanza.
Torna il gioco tra il prima e il dopo con gli gnocchi valdostani e anche qui emerge con chiarezza il rispetto della materia che si è acquisito negli ultimi anni con l’evoluzione della cucina.
Di grande creativà invece il piatto degli spaghetti al topinambur, visto stranamente come un elemento nordico mentre tutto quello italiano viene coltivato in Daunia. Forse anche per questo l’abbinamento ocn iricci è semplicemente stratosferico:-)
Altro piatto con sapore forte, senza mediazioni, diretto: rognoni e ricci di mare. Una chiusura lalla grande della parte salata della cena.
Prima e dopo con i profitteroles per il dolce.
CONCLUSIONI
Il Ristorante Del Cambio è una tappa obbligata quando siete a Torino. E, da vero ristorante, consente di tornare spesso più volte grazie ai classici e ai piatti stagionali che ruotano. Un ristorante che ha al centro il cliente e la sua soddisfazione. Sicuramente si può considerare ai vertici italiani in questo momento grazie alla completezza e alla varietà della proposta, al servizio e all’ambiente davvero unico e irripetibile.
Non c’è bisogno di aggiungere altro.
Ristorante Del Cambio a Torino di Matteo Baronetto
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