Roma, All’Oro, Ramona Anello e Riccardo Di Giacinto in the H’All

di Raffaele Mosca

Ostinato, in una Roma che sembra ripiombata nella zona rossa per via dell’afa insopportabile, approfitto della tregua dopo il tramonto per fare un’esperienza che dia senso alla giornata. Le opzioni non sono tante, perché gli indirizzi gourmet che non riposano di Domenica sono giusto un paio. Alla fine la mia scelta ricade su All’Oro, stella Michelin che ha celebrato il decennale dell’ingresso nell’Olimpo della Rossa proprio nell’anno della pandemia.

Ero stato al relais dello chef Riccardo Di Giacinto nel 2017, poco dopo il trasferimento da Via del Vantaggio al The H’All, boutique hotel nel quartiere Flaminio, e mi ero trovato veramente bene. Temevo che, con tutto quello che è successo nel frattempo, con l’hotel ancora chiuso perché i turisti stranieri non sono tornati, il morale potesse essere parecchio fiaccato e, invece, ho trovato un ambiente rilassato e una cucina che, come sempre, unisce una ricerca costante, una capacità rimarchevole di stare al passo con i trend contemporanei, con un senso raro di equilibrio, d’ edonismo e d’immediatezza che mi sembra molto in linea con i gusti della clientela capitolina.

La prima cosa che si nota nel menu di All’Oro è la totale assenza d’ingredienti improbabili con nomi impronunciabili. Non che non apprezzi le contaminazioni fusion, l’uso spericolato di katsobushi, umeboshi, funghi shiitake, ma fa piacere che uno chef – almeno uno! – rinunci all’esterofilia e punti sulla materia prima mediterranea, con un’attenzione speciale nei riguardi del mondo vegetale e degli elementi base della cucina romanesca. I percorsi sono quattro, All’Origine (120), Il Vostro all’Oro (a mano libera – 98), L’Oro di All’Oro (150), All’ Erbivoro (tutto vegetale – 88). Avendo già provato buona parte dei classici, decido di optare per il menu a mano libera con un focus specifico sui piatti che fanno forza su mare e verdure.

L’esperienza nella cornice del giardino che circonda la Villa Liberty comincia con un benvenuto veramente d’impatto: un viaggio in otto bocconi tra Messico, Russia, il Mediterraneo e, ovviamente, Roma. La seconda tappa romana – tartelletta con pecorino e guanciale, prima era stata la volta della panzanella liquida – intramezza con un tocco di grassezza e golosità confortante un percorso tutto incentrato su toni acidi, amari e vegetali molto á la page. Segue il grissino con lardo di seppia, che dà una scossa di sapidità, e il cubo di Negroni in geleè che rinfresca e prepara il palato alla prima portata.

Nel repertorio di Di Giacinto ci sono una serie di rivisitazioni di classici romani che hanno fatto scuola. Tra questi spicca il Tiramisù di baccalà e patate con lardo di cinta senese, presente in carta dal 2008. Provato in versione finger food tempo fa ad un evento, appaga anche in formato maxi con la sua cremositá godereccia, abbinata al tocco croccante dato dalla cinta senese. È un piatto che rasenta i limiti del “comfort food”, ma non passa mai di moda.

Il primo segue la linea della della golosità. I pici all’aglione – in versione bianca – con capesante alla brace, peperone crusco, bietola rossa sono una coccola cremosa appena smorzata dalla sapidità, dal lieve fumè della capasanta e dal ritorno dolce e vegetale abbastanza intenso dato dalla bietola, che crea anche un gioco di consistenze. Il peperone crusco aggiunge un guizzo piccante, completando un quadro molto equilibrato che cambia un po’ ad ogni forchettata.

Con la rana pescatrice, lattuga, ventricina, ciliegie Di Giacinto dà ampio sfogo al suo estro creativo. La lattuga in bella mostra sembra dire: “sono io la protagonista, non la coda di rospo!”. E, in effetti, il sapore vegetale della foglia verde va a braccetto con l’acidità della ciliegia e dà una marcia in più a un piatto complesso e stratificato, in cui gli elementi sono giustapposti come in un quadro cubista. Si sente tutto: non solo l’acido, il verde, ma anche e soprattutto il sapore marino del pesce – rigorosamente mediterraneo – e il piccante della ventricina, senza alcuna stonatura, anzi con un senso di equilibrio d’insieme straordinario. È senz’ombra di dubbio il piatto della serata.

Chiudo in dolcezza con due dessert che rappresentano quel connubio di “tradizione e innovazione” di cui tutti parlano e che pochi riescono a concretizzare. Il tiramisù si presenta in veste innovativa – la sfera di meringa racchiude gli ingredienti classici e la foglia di cioccolato richiama il logo del ristorante – ma è tradizionale nel gusto. Carbon’Air – ovvero uovo di cioccolato bianco ripieno di passion fruit, pepe nero, rigatoni di frolla – spiazza con un guizzo d’acidità e un leggero tocco piccante che smorzano la dolcezza intensa degli altri elementi, richiamando in qualche modo l’alternanza di sapori duri e morbidi nel piatto più “pop” della tradizione dell’Urbe.

In abbinamento ai piatti, vini freschi, estivi, non trascendentali, ma azzeccati. Menzione d’onore per il Riesling Fass 6 di Peter Lauer, dalla regione della Saar, che fa faville con i pici. Nel complesso si potrebbe forse osare un po’ di più, mettendo magari in mezzo qualche strambo autoctono italiano, ma i colpi di scena non sembrano proprio far parte dell’estetica di Riccardo Di Giacinto e della sua squadra. La parola chiave del luogo e della cucina è “comfort” e su questa linea si base anche il servizio efficiente, accurato, ma caloroso e piuttosto informale.

Conclusione

Penso che ogni ristorante gourmet che si rispetti debba adeguarsi a degli standard qualitativi universali, ma anche adattarsi all’ambiente che lo circonda, ed è chiaro che Di Giacinto con All’Oro ha centrato nel segno da questo punto di vista, facendo forza su di una concretezza e una schiettezza tutta romana senza, però, rinunciare alla ricerca e alla raffinatezza che si addicono ad una tavola insignita dell’ambitissimo macaron Michelin. Se fossi un turista e volessi fare un’esperienza diversa da quella della classica trattoria romana, questo sarebbe il primo posto in cui verrei. Ma la sorte – mala o buona che sia – mi ha riportato a Roma dopo qualche peregrinazione, e allora penso che tornerò più spesso a ristorarmi nelle giornate “svuotate di significato” dalla canicola in questo giardino dove nulla è fuori posto e si può godere anche – ma non solo – con il cervello in stand by.

Report del 2 maggio 2017

 

Cosa si mangia da Riccardo di Giacinto al ristorate All’oro

 

Ristorante All’Oro
Via Giuseppe Pisanelli, 23/25 Roma

Finalmente hanno riaperto. Ce l’hanno fatta, Ramona Anello e Riccardo Di Giacinto. Caparbi, ostinati, forti della loro esperienza e forti della novità più bella arrivata nell’ultimo anno e mezzo di pausa forzata: una bimba di tredici mesi.
Oggi a due passi da Piazza del Popolo sono riusciti ad incastonare, letteralmente, il ristorante All’Oro – che ha portato a Di Giacinto la stella Michelin nel 2010 – in un palazzetto albergo che gestiscono in prima persona e proprio come se fosse la loro casa.

Mesi di grossi sacrifici, durante i quali – come spesso purtroppo ci tocca ascoltare – l’investimento economico viene aggravato dagli intralci del vero Moloch del nostro Paese: la burocrazia.
Ma ci sono riusciti. E questo conta. L’albergo , il cui nome the H’All – Tailor Suite gioca con quello del ristorante, occupa tutto il primo piano di questo palazzo storico, ha 14 camere arredate in stile molto moderno ed elegante, ma anche personalizzate e rese super confortevoli dalla mano femminile della padrona di casa.

Le linee essenziali del legno scuro, gli accessori in ottone, il disegno pulito dei parati, i colori che vanno dal blu al petrolio al verde acido sono gli stessi dell’ampia sala da pranzo del ristorante.
Mise en place minimale, piatti e accessori di design, luci soffuse ma centrate. La cucina si affaccia su una parte della sala, mentre la grande porta scorrevole al centro, la boiserie e il camino in fondo ricordano piacevolmente l’ambiente di un club inglese.
Ramona riceve gli ospiti e coordina i tavoli con la consueta professionalità; è lei l’anima della sala, che sta dietro a tutto come solo chi tutto ha seguito, dall’inizio alla fine, può fare. Ed è lei l’ispiratrice di una carta dei vini molto ben fatta, che esce con divertimento dai soliti percorsi.
Un servizio collaudato, giovane, non ingessato ma che si muove con grande professionalità.

La carta riporta tutti i classici che hanno reso famoso lo chef dell’All’Oro, con in più qualche interessante novità. Ci sono quattro menu degustazione, da quello vegano (a 78 euro) a quello completo di 9 portate (130 euro).

L’aperitivo, vivace e stuzzicante, è in piena sintonia con le sfumature della primavera. Scatole colorate  che si aprono su bocconi soprattutto vegetali, quasi un ‘orto & cucina’ in miniatura: il gel di melone bianco con guanciale croccante, il maritozzo con broccoli e salsiccia, il cracker con la giardiniera, la rilettura del risotto alla milanese, il macaron salato, il marshmallow di parmigiano e tartufo.

Un primo piatto semplice, perfetto per i golosi di crostacei, lo spaghetto aglio e peperoncino con crudo di canocchie.

Sempre un grande piatto i cappelletti in brodo asciutto con parmigiano, zafferano e limone, bocconi unici che sorprendono il palato anche quando li conosci.

Carattere deciso nei sostanziosi won ton ripieni di castrato, serviti con verza e pecorino, dove tecnica e manualità vengono messi al servizio della tradizione della campagna romana.

Delicata la triglia con lamponi e limone, mentre colpisce per sapore e toni decisi dell’amaro uno dei piatti nuovi di Di Giacinto: il pollo alla cacciatora. La carne tenace, come l’antica ricetta prevede, e gli ingredienti canonici affrontati con tecnica e rispetto, ne fanno un piatto di ottima esecuzione ed efficacia.

Il capitolo dessert si apre in maniera fiabesca (il tema del dolce e dell’infanzia ritornerà anche dopo), con la mela di Biancaneve: pre dessert alla mela servito con tanto di specchio magico.

Ancora un’incursione nei classici per la chiusura col celebre tiramisù con ‘virgola’ di cioccolato e la sorpresa golosa nascosta sotto lo zucchero filato del ‘latte & miele’, doppio salto giocoso nella memoria infantile. A completare, le bombette fritte, con una buonissima crema zabaione e la piccola pasticceria.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version