In un bellissimo gruppo di Fb (Racconti di vini e cucine) Antonio Scuteri ha postato questa perla. Così preziosa che non posso che restituirla anche ai lettori di questo blog:-) Lascio a voi le considerazioni, se ce ne sono, e vi invito a leggere la nostra recensione di Taverna Mari a Grottaferrata Una cosa è certa, se cucinano come scrive questo tipo, meglio non andare
Scrive il recensore Cesare, un veterano di Trip con oltre cento schede:
Tempo incerto su Taverna Mari, rinomata ma incognita a noi, novizi domenicali. Il cortese Patron, nell’allestimento dei tavoli, trascurava il menu di proposito e per una duplice liberalità: favorire l’estro della cucina e corrispondere all’affidarsi dell’ospite. Io tuttavia per un intento grossolano ma divulgativo, forzerò il tacit agreement con accenni di pranzo vissuto.
Primi piatti, in media, da 16 euro. Per noi, mezzemaniche alla matriciana, tonnarelli in cacio e pepe, fettuccine al ragù di rigaglie, maltagliati con zucchine e guanciale.
I nostri secondi saranno involtini di suino alla brace, con lauro e mollica, da 12 euro. Porcino, 14. Melanzane appomodorate, 6. I contorni: cicoria ripassata o insalata di campo, 5.
Rosso, 8 euro. Nepi, 2. Espresso, 2,5. Pane e servizio avranno la loro brava parte, ma nessun titolo di coda.
Un impegno per capitem da 34 euro, giustificabili solo in parte.
I tonnarelli, con un accenno di cremina aggrappante, per noi prevarranno su molti dei migliori iscritti a concorso nella provincia romana. E si spingeranno fino a competere con la cac’e pepe certificabile di via Farini, che seguiterò tuttavia convintamente ad anteporgli.
La matriciana approderà mai al tavolo. Le mezze maniche sì, ma con una julienne di guanciale niente soffritta e impedita del dovuto sapore. E senza un basilico, che, col deconcentrato di pomodoro, combinasse una fresca alternativa ortolana. C’interrogammo se in cucina non si fosse approntato un sugo versatile, da impiegarsi tal quale per tutte le sfumature di rosso. E condannammo il crumiro, per abbattimento e convergenza di sapidità parallele.
Gli involtini, alla presentazione, si prospettavano invitanti. All’assaggio, la dolcezza della carne verrà dispersa dalla prepotenza dell’alloro e l’apatia della mollica.
Il rosso, da gotto seduto, si sfinirà tra calici svettanti, debole di corpo e vuoto d’anima. Ma almeno senza interferire. Del resto azzardare l’oscurità della cantina senza una carta, prometteva infortuni da doversi evitare.
La qualità c’era, ma purtroppo languiva: un’occasione sostanzialmente mancata, a fronte di una bella accoglienza.
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