di Virginia Di Falco
Siamo stati a pranzo da Santo Palato. Una nuova trattoria che ha aperto qualche mese fa in piazza Tarquinia a Roma. L’espressione «nuova trattoria» contiene in nuce la ragione stessa di questa impresa che vede in cucina una giovane cuoca, Sarah Cicolini, con studi di Medicina alle spalle fino alla svolta che l’ha portata a seguire la sua passione. Prima uno stage importante al Metamorfosi da Roy Caceres, poi l’esperienza da Sbanco, la pizzeria con cucina di Stefano Callegari e Marco Pucciotti. Proprio Marco Pucciotti, giovane imprenditore della ristorazione romana, ha voluto che questa fosse una trattoria vera. Da non intendersi (solo) come cucina di recupero della tradizione romanesca, ma soprattutto come luogo dove il vecchio tavolo di legno di una volta fosse il centro della convivialità e del buon mangiare. Il tutto con ottime materie prime e l’idea che il mercato e le botteghe debbano essere le fonti principali dove reperirle.
Ma Santo Palato è una trattoria di nuova impostazione anche nella campagna di comunicazione che ne ha accompagnato la nascita, dalle anticipazioni in fase di ristrutturazione del locale alle prime serate inaugurali. Diciamo subito che una comunicazione efficace ed accattivante è ormai uno dei motori di un’azienda, quale che sia il settore produttivo. Una pagina facebook completa di tutte le informazioni, con belle fotografie e sempre aggiornata oggi è molto più importante di un sito web ben costruito di ieri, o ieri l’altro.
E dobbiamo dire che seguendo indirettamente la storia di questo locale – così come quelle di tante nuove aperture – e dai numerosi e autorevoli riscontri positivi, avevamo riposto in Santo Palato più di qualche aspettativa.
Vediamo allora come è andata la nostra esperienza.
Partiamo da cosa ci è piaciuto.
L’ambiente e l’arredo. Pulito, arioso, moderno. Con tanti richiami alla trattoria di una volta, dalle tipiche sedie in legno ai bicchieri, alle bottiglie per il vino sfuso. Molto belli i lavori grafici con il logo del locale ispirati ai disegni futuristi.
Il menu. Tutto quello che ci si aspetta da una trattoria romana, dai primi piatti classici alla celebrazione del quinto quarto con diverse interpretazioni aggiornate e gentili e un’interessante lavagna con i fuori carta.
La carbonara. Ottima, per consistenza e sapore. La carbonara come deve essere.
La cacio e pepe. Cremosa il giusto, senza eccessi, la pasta si sente sotto i denti e anche al gusto.
La terrina di coda e lingua. Il piatto più riuscito, due pezzi del quinto quarto in abito elegante, con salsa verde e giardiniera preparata al momento. E un ottimo olio extravergine di oliva.
Il pane. Fragrante e profumato.
La lista dei vini sfusi. Una carta dei vini centrata ed interessante, con qualche chicca e una mini lista aggiuntiva per gli sfusi, con etichette anche molto conosciute: un esempio piccolo ma calzante di cosa vuol dire concretamente trattoria moderna.
Cosa non ci è piaciuto.
Coordinamento tempi sala e cucina. Un giorno sfortunato? Può darsi. Siamo entrati alle 12.55 e siamo usciti alle 15.00, per un tavolo da tre, con due portate e il dessert in una sala con 25 persone in tutto. I piatti arrivano in ritardo a tutti i tavoli e in tempi sfalsati. Anche il benvenuto, un piccolo trancio squisito di pizza e mortazza, con bicchierino di vino e gassosa, dovrebbe invece essere servito subito, proprio per ingannare l’attesa. Non si capisce se in cucina sono pochi o disorganizzati, fatto sta che il ragazzo che serve raccoglie diverse lamentele per le attese lunghe da quasi tutti i tavoli.
Il servizio. In sala c’era una sola persona (cosa che non accade di sera, va detto). E che dunque deve coordinarsi da solo con i tempi della cucina. Ma questo non vuol dire però essere disattenti e, ad esempio, lasciare per troppo tempo i piatti vuoti sul tavolo, pronti per essere ritirati, anche se si passa ripetutamente.
Il cuore. Il piatto si presenta molto bene, ma il cuore è piuttosto secco e il pur gustoso fondo di funghi con l’ovetto di quaglia non riescono a mitigare l’assenza di umidità della carne.
La parmigiana. Un disastro. Asciutta e ustionante, distrutta dal passaggio al microonde. Domanda: perché proporla e non soprassedere, con tutti i piatti di verdure che ci sono in carta?
Il maritozzo. Bella l’idea di arricchirlo con cioccolato bianco e fichi. Ma il risultato è molto deludente. Una brioche con la parte inferiore completamente inzuppata nella crema di cioccolato bianco che arriva a tavola scomposta nella parte liquida e solida.
In conclusione. Cosa ci piacerebbe.
Questa di Santo Palato è stata un’esperienza molto utile anche se non soddisfacente. Perché si capisce che c’è una giovane cuoca con ottime potenzialità; con una bella mano gentile che esprime al contempo un certo carattere e che fa già dei piatti molto buoni, tanto dal punto di vista dell’esecuzione tecnica che per l’anima e l’idea che ci sono dietro. Ma si conferma, ancora una volta, che un giovane ha bisogno dei suoi tempi di maturazione, tanto più quando è bravo. E dunque ci piacerebbe che questi tempi non venissero forzati né da una comunicazione a volte un po’ troppo rampante ed aggressiva né pompandoli, trasformando ogni piatto riuscito in un evento gastronomico mondiale.
Insomma, le premesse e le idee ci sono, a patto che si riesca ad essere concentrati sul servizio e su alcuni piatti almeno quanto su Facebook.
Ps:Sono passati cinque anni e le cose sono cambiate, ora Sarah è anche proprietaria della Struttura.
SantoPalato
Piazza Tarquinia, 4/A/B
Tel. 06 7720 7354
aperto solo la sera
sabato e domenica anche a pranzo
chiuso il lunedi
Conto sui 35 euro
www.facebook.com/Santopalato
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