Ieri sera Report è tornata sul caffè con un ampio servizio di Bernardo Iovene che alla fine potrebbe riassumersi così: meglio un caffè rancido che un ginseng!
Cinque anni dopo la prima puntata torna sul luogo del delitto insieme ad Andrej Godina, assaggiatore professionista ma in maniera molto più costruita: affianca i due Mauro Illiano che da anni ha una rubrica sul caffè per il blog dell’Ais Napoli, vengono invitati torrefattori, i proprietari del bar Gambrinus che accettano la sfida e il sottoscritto.
Nella trasmissione ho parlato di terza rivoluzione necessaria dopo vino e pizza. In realtà, a mente fredda (scrivo e rispondo sempre dopo aver dormito di buon mattino) saremmo alla quarta.
La prima è stata quella gastronomica che ha avuto come capostipite il Don Alfonso che ha rinverdito la tradizione gastronomica partenopea creando uno stile capace di esssere leggibile anche fuori dal territorio e soprattutto di essere competitivo per gusto e per salute con qualsiasi altro stile alimentare.
La seconda è stata quella del vino che, a partire dall’inizio degli anni ’90, ha ripulito i vini dai difetti imponendo anche in questo caso uno stile tipicamente campano che coniuga vitigni autoctoni alle condizioni pedoclimatiche decisamente favorevoli.
La terza è stata quella della pizza, di cui abbiamo parlato anche nel nostro libro, che è intervenuta sostanzialmente nel miglioramento delle lievitazioni e della qualità degli ingredienti.
Ora forse è necessaria quella del caffè dove purtroppo non basta dire che se piace alla gente non è difettato. Salvini piace alla gente come prima Renzi e Berlusconi, ma nessuno dei tre è stato un De Gasperi o un Togliatti. Le grandi torrefazioni napoletane devono fare un colpo di reni così come fece nelle farine il Mulino Caputo negli anni ’80 rendendo possibile il miglioramento generale. Perché una cosa deve essere chiara: è vero che la grande industria spesso si adagia sui profitti tralasciando la ricerca, ma è anche vero che senza il suo apporto non è possibile cambiare passo. Vale ad esempio per l’industria molitoria ma anche per quella della pasta, due eccellenze italiane nel mondo.
Come scrive il professore Luigi Moio, il difetto non è tipicità. Anzi, il difetto elimina le tipicità. Se un vino è eccessivamente tannico e ossidato sarà impossibile distinguere il vitigno e la zona di origine.
Noi per esempio amiamo l’Aglianico, ma un Aglianico i cui tannini non sono stati trattati bene non potrà mai uscire dalla ristretta cerchia dei palati del neolitico rurale, che proprio per questi difetti lo potevano bere o allungandolo con l’acqua o accompagnandolo con il cibo. Dunque posso amare i tannini dell’Aglianico ben vinificato più di quanto non possa amare quelli dell’Amarone o del Primitivo, ma non posso amare un Aglianico tannico, cioé astringente come se mangiassi la foglia esterna di un carciofo, e dire che è tipico. No, in questo caso è difettato e questo risultato ha sempre poi il conforto dei dati scentifici.
Credo che questo discorso vada avviato anche per il caffè. Io ne sono un gran bevitore e, inutile dirlo, amo lo stile napoletano in cui si sentono il corpo, la tostatura. Addirittura arrivo a dire che preferisco la “robusta” in purezza. Ma questo non significa che mi possa piacere un caffé rancido perché prodotto da chicchi ossidati che mi brucia lo stomaco. Ecco perché a Napoli c’è l’abitudine di prendere sempre un bicchiere d’acqua prima di bere il caffè.
La trasmissione ha dimostrato che servono buone pratiche di estrazione e di gestione poi della macchinetta del bar. Dunque la grandissima tradizione che ha la città, il culto addirittura per la tazzina, ha bisogno di un aggiornamento e non sono pochi.
Siamo tornati anche sulla trasmissione di Report sulla pizza. Una mia frase ha fatto esultare live il nostro correttore di bozze preferito, Vincenzo Pagano.
Certo, con il senno di poi, molti errori sottolineati in quella famosa trasmissione hanno avuto un effetto positivo, perché negarlo? Ad esempio oggi quasi tutte le pale usate hanno i fori, c’è più attenzione alla lievitazione, i forni vengono puliti e il pubblico è più attento alla bruciature. Invece altri messaggi, come quello dell’uso della farina integrale nelle pizze classiche all’epoca coincidevano con la campagna antinapoletana di un mulino veneto e furono per questo criticati da noi. In questo caso la critica resta, perché riteniamo la 00 una eccellenza italiana e comunque, a detta dei migliori pizzaioli, quella da preferire in assoluto quando si fanno marinare, magherite, cosacche, ripieni al forno e fritti.
Ci passi poi il correttore di bozze, che non finiremo mai di ringraziare per la pubblicità quotidiana che fa a 50TopPizza, che anche la scelta dell’assaggiatore era forzata: lui è una persona intelligente e simpatica per come abbiamo avuto modo di conoscerlo, ma non ha certo nella pizza i titoli e la preparazione che invece ha Godina nel caffè ed era proprio questo uno dei punti deboli di quella famosa puntata.
Complessivamente però la puntata sulla pizza, come quella sul caffé, servono a scuotere da un certo torpore autoreferente tipico di chi ha tanta storia e tradizione, una scossa necessaria in un mondo che cammina veloce e sempre più piccolo.
Per cui il lavoro di Report, in questo caso come nel precedente, va visto come una opportunità da chi lavora seriamente e con passione. E i segnali non mancano, anche dentro Napoli. Penso per esempio al gran lavoro che sta facendo la Caffettiera a Piazza dei Martiri che ha rilanciato addirittura la vecchia cuccuma e fa caffè ad infusione buonissimi.
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