Rilanciamo volentieri l’articolo che Franco Ziliani ha scritto per il sito dell’Ais. Si tratta di un bilancio compiuto delle valutazioni della giuria tecnica presieduta proprio da lui che riteniamo interessanti e puntuali per avere il quadro della produzione di due regioni del Sud.
Franco Ziliani
di Franco Ziliani
L’ho già detto, scherzosamente, in un post che ha celebrato gli aspetti più ludici di questa manifestazione (e soprattutto come ce la siamo cavata noi, invitati, dall’Italia e dall’estero, a degustare e giudicare qualcosa come 174 vini in soli due giorni…), tutto il bene che penso, anzi di più, della rassegna Radici, Festival dei vitigni autoctoni, che si è svolta domenica 14 e lunedì 15 giugno in Puglia, in quel di Monopoli, in quell’oasi di pace che è il Relais Il Melograno.
Organizzata dal dinamico trio formato da Nicola Campanile, l’ideatore e responsabile dell’Associazione Pro Papilla di Bari che è l’organizzatore della rassegna, il giornalista Pasquale Porcelli e Enzo Scivetti, “degustatore vini e distillati con diverse collaborazioni per guide e riviste, docente con esperienze formative per AIS, ONAV, ADID, ALMA, creatore della rivista Messaggi in Bottiglia e collaboratore di Winesurf”, Radici può essere considerata a ragione un grande check up indipendente dello stato di salute dei vini di Puglia (con una piccola appendice dedicata all’Aglianico del Vulture della Basilicata).
Meglio, una grande occasione, offerta ad esperti e appassionati di vino provenienti dalla Puglia, dal resto d’Italia e anche dall’estero (vedi qui l’elenco dei componenti le due diverse commissioni di degustazione) di capire, attraverso l’assaggio di un vasto numero di campioni come vada il vino pugliese, quali siano gli orientamenti, le tendenze, le diverse realtà che si pongono in evidenza.
Certo, assaggiare oltre 170 vini, seppure ospitati in un posto incantevole e capace di metterti perfettamente a proprio agio, in soli due giorni è un tour de force, e molto meglio sarebbe stato disporre di un giorno in più non solo per spassarcela nel dopo degustazione, ma per spalmare il numero di vini da assaggiare e averne quindi meno per ogni turno, ma partecipare a Radici, manifestazione che non porta l’egida, come partner tecnico, di nessuna associazione della sommellerie in particolare, anche se coinvolge personaggi sia dell’entourage Onav che di quello A.I.S., costituisce un’esperienza utilissima.
Rimandandovi, qui, all’elenco dei vincitori nelle diverse categorie, voglio ricordare che per ogni categoria e tipologia di vini, dai bianchi ai rosati ai base Negroamaro, Primitivo, Uva di Troia, Aglianico troverete due valutazioni e premi diversi, quelli della giuria “tecnica” formata da giornalisti italiani ed esteri e quelli della giuria degli appassionati, formata da ristoratori, enotecari, sommelier A.I.S. come Betty Mezzina, collaboratori di guide, tutti di ambito pugliese, valutazioni che, come è facile verificare, spesso non coincidono e che trovano armonia e sintesi solo ai premi andati ai vini che hanno ottenuto il maggiore generale consenso nei punteggi espressi in centesimi.
In questo articolo, piuttosto, voglio delineare, in forma più compiuta di come abbia fatto a Monopoli, quando come presidente della giuria tecnica durante la cerimonia di premiazione mi è toccato tirare le fila di due giorni di assaggi, quali orientamenti siano emersi dalla manifestazione e dalla nostra “visita di controllo” fatta ad un campione considerevole di vini. In primo luogo è apparsa chiara a tutti la vitalità di una viticoltura e di un’enologia se non in crescita in ottima forma, testimoniata da sempre nuovi protagonisti saliti alla ribalta (e spesso da noi premiati per i loro vini) che si affiancano alle aziende storiche o di più consolidata storia in una realtà dinamica in continuo divenire.
Vini bianchi
Cominciamo dai vini bianchi, che non sono notoriamente la punta di diamante e l’elemento forte dell’offerta dei vini di Puglia. Abbiamo degustato dieci vini base bombino bianco del Nord Puglia, in larga parte dell’area della Daunia, dieci vini a base di Fiano e dieci dove veniva dichiarato l’uso della particolarissima variante locale di questa nobile uva, decisamente più aromatica e dai profumi che arrivano a ricordare il Vermentino ed il Traminer aromatico, che è il Fiano Minutolo. Si conferma la sostanziale neutralità, quanto a profumi, del Bombino bianco, ed il carattere interessante, in alcuni casi, parola di un esperto come Luciano Pignataro, in grado di consentire loro di misurarsi con gli omologhi irpini, di alcuni Fiano, ma il meglio è venuto, come definizione, ricchezza aromatica, personalità, dai Fiano Minutolo. Provare l’esemplare Rampone della cantina I Pastini del bravo enologo Lino Carparelli, per avere un’idea di come anche in Puglia, in areali ristretti, si possano ottenere bianchi da uve autoctone in grado di non sfigurare al confronto con le migliori produzioni campane, siciliane o calabresi.
Vini rosati
Dire che la Puglia sia, con l’Abruzzo, una delle indiscusse capitali, da sempre, prima che altre zone vinicole improvvisamente li scoprissero, dei vini rosati italiani, equivale a pronunciare un’evidenza chiara a chiunque. Alla luce di questo non posso rilevare come l’assaggio di 35 rosati, provenienti dal Nord Puglia, Daunia, Murgia e area di Castel Del Monte, e quindi a base Bombino nero, Montepulciano, Nero di Troia, oppure dal Salento, quindi in larga parte “segnati” dal Negroamaro, a volte con piccole quote di Malvasia nera, non abbia del tutto convinto ed entusiasmato.
Il 2008 si rivela sicuramente più annata da rosati del 2007, ma l’eterogeneità di stili e di approcci al rosato, sottolineata da colori varianti dal tipo chiaretto gardesano al rubino intenso quasi da.. Santa Maddalena, la tendenza diffusa ad indulgere in residui zuccherini e giulebbose dolcezze, a realizzare vini scopertamente appealing quando non… “piacioni”, fa temere che in Puglia siano in molti a cedere alle insidie delle mode, sposando la strada, discutibilissima, del rosato bon bon.
I vini più buoni e non erano pochi, erano invece ricchi di frutta, ma ben articolati, dinamici, freschi, con quella giusta dose di tannino, quel carattere, quella sapidità e quel nerbo che li rende ancora più piacevoli e li fa apprezzare, anche a bordo piscina, in abbinamento ai piatti di questa calda estate.
Uva di Troia
Per esprimere il mio personale giudizio sulla performance fornita dalla ventina abbondante di vini che vedono protagonista quest’uva coltivata e oggetto di potente riscoperta nel nord Puglia, soprattutto l’areale di Castel Del Monte oltre che della Daunia nel foggiano, ho scelto di ricorrere ad una metafora canora che ripropongo anche qui. In merito alla scelta di vinificare in purezza l’Uva di Troia, quando in passato era abbinata a giudiziose dosi di Montepulciano e altre uve e nessuno si sognava di usarlo da solo, direi che l’Uva di Troia sia meglio non farla cantare da sola, perché ha bisogno di un partner e da sola mostra i limiti, e soprattutto quando ambisce ad eseguire un repertorio impegnativo e punta a grandi risultati fa capire che deve ancora studiare molto per ottenere gli applausi convinti di tutti. Applausi che non si sa se e quando arriveranno…
Fuor di metafora, proprio come lo scorso anno i vini ottenuti dall’uva di Troia da sola sono apparsi incompiuti, troppo massicci, estrattivi, un po’ “seriali” e ripetitivi, carenti di finezza e di definizione, dei vorrei ma non posso, talvolta oppressi da un intollerabile eccesso di legno. Continuo ad avere molti dubbi che la strada della vinificazione in purezza di questa uva cui sembra sempre mancare qualcosa sia quella giusta…
Negroamaro
Da fan storico di questa che rimane l’uva principe del Salento, sia che si “esibisca” da sola, sia che accolga piccole quote (10-15%) di Malvasia Nera, Primitivo o Montepulciano, devo confessare una leggera “delusione” per la quarantina scarsa di vini base Negroamaro degustati. Risultati altalenanti, con alcuni buoni vini, molto sul frutto e abbastanza semplici al momento attuale delle annate 2008 e qualcuno in meno dell’annata 2006 (ad esempio il Teresa Manara di Cantele) ma il meglio l’ho trovato nei vini (ad esempio i Salice Salentino Il Secondo dell’Antica Masseria del Sigillo e quello delle Cantine Menhir, ed il Salento Igt Mavrò delle Cantine Palamà) dell’annata 2007, che presentavano un bel bilanciamento, uno spiccato carattere varietale.
Circa le annate più a ritroso nel tempo (in degustazione avevamo anche dei 2005, 2005, 2003 e addirittura un 2001) devo dichiararmi perplesso, perché se lo scorso anno eravamo rimasti ammirati dalla splendida prova del Duca d’Aragona (Negroamaro con quote di Montepulciano) 2001 di Candido, quest’anno il 2003 non mi ha convinto (anche circa l’opportunità di produrre un vino così classico in un’annata problematica come il 2003). Per me, salvo rarissime eccezioni ed in annate speciali, il Negroamaro non è un vino da grande invecchiamento.
Aglianico del Vulture
Unica escursione fuori regione con una quindicina di Aglianico del Vulture di annate varianti dal 2006 al 2004. Buone e alcune addirittura ottime cose, soprattutto nei vini caratterizzati da un tannino vibrante e ben sostenuto di stile quasi… “nebbiolesco”, vini eleganti, ricchi di energia, sapidi, nervosi, ma una parola d’ordine è scaturita, irrefrenabile, dal giudizio di tutti i degustatori: per favore, liberate l’Aglianico (del Vulture, ma il discorso varrebbe anche per il Taurasi) dalla barrique, consentitegli di respirare, di vivere, di uscire dalla camicia di forza soffocante del troppo legno e dalle tostature. Solo facendo così, come accade con i vini più calibrati, quelli che si fanno bere e spiccano per equilibrio e finezza, l’Aglianico potrà giustificare la sua immagine di “Nebbiolo del Sud”.
Primitivo
A dispetto del nome, che se considerato come aggettivo e non come sostantivo sembrerebbe indicare un vino semplice, elementare, basico, tutt’altro che raffinato, appunto… primitivo, i circa 35 vini base Primitivo, espressione di denominazioni diverse, le Doc Primitivo di Manduria, Primitivo di Gioia del Colle e Colline Ioniche Tarantine, le Igt Salento, Puglia, Colline Tarantine, hanno brillato per completezza d’espressione, varietà, capacità di esprimere le peculiarità di terroir diversi e non solo per tipicità varietale.
Sono stati proprio i Primitivo, con mia grandissima sorpresa, la grande affermazione, il grande “acuto” di Radici 2009, grazie a vini che non hanno mostrato solo la consueta potenza, ricchezza, l’esuberante, strabordante, incontenibile esplosione materica, una quantità incredibile di frutta, variante dalla prugna matura alla ciliegia, alla prugna secca o sotto spirito, alla confettura, ma un perfetto controllo di questa materia, un insospettabile equilibrio anche nel caso di vini che si spingevano perigliosamente verso gradazioni estreme di 15,5, 16,5, 17 o 18.
Vini che mi hanno fatto pensare al funambolico Valentino Rossi del fantascientifico sorpasso all’ultimo giro a danno dell’avversario Lorenzo (vedi) di domenica 14 a Barcellona, che prende un rischio pazzesco sapendo perfettamente quello che fa e tenendo sotto controllo la situazione senza cadere.
Una marcia in più, per finezza, articolazione del gusto, carattere, qualità del tannino e freschezza per i vini “collinari” di quella Doc Gioia del Colle, da cui stanno arrivando le più belle sorprese sul tema Primitivo. Passando invece alla Doc Primitivo di Manduria voglio dire, come ho detto a Monopoli, esprimendo un parere unanime di tutti i degustatori italiani e stranieri partecipanti al concorso, che alla luce dei risultati mostrati durante Radici 2009, con Primitivo di annate varianti dal 2008 al 2000, appare quantomeno inspiegabile, per non dire immotivata e assurda la recente decisione del Consorzio del Primitivo di Manduria di chiedere la modifica del disciplinare di produzione (leggete qui): “Si passerebbe dal 100% di Primitivo, previsto dall’attuale disciplinare al 85%, con l’aggiunta per il restante 15% di cosiddetti vitigni “migliorativi”.
Decisione non solo fuori tempo massimo, superata, ma che non rende onore al vino e ad uno dei più interessanti vitigni del Sud. Degustando i migliori Primitivo presenti a Radici non abbiamo avvertito alcuna necessità di correzioni, di aggiuntine di altro, perché i grandi vini che abbiamo degustato ci hanno dato le sensazioni di grandi vin de terroir, di vini identitari, che esprimono il legame stretto e antico tra un territorio, una varietà di uve, un corredo di profumi e di sapori.
Interessante, da sottolineare, la tenuta, anzi l’evoluzione molto positiva di vini delle annate più vecchie, dal 2005 sino al 2000, a dimostrazione che con il Primitivo coltivato bene nei posti giusti, con vecchie vigne e tanta sapienza non si è costretti a produrre vini “mordi e fuggi” da piccolo cabotaggio, ma vini di grande ambizione e caratura.
Resta da fare, in chiusura, un accenno agli assenti, alle aziende che per motivi vari non hanno ritenuto partecipare con i loro vini al Concorso e che non hanno voluto misurarsi, in una situazione che offriva le più ampie garanzie di serietà, di anonimato dell’assaggio, di competenza dei degustatori, con gli altri vini regolarmente presenti al via. Ognuno è ovviamente libero di fare come vuole, partecipare oppure stare a casa, ma raramente, come in questo caso, posso dire che gli assenti hanno avuto clamorosamente torto…
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