Alcuni supermercati di fronte alla crisi di panico hanno messo un limite ai pacchi di pasta che ciascun cliente può portare a casa. Ma la situazione è davvero così grave? Cosa ci dobbiamo aspettare nel piatto dalla guerra in Ucraina, da sempre granaio d’Europa oltre che primo produttore mondiale di semi per olio da girasole?
Abbiamo girato la domanda a Giuseppe Di Martino, dinamico industriale della pasta, appassionato gourmet, impegnato a New York nel suo pasta bar aperto al Chelsea Market.
“La prima cosa da fare è distinguere fra grano duro e grano tenero. Il primo serve per la semola della pasta itaiana, è il nostro dna mediterraneo che ci distingue. Dunque, almeno che qualcuno non racconti favole, le paste dichiarate da grano italiano non avranno alcun problema produttivo. La campagna è finita da tempo e si è prodotto ai costi di un anno fa. Certo, alcuni aumenti possono essere giustificati dall’aumento dei costi energetici e della logistica, ma anche calcolando il massimo, ossia 40 centesimi a pacco di pasta da mezzo chilo, considerato il consumo medio pro capite italiano di 24 chili, ciascuno di noi dovrebbe spendere 20 euro l’anno in più, ossia meno di due euro al mese. Vero che anche il Canada, altro paese di produzione del grano duro, ha avuto problemi di siccità, ma la stagione promette bene, sia da noi che in quel paese e la materia prima non dovrebbe scarseggiare”.
Insomma, la pasta non mancherà e gli aumenti, per quanto impressionanti in termini percentuali, sono oggettivamente sopportabili.
“Assolutamente, anche in considerazione del fatto che i prezzi della pasta al consumo sono rimasti stabili per quasi un ventennio. Ripeto, l’aumento è dovuto alla crescita dei costi energetici e di trasporto. Non è assolutamente giustificato il panico, il mio consiglio ai consumatori e ai clienti è di continuare a comprare il normale quantitativo. Non c’è alcuna necessità di fare scorta. Semmai questa crisi ci riporta alla centralità dell’agricoltura, noi itaiani siamo grandi trasformatori, ma dobbiamo dare di nuovo valore alla nostra agricoltura, che è anche un modo per tutelare il paesaggio”.
E la minacciata carenza di insetticidi?
“Francamente ci riguarda lateralmente, molti sono in produzione biologica da tempo, non è un tema che può cambiare le carte in tavola da noi in Italia”.
Passiamo al grano tenero..
“Ecco, qui il probema esiste, prchè la produzione italiana non è autosufficiente, senza grano estero arriveremmo al massimo a luglio. Al momento le scorte ci sono, ricordiamo che la farina è il prodotto dello scorso raccolto, non del prossimo. Il venir meno del grano ucraino potrebbe creare problemi, ma credo che siamo in tempo a ragionare su altri territori di produzione, primi fra tutti gli Usa e ancora il Canada. Il rischio purtroppo sono le manovre speculative. Per esempio l’aumento del gas non è assolutamente giustificato da nulla se non dalla paura che possa aumentare in futuro, e in economia sui mercati e le borse ci si muove sulla percezione, sui rischi e sulle paure delle persone. Ricordiamo tutti gli assalti ai supermercati la sera in cui il governo annunciò il lockdown, anche in quel caso panico ingiustificato”.
Dunque il segreto è stare calmi.
“Assolutamente, anche perchè adesso siamo nella fase acuta della crisi, ma oggettivamente, non voglio sembrare cinico, peggio di così non può andare altrimenti avremo scenari apocalittici a cui nessuno può realisticamente pensare. I consumatori devono avere i nervi saldi perchè con il loro comportamento determinano il mercato. Noi produttori dobbiamo essere onesti e non fare ricarichi sui costi che arriveranno ma solo su quelli che abbiamo affronato. Ho fiducia nell’industria molitoria italiana, una vera eccellenza mondiale, sapranno sicuramente affrontare al meglio la situazione anche se in Ucraina la produzione si dovesse bloccare”.
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