di Carmen Autuori
Che l‘arancino o arancina, tra gli street food più diffusi al mondo, sia di origine siciliana è un fatto più che assodato. Ma come spesso avviene per i piatti iconici della nostra cultura gastronomica ci sono delle varianti o semplificazioni che diventano altrettanto diffuse: è il caso delle palle di riso che invece, e su questo non ci piove, sono indubbiamente partenopee. Del resto il riso parte da Sud ed è presente in molti pitti tipici del sud, dalla tiella di cozze e patate barese al sontuoso sartù.
E’ necessario, perciò, fare un passo indietro e partire dalle origini, cioè dagli arancini. La tradizione ci rimanda al periodo di dominazione araba, tra il IX e l’ XI secolo. All’ epoca i saraceni, padroni dell’isola, durante i banchetti, erano soliti collocare al centro del tavolo un ampio vassoio di riso aromatizzato con zafferano e insaporito con verdure. I commensali appallottolavano il riso nel pugno e lo gustavano dopo averlo condito con carne di agnello.
La panatura, è un’ invenzione successiva ma geniale. Il croccante involucro dorato trasforma il godurioso pasticcio in cibo da viaggio, ed ecco che l’arancino diventa un vero e proprio street food ante litteram.
Secondo alcuni l’ intuizione è da attribuire al sovrano svevo Federico II, che ne era particolarmente ghiotto e desideroso di non privarsene durante le lunghe battute di caccia. Per quanto riguarda l’origine del nome invece ci viene in aiuto nel XIII secolo Giambonino da Cremona, tra i più grandi traduttori dall’arabo che, nel suo “Liber de ferculis et condimentis” tutto dedicato alla gastronomia araba, spiega che le polpette preparate in quella cultura prendevano il nome dai frutti a cui somigliavano per forma e per dimensione. Ecco quindi l’assimilazione all’arancia, del resto già all’ epoca la Conca d’Oro palermitana risplendeva di rigogliosi agrumeti. Bisogna aspettare molti secoli prima che il pomodoro faccia la sua comparsa a rendere ancora più gustoso l’arancino, precisamente l’inizio dell’Ottocento. La pietanza si arricchisce così di nuovi ingredienti, quali il pomodoro, appunto, il ragù e la provola, diventando un piatto completo anche dal punto di vista nutrizionale.
Ma torniamo a noi. Con ogni probabilità gli arancini sono arrivati a Napoli nel periodo borbonico quando nel Regno delle Due Sicilie s’intensificarono gli scambi, anche gastronomici. Fino a quel momento il riso non aveva avuto molto successo, (ricordiamo che ancora oggi nella parlata popolare il suo nome è sciacquapanza) ma, grazie al celeberrimo sartù messo a punto dai cuochi di corte, divenne degno anche della tavola dei ricchi. E così accadde per il famoso cibo da strada siciliano che però a Napoli assunse nome e caratteristiche diverse: erano nate ‘Le palle di riso’.
Questi timballetti, rigorosamente fritti, sono diversi sia nella forma che nella sostanza rispetto ai cugini siciliani: sono di dimensioni più piccole, hanno un ripieno più semplice, spesso solo provola e piselli che vengono amalgamati al riso, e non hanno la classica panatura di acqua e farina. In sostanza, le palle di riso prima di essere immerse in olio profondo, vengono passate semplicemente in uovo battuto e pangrattato.
Non c’è rosticceria che non abbia esposte in vetrina queste gustosissime sfere. Non può assolutamente mancare nel “cuoppo” quel contenitore a forma di cono in genere di carta da pane o di cartoncino, dove si accompagnerà ai crocchè di patate che a Napoli si chiamano panzarotti, alle frittatine di pasta, ai calzoni farciti con mozzarella e pomodoro oppure con la scarola, alle paste cresciute o agli scagliozzi, triangoli di polenta fritti.
Esiste sia una versione bianca il cui la cui farcitura è formata da provola e qualche tocchetto di salame napoli o prosciutto cotto, c’è chi aggiunge anche i piselli; poi ci sono quelli rossi dove il riso, il più indicato è l’arborio, viene arricchito con sugo di pomodoro, mentre il condimento prevede carne macinata, piselli e l’indispensabile provola o mozzarella. I più ligi alla tradizione usano mantecare il riso, prima di formare le palle, con la sugna che regalerà alla preparazione un gusto meno dolce rispetto alla mantecatura con il burro, qualora sia prevista.
Le ricette delle palle di riso sono innumerevoli, esiste anche una versione con la genovese a fare da farcitura oppure con broccoli e salsiccia tanto per fare qualche esempio. Noi ci atteniamo alla versione classica, è molto semplice e ben si presta ad essere realizzata a casa.
Come si fanno gli arancini napoletani
Ingredienti per 20 palle di riso
500 g di riso arborio
3 uova intere
150 g di provola o caciocavallo fresco
150 g di salame napoletano tagliato a dadini piccoli
100 g di parmigiano grattugiato
150 g di piselli piccoli
Pangrattato
Olio per friggere
Sale
Pepe
Procedimento
Lessare il riso in circa 500 ml di acqua precedentemente salata.
Il riso sarà pronto quando avrà assorbito tutta l’acqua, ci vorranno circa 15 minuti. Una volta cotto farlo raffreddare bene in una teglia.
Nel frattempo tagliare a pezzi piccoli il formaggio, lessare i piselli al dente in acqua salata. Versare il riso su un tagliere di legno formare una sorta di vulcano e nel buco al centro versare tutti gli ingredienti, amalgamare bene il tutto.
Formare delle sfere di circa 50 grammi cadauna, passarle nelle uova battute con un pizzico di sale e poi nel pangrattato.
Tuffarle in olio profondo bollente fino a doratura.
Sgocciolarle dall’olio in eccesso e gustarle calde.
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