di Ugo Marchionne
Per decenni si è sempre pensato che il risotto fosse esclusivamente una prerogativa degli chef del Nord Italia, per tradizione storica, tecnica e retroterra culturale. L’ Italia della cucina gourmet si è sempre immaginata come divisa tra il Sud patria della pasta ed il Nord patria del riso. Ebbene, nonostante questo possa considerarsi quantomeno plausibile nella cucina di tutti i giorni e nella nostra memoria storica, lo stesso discorso non può essere fatto per la cucina stellata e raffinata. A partire dal famoso Riso, oro e zafferano di Gualtiero Marchesi, il risotto è diventato un perno fisso del menù di qualsiasi ristorante e quindi ha comportato che tutti gli chef ci si sono dovuti misurare. Recentemente quindi, dopo aver letto l’articolo sul risotto sotto il Po, sono rimasto affascinato dal pezzo e dall’ argomento e ho cominciato ad inseguire un mio punto di vista sulla questione attraverso un itinerario che collega cinque chef da me provati e cinque concetti che hanno fatto conoscere al Sud il risotto.
1) FRANCESCO SPOSITO – IL CORAGGIO
Il bistellato alfiere e chef-patron del ristorante Taverna Estia a Brusciano è noto per essere un uomo che osa. Tutto genio e sregolatezza come si dice in termini calcistici, ma supportato da una tecnica notevolissima. Francesco Sposito nell’ affrontare il terreno di gioco del risotto ha impiegato la sua dote più grande: il coraggio. Il coraggio di osare e lasciarsi influenzare, dai sapori, dai ricordi, dalle sensazioni, dai profumi, da tutto ciò che fa scattare la scintilla creativa. Il risultato quindi è un piatto, un risotto completamente libero dalla tradizione, asservito ad un concetto. Un primo esempio è l’ iconico risotto Vialone nano mantecato con confettura di limoni alla vaniglia, crudo di gamberi viola, vongole veraci e olio ai pistacchi di Bronte. Un’ode al mare, al Sud, le vongole partenopee, i gamberi di Gallipoli fino al pistacchio siculo. Un piatto del Nord per far brillare i sapori del Sud.
Il secondo risotto, recentemente proposto, nasce dal coraggio di lasciarsi sedurre e confrontarsi con una realtà complessa come la cucina giapponese a seguito di un viaggio. Il viaggio itinerante di Sposito tra Tokyo e Osaka gli ha lasciato in eredità la voglia di trasformare il sushi in un risotto. Ed ipso facto il risotto sushi secondo Francesco Sposito, in cui è il Giappone che diventa Italia. Il nigiri diventa risotto ed il sashimi diventa crudo di pesce.
2) SALVATORE BIANCO – IL FASCINO DEL VIAGGIO
Il capitano del Comandante Restaurant del ROMEO Hotel, stella michelin con il suo risotto alla curcuma, limone salato, cozze e salsa di broccolo è riuscito a creare una suggestione, slegare questo piatto dal legame con il tricolore e renderlo il veicolo di un viaggio, un viaggio che porta fino in oriente. Nel Kerala in India. In tutti i risotti di Salvatore Bianco troviamo degli elementi orientali: il tè Lapsang, il pepe di Java, le uova di salmone Ikura. Il risotto quindi, non essendo così fortemente connotato per noi del Sud, la tavolozza sulla quale dipingere i colori, i sapori e le suggestioni di paesi lontani che sicuramente con il loro fascino esercitano un forte ascendente sulla nostra cucina.
3) STEFANO MAZZONE – L’ ESTETICA
L’ head.chef del ristorante Rendez-Vous, perla del Grand Hotel Quisisana di Capri nel suo approccio con il risotto si è interfacciato ad un grande classico ed è riuscito ad entrare in simbiosi con esso. Sebbene un grande classico non si possa sconvolgere, si può sempre elevare attraverso la tecnica e l’ estetica. Un risotto sarà sempre un risotto, ma dandogli una nuova veste, un nuovo volto ed una complessità diversa si può far avere al commensale un’idea completamente differente di un qualcosa che si dava per scontato. Approcciandosi ad un classico come il risotto al pomodoro, Stefano Mazzone ne ha riprodotto il gusto a tutto tondo. Polvere di pomodoro alla base, risotto al pomodoro mantecato al burro e crudo di pomodoro e basilico in finitura. Il colore, la veste neoclassica di questo piatto e la varietà delle tecniche di realizzazioni fanno si che la percezione di esso sia completamente nuova e creano la suggestione di trovarsi di fronte a qualcosa di mai visto. Un risotto al pomodoro non si può cambiare nella sostanza, ma se muta la forma muta anche il contenuto. La lotta tra significante e significato dietro la filosofia di un piatto. E il cerchio si chiude.
4) GENNARO AMITRANO – LA TECNICA
Il giovane allievo di Alain Ducasse e Gianfranco Vissani, approdato di recente sull’isola di Capri è il solido emblema di come la tecnica possa essere la chiave interpretativa di un grande risotto. Come Gualtiero Marchesi aveva introdotto nel patrimonio gastronomico il burro acidificato al vino bianco ed infusione di cipolla, durante la tostatura del riso, Gennaro Amitrano ha combinato insieme gli insegnamenti dei suoi maestri: la mantecatura francese al burro e la finitura con olio extravergine a crudo di matrice vissaniana. La commistione tra questi due elementi fà si che la percezione di rotondità e pienezza del gusto sia accentuata rendendo il risotto ancor più morbido ed avvolgente. Il sapore del piatto quindi verrà completato a seconda delle altre componenti che lo andranno variamente a connotare. Una solidissima base per risotto da centro a colpo sicuro.
5) LINO SCARALLO – LA TRADIZIONE DEL SUD
E’ innegabile infine come la tradizione gastronomica del Sud d’ Italia è ricchissima e non finisce mai di sorprendere. Impiegare la cultura e la sensibilità del Sud quando si progetta un risotto può quindi essere la chiave di volta. Per Lino Scarallo la cucina è una questione di genetica. Tutto finisce per essere ricondotto ai ricordi dei nonni o della mamma che cucina. Anche nel risotto quindi finiscono per confluire quegli ingredienti che rimangono impressi nella memoria di un bambino napoletano. Il pomodoro, la mozzarella, il pesce. Una modernità quindi con i piedi ben piantati nella tradizione. Non c’è innovazione senza tradizione. La tradizione è essa stessa innovazione. Ecco quindi che il risotto al datterino giallo con stracciata di bufala e crudo di scampi di Lino Scarallo è l’ emblema di come gli elementi e gli ingredienti tipici della cucina partenopea possono essere applicati universalmente. Anche ad un risotto.
Il risotto quindi oramai è diventato un piatto senza confini. Terreno fertile per gli chef al fine di dare libero sfogo al loro estro creativo, qualsiasi esso sia. Il Nord gastronomico rimane sempre un istituzione inamovibile, ma gli chef del Sud come giustamente rilevato da altri prima di me si presentano senza timori reverenziali e liberi da qualsiasi vincolo tecnico. Avendone provati alcuni e ritrovandomi in quanto detto ho provato a dare una ricostruzione ideale sull’argomento. Il riso in fondo fa parte anche della nostra storia e l’ Italia è una ed indivisibile. Gli chef del Sud rappresentano quindi le nuove generazioni che hanno riportato lo spotlight su questo piatto anche sotto il Po.
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