Nicolas Joly, titolare della Coulée de Serrant
di Riccardo Sette
Si parla spesso di vino biologico, viticoltura “naturale”. Ma chi è che, davvero, fa il vino rispettando la natura? Chi cavalca solamente l’onda modaiola della sostenibilità ambientale? Cos’è un vino naturale? Difficile spiegarlo in poche parole, diverse le pratiche e le filosofie per arrivare a produrre un nettare che rispetta l’ambiente.
Sicuramente una di queste è l’agricoltura biodinamica, oggi di grande attualità grazie alle sue applicazioni e alle riconosciute esigenze, ormai ineludibili, di un cambiamento di direzione nella produzione viticola. La sua storia risale agli inizi del Novecento. Enunciata da Rudolf Steiner, la biodinamica è una filosofia che propone un approccio olistico al sistema vivente. Come la si applica alla viticoltura? La risposta risiede nell’imparare a guardare la vigna e il vino con un atteggiamento nuovo, misurando l’agire dell’uomo nei campi di forze intrinseche della natura e dei suoi cicli ancestrali. Un vero e proprio ritorno alle origini, quando la sapienza umana e la conoscenza del cosmo erano anteposte alla chimica.
“Per capire profondamente la vita, dobbiamo lasciare la materia alle spalle e concentrarci sulla comprensione del sistema che dà vita alla Terra”.
Questo il pensiero di Nicolas Joly, titolare della Coulée de Serrant, azienda vitivinicola della valle della Loira, e produttore di uno dei vini più famosi del mondo. Convinto sostenitore della biodinamica in viticoltura, la applica nel suo lavoro quotidiano e se ne è fatto instancabile divulgatore.
Coulée de Serrant prende il suo nome da una vigna impiantata dai monaci cistercensi nel lontano 1130, da allora è sempre rimasto un vigneto, un “Clos”. Le sue vigne si trovano nella parte occidentale della regione, precisamente a Savennières. Sette gli ettari vitati di questa vigna ancestrale, curata in parte a mano e in parte a cavallo, a causa delle forti pendenze. In queste preziose terre i principi della biodinamica sono applicati dal 1981. Dal 1984 le pratiche biodinamiche sono state applicate agli altri vigneti di proprietà, il “Clos de la Bergerie”, tre ettari nell’appellazione Savennières-Roche aux Moines, e nella vigna le “Les Vieux Clos” cinque ettari nell’appellazione Savennières, da cui si ricavano i rispettivi vini che hanno un prezzo più accessibile rispetto al mitico Clos de la Coulée de Serrant.
Il protagonista, in vigna e in cantina, è solamente uno. Lo Chenin Blanc. Vitigno difficile, poco flessibile, che mal si adatta al di fuori della Loira, lo Chenin Blanc o Pineau de Loire è presente sin dal Novecento nell’Anjou. Da Angers è risalito nei secoli fino a Tours, arrivando ad occupare un territorio molto esteso, di circa 70.000 ettari, in una zona dal clima fresco ma mite. Ha un’acidità pronunciata, propensione alla botrytis e una natura tardiva, capace di sviluppare una eccezionale concentrazione e ricchezza, pur conservando un naturale equilibrio nell’acidità. In piena maturità è quasi bruno e si raccoglie in ottobre, impiegando da tre a cinque cernite.
La filosofia adottata dal domaine è semplice e diretta. Il terreno deve essere in grado, da solo, di garantire la crescita delle viti e delle uve, è escluso quindi l’utilizzo di qualsiasi sorta di fertilizzante chimico. Per assicurare una crescita ottimale il suolo va mantenuto vivo: tutto ciò che mette in pericolo questa vitalità è bandito dalle pratiche viticole: diserbanti, insetticidi, prodotti chimici di sintesi distruggono, direttamente o indirettamente, la vita della Terra. Solamente i micro-organismi tipici di quel preciso terroir possono fregiare il vigneto della sua particolarità. Sostenere la loro esistenza apporta materia vitale, questo è possibile attraverso pratiche biodinamiche come il compost e l’utilizzo dei preparati.
I terreni di Nicolas, tanto vitali quanto poveri, offrono alla vite la possibilità di sovralimentarsi di luce e calore. Questa è sicuramente una delle chiavi del suo successo viticolo: la biodinamica gioca un ruolo molto importante nel potenziamento della fotosintesi. Le malattie della vite si evitano semplicemente equilibrando i componenti del domaine, attraverso l’utilizzo di differenti specie animali e vegetali. “La malattia è solo un bene che non è più al suo posto”, riassume così il patron.
In cantina, l’originalità e la personalità acquisite dalle uve e l’identità dell’annata rendono il lavoro minimale: solamente travasi e filtrazioni manuali. Le decantazioni, i passaggi a freddo, i lieviti artificiali e i “gusti arbitrari” ad essi associati sono sistematicamente esclusi dal lavoro.
La biodinamica vista non più solamente come una filosofia ma come arte viva. Un capolavoro agricolo che rafforza l’originalità dei vini.
Clos de la Bergerie 2013
Dopo una pressatura soffice, le uve Chenin fermentano spontaneamente e il vino ottenuto affina per otto mesi sulle fecce fini in doppie barrique usate. Splendido color ambra, inizialmente timido si apre in note floreali di gelsomino e miele di tiglio. I terreni scistosi del vigneto gli donano uno scheletro minerale, essenza pura. Sentori di buccia di pompelmo, fieno. Evolve continuamente nel bicchiere. Bocca tesa e potente, l’acidità punta in alto svelando i muscoli di un vino che può ancora affinare per molti anni. 96/100
Clos de la Coulèe de Serrant 1999
Le uve di questo vino provengono da viti vecchie circa 60 anni, 20 ettolitri di vino prodotti ad ettaro per un totale di circa 18.000 bottiglie per annata. Questa magia liquida, rinchiusa per tutto questo tempo, evade rivelando tutta la sua magnificenza. Color ambra brillante, note di foglia di tabacco, fiori secchi, cardamomo, speziato di curcuma. Si apre in frutti esotici, papaya e litchi. Continua, virtuoso, ad esprimersi in qualcosa di diverso ad ogni respiro. Dinamico, di nome e di fatto. Palato morbido e caldo, adatto ad accostamenti gastronomici complessi. La sua viva acidità riesce a sorprenderti. Finale minerale e sapido. Un vino da amare, da bere il più lentamente possibile per scoprire tutte le sue sfaccettature. 99/100
Nicolas Joly, Coulée de Serrant
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