di Angelo Di Costanzo
Raccolgo l’invito di Gerardo: “dai che domani sarà una bella giornata, ti porto a vedere la vigna del Colonnello ai Camaldoli, e poi, giusto a titolo d’informazione – quando al telefono pronuncia questa frase pare “vederlo” sorridere – François ed Emanuela hanno già messo sul fuoco il ragù…”. Ecco, non si può dire di no ad una carezza del genere, io che tra l’altro, di camminare le vigne non mi stancherei mai!
Invero mi si era detto anche che a fare da sfondo c’era oltretutto l’opportunità di trascorrere una piacevole domenica all’aria aperta con alcuni amici vecchi e nuovi; sapevo infatti che Luciano Pignataro voleva da tempo per tornare in Cantina Astroni, tre anni dopo aver battezzato proprio lui l’esordio dello Strione, così l’opportunità di riunire intorno a un tavolo tutti i giornalisti dell’Arga Campania e l’Ais Napoli si è resa propizia per saggiarne una breve verticale discutendo sul reale potenziale del vitigno falanghina e della fine intuizione della famiglia Varchetta, lontana ormai più di un lustro, che ha portato alla consapevolezza di produrre nei Campi Flegrei un vino bianco macerato che esuli dagli acclarati canoni estetici e degustativi che vogliono il varietale di queste terre ancorato a parametri di esile bevibilità e stringata complessità.
Lo Strione nasce dalla piccola vigna coltivata sulle pendici del cratere del Parco degli Astroni dove sorge tra l’altro la bella e funzionale cantina, qui la falanghina viene allevata con un impianto guyot bilaterale e rende in vendemmia più o meno 60 quintali per ettaro. La macerazione con le bucce è generalmente – fatte salve le stringenti peculiarità dell’annata – prolungata per tutta o quasi la durata della fermentazione alcolica, l’affinamento e l’elevazione del vino avviene in diverse fasi in serbatoi d’acciaio e in legno nonché in bottiglia per un periodo minimo mai al di sotto dei tre anni. Uscirà infatti solo il prossimo giugno il millesimo 2008 che al momento dell’assaggio risulta imbottigliato da poco più di un mese.
La mia lunga frequentazione con Gerardo Vernazzaro ed Emanuela Russo negli ultimi due anni non mi lascia certamente granché spazio a manifestazioni di sbandierata imparzialità o asettica critica enologica, tant’é però che a detta di molti amici, e loro in particolar modo, continuo ad essere – e confesso di credere fermamente di rimanerlo ancora a lungo – la persona meno indicata a scrivere un “redazionale” su un vino del genere, vista la mia contradditoria naturale avversità ai vini bianchi macerati. Curioso oltretutto come al netto delle copiose bevute di Astro spumante condivise, non ricordi di aver mai bevuto lo Strione se non in fugaci assaggi dalle vasche in cantina e comunque mai in un percorso di confronto così interessante come questa mini-verticale. Pertanto con la stessa (o forse ancor più) curiosità dei convenuti, queste sono le mie impressioni che a ragion del vero credo collimino in buona parte con quelle manifestate da Tommaso Luongo, delegato Ais Napoli, e dallo stesso Luciano Pignataro, che ringrazio per avermi invitato a farlo, con i quali ho avuto il piacere di condurre la breve ma intensa sessione di degustazione.
Campania bianco Strione 2006 La matrice, ad occhi chiusi, condurrebbe senza mezze misure alla recensione di un buon vino rosso adeguatamente affinato, dai tratti caratteriali certamente risoluti ma in buono stato di grazia. Il primo naso è volto a sensazioni terziarie ed in continua evoluzione, le marcate sensazioni volatili iniziali non faticano a lasciare spazio a note molto particolari che virano dai fiori di camomilla disidratati a concentriche sbuffate idrocarburiche nonché nuances speziate di impronta orientale. E’ molto interessante notare come questo vino più venga lasciato ossigenare nel bicchiere più pare tornare indietro; mi spiego meglio: superata la complessa fase olfattiva iniziale incentrata come dicevo su caratterizzazioni molto marcate, comincia invece a giocare di fino su sottili e gradevolissime note balsamiche, mentuccia e salvia in particolar modo. Palato asciutto, debitamente morbido con solo una sottile reminescenza acida sul finale di bocca. Non ultimo il colore, oro pallido di buona limpidezza, segnato dal tempo ma non ancora del tutto superato. Tutta la massa ha fatto macerazione sulle bucce e per tutta la durata della fermentazione alcolica.
Campania bianco Strione 2007 Annata complessa, vino complicato ma non troppo, pur evidente uno stato di forma smagliante e certamente una maggiore consapevolezza da parte di Gerardo di ciò che andava plasmando. Il colore è luminoso perlopiù giocato su un giallo con evidenti sfumature oro; Il primo naso è più ricco del precedente, seppur paghi una fase iniziale maggiormente scomposta, poi, man mano sorprendente; qui si fanno inizialmente spazio un forte sentore di camomilla e mimosa passita ed evidenti note di frutta candita, albicocca in particolar modo. Alla lunga riprende poi, in maniera ancor più elegante, il quadro empireumatico del precedente, rimanendo su una caratterizzazione piuttosto incisiva. In bocca è ricco, prevale certamente la sfrontata morbidezza sulla carica acida, estremamente evidente, in questo millesimo più del precedente, così anche la sapidità, che diviene dopo una lunga ossigenazione, palpabile salinità. La macerazione sulle bucce in questo caso è stata protratta sino ai ¾ della fermentazione alcolica.
Campania bianco Strione 2008 Dei tre l’espressione meno fedele forse all’idea originaria, lontano al momento dalle caratterizzazioni dei primi due, ma senza alcun dubbio quella più elegante, nonché, alla lunga – con tutte le riserve del caso – il vino che si lascerà apprezzare di più per la sua evidente finezza. Di certo, bevuto oggi, con i parametri appena descritti del duemilasei e del duemilasette si lascia, per l’appassionato alla tipologia, ad una non facile interpretazione, poiché all’evidenza nel bicchiere di un deciso salto di qualità verso l’eleganza e la finezza non corrisponde al momento la voluttuosità dei precedenti; E’ chiaro che paga una annata non particolarmente felice, pertanto tanta cautela profusa in fase di vinificazione e quindi di macerazione; per qualche convenuto è un chiaro segnale di reinterpretazione, io credo più semplicemente il manifesto di un’annata fresca o quantomeno poco confacente alla lunga macerazione. Il colore è paglierino tenue, il naso è ancora troppo compìto per offrirsi a divagazioni sul tema, ma la spiccata matrice minerale lascia ben sperare, non mancano però interessanti note floreali e fruttate di agrumi. In bocca è secco, bello fresco e di prolungata persistenza gustativa, corroborante quasi. Anche qui è chiara l’essenziale sapidità che rimane per questo vino un marcatore ineludibile. In questo caso la macerazione sulle bucce è stata protratta al 50% della fermentazione alcolica, anche per questo sono proprio curioso di attenderlo per almeno tutto un anno ancora.
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