Bernardo Iovene, autore del servizio sulla pizza napoletana, si difende con un post sul Corriere.it.
Invece di entrare nel merito delle critiche, fa una generica esaltazione della pizza napoletana purché si faccia con le materie prime che lui dice di aver appreso nei cinque mesi di inchiesta. Dice di essere d’accordo con Pace, il presidente della Verace Pizza a cui non ha dato il modo di esprimersi, invita a usare prodotti del territorio e la farina non raffinata. Poi dice che a Napoli si grida sempre al complotto, una bella frase decisamente corretta che la dice lunga sul suo modo di leggere la nostra città.
Colgo l’occasione anche per replicare a chi non è stato d’accordo con il nostro modo di leggere il servizio (nomen omen).
1-Lo stile giornalistico. Perché Iovene ha tagliato le frasi di Massimo Di Porzio e Guglielmo Vuolo non dando loro la possibilità di esprimersi? Un vero giornalista ha il dovere di rendere un servizio completo e non di decidere cosa va e cosa non va in onda.
2-La farina 00. Premesso che io credo di essere stato tra i primi in Italia a comprare la pasta integrale Misura perché sono fissato per necessità ma anche per gusto con le fibre, mi chiedo: come mai questa insistenza? Praticamente tutto quello che mangiamo, dolci, pasta, pane, pandoro, panettoni industriali e artigianali, merendine kinder per bimbi, è fatto con la farina raffinata. Dunque anche la pizza. Qualsiasi nutrizionista potrà spiegare che ogni giorno dobbiamo ingerire regolarmente dai 20 ai 30 grammi di fibre ma nessuno dirà che vanno assunte dallo stesso alimento. A Napoli e nel Sud le fibre sono sempre state assunte con le verdure, gli ortaggi e la frutta. Di questo passo ogni cosa dovrebbe essere fatta con la farina integrale. A quando una inchiesta sul babà e sulla pastiera?
Una pizza alla settimana, frutto di tre secoli di manualità e di sapere, rientra perfettamente in una dieta bilanciata e fornisce, grazie al pomodoro e all’olio, potenti antiossidanti.
3-L’olio d’oliva. Premesso, anche in questo caso, che sono cilentano e che sin da piccoli il grasso base è sempre stato l’olio d’oliva, anche in questo caso non si può giocare alla criminalizzazione dei grassi. Lo strutto, primo grande grasso della città di Napoli, poi l’olio di semi degli americani nel Dopoguerra, il burro, ma anche la panna, se lavorati bene sono prodotti straordinari se ben gestiti. L’osservazione sull’oliera poi è davvero, mi consenti Iovene, incompetente. Un’oliera viene riempita almeno una decina di volte al giorno in ogni pizzeria napoletana, mi spieghi quando l’olio ha il tempo di farsi rancido?
4-Il forno a legna e le bruciature. Enzo Coccia, nel video girato per il Mattino spiega bene la gestione del forno a legna senza rischi. L’attacco a questo modo antichissimo di cuocere, tra i primi dell’umanità, è un bel servizio reso a chi non lo sa usare, cioè a molti pizzaioli che non sono di scuola napoletana e che fanno focacce, buonissime per carità, che loro chiamano pizze.
Brucia la carne, la pasta, il pane, le verdure chi non sa fare il proprio mestiere e i dati che hai diffuso sono stati smentiti dal professore Antonio Limone pubblicamente in una conferenza stampa a cui non ti sei presentato perché senza la telecamera e il montaggio non potresti sostenere in un dibattito vero quello che hai fatto passare in tv. In una pizza bruciata c’è meno benzina di un piatto di cozze coltivate nei nostri mari.
5-Le regole. Sono 30 anni che esiste l’Associazione Verace Pizza. D’accordo, non sanno comunicare, non investono in comunicazione come accade a tante associazioni e consorzi del Sud. Un grave limite soprattutto negli ultimi dieci anni dove il messaggio deve essere rapido ed efficace. Ma questo non significa che non hanno contenuti: il disciplinare c’è già ed è preciso.
6-I prodotti del territorio. Gli italiani sono da sempre i migliori broker di grano al mondo, per la pasta e per le farine. Questi prodotti, dalla Barilla alla piccolissima Gentile, sono il risultato di un grande sapere e non possiamo fare populismo gastronomico: se usassimo solo grani italiani dovremmo rassegnarci a non avere pane, pasta e pizza per gran parte dell’anno. La qualità della materia prima è sottoposta a continui controlli e non c’è nessun grande mulino in Italia che lavora solo grano italiano.
7-L’assaggiatore. Mi chiedo: con qualche criterio è stato scelto l’assaggiatore Pagano se non per fare un po’ di show? Almeno quello del caffè (poi smentito dalla sua stessa associazione) aveva una lunga preparazione, ma in questo caso parliamo di una persona che sino a qualche anno fa si è occupata di design e architettura dirigendo riviste e che è passato al food come tanti. Non scrive per un editore indipendente, ma è lui stesso editore che raccoglie la pubblicità direttamente, prepara campagne di comunicazione. Dunque non è una questione personale, ma una caduta di stile di una trasmissione che si presenta seria portare uno ad assaggiare senza che abbia alcun titolo per farlo: non è tecnologo alimentare, non insegna in corsi di pizza, non ne ha neanche fatto uno da studente. Di che parliamo? Questo sarebbe giornalismo o solo show?
8- Interviste tagliate, esperti inascoltati. Complimenti Bernardo, sei riuscito a ridicolizzare Guglielmo Vuolo, uno che insegna come si fa la pizza da tre generazioni estrapolando quattro secondi da 50 minuti. Hai fatto dire una puttanata a Massimo Di Porzio che ti dice che la pizza bruciata in un forno appena acceso è naturale e ne hai stravolto il senso. Questo mi fa capire che non avevi alcun interesse alla buona pizza ma solo all’audience e da questo punto di vista hai fatto un ottimo lavoro. Perché non sei andato all’istituto Zooprofilattico di Portici e ti sei rivolto altrove?
Te ne sono grati i ragazzi che ogni giorno vanno a lavoro nelle pizzerie, le famiglie che da oltre un secolo fanno questo lavoro.
9. SputtaNapoli. Pur di fare numero, hai partecipato pure tu al gioco mediatico del momento: SputtaNapoli. Come professionista ti faccio miei complimenti, sei quasi bravo come Max Laudadio delle Iene quando attaccò la cucina molecolare in Fornelli Polemici.
Sei uno dei tanti che apre le porte al nuovo Medioevo: quello dove saper parlare è tutto, chi approfondisce è un coglione.
10. Le giuste critiche. Si dice: ma allora va tutto bene nel mondo della pizza? Assolutamente no, qui come in tutti gli altri settori non va tutto bene. Ma una cosa è certa, il servizio colpisce solo chi lavora bene e chi sta alzando la qualità. In nessuna parte d’Italia sono nate tante pizzerie di qualità come a Napoli in questi ultimi cinque anni. Le hai ignorate. Non sei andato neanche da Franco Pepe che ha lanciato la pizza a chilometro zero che ti piace tanto. Perché? Non era simpatico a Pagano?
Da collega ti auguro solo una cosa: di non dover mai subire quello che hai fatto a gente perbene come Antonio Pace, Massimo Di Porzio, Guglielmo Vuolo e a tutti gli altri che ti sei divertito a sputtanare.
La Napoli che lavora ti ringrazia.
Ps: Ah, dimenticavo: mi avevi chiamato a giugno (hai lavorato tre mesi e non cinque come scrivi) perché avevi avuto, mi dicesti, il mio numero dal Molino Quaglia. Poi non ti sei fatto più sentire. Sono stato al lavoro tutta l’estate, sei venuto persino a mangiar e una pizza a Lievito Madre con la famiglia dietro il mio giornale. Mi puoi chiamare ancora quando vuoi, magari ci mangiamo una pizza integrale insieme: ti faccio vedere chi la fa.
Dai un'occhiata anche a:
- Con Mollica o senza chiude per l’estate lo shop on line
- Una serata NI in una trattoria di mare
- Come è cambiato il mestiere di chi vende il vino? Sentiamo Valerio Amendola che lo fa da 30 anni ed è figlio d’arte
- Food e comunicazione. Facciamo un po’ il punto in Italia
- Luigi Iapigio, il cuoco di successo che ha capito tutto sulla Michelin prima dei ragazzi di Lucca
- Gastronomia che aborro: 1-il Bun sulle tavole di cucina italiana
- Cilento, una stagione estiva da dimenticare
- Michelin Italia: nell’era Bartolini-Cannavacciulo non c’è posto per Ducasse