Uva: coda di volpe 80% falanghina 20%
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euroFermentazione e affinamento: acciaio e legno
Gli incontri inaspettati sono quelli che lasciano il sapore migliore in bocca. Si cerca di immortalarli assegnandogli una casella nell’archivio della mente, di sottolinearli con un qualche pennarello della memoria. Viene talvolta in soccorso una fotografia o un pensiero frettoloso buttato giù su un taccuino da ritrovare qualche anno dopo.
Il mio incontro con un Lacryma Christi bianco, nel corso di una edizione (l’ultima) di Cantine Aperte al Castel dell’Ovo, decisamente sottotono – soprattutto per l’assenza dei produttori che ne dovrebbero essere i protagonisti – ha dissipato le nubi di un pomeriggio domenicale piuttosto caldo e umido.
Dopo un giro di bicchieri del casertano segnato dalla bella sorpresa del nuovissimo rosato di Terre del Principe e qualche delusione sul fronte degli asprinio, avevo fatto un’incursione nel beneventano incappando nella buona barbera Repha’ el 2008 di Fattoria Ciabrelli, profonda e materica.
Mi avviavo lentamente all’uscita con la bilancia delle degustazioni, nell’insieme, pendente verso il basso, quando le due sommelier di servizio mi intercettano per l’ultimo goccio. Al banchetto in fondo, una di loro mi versa nel bicchiere un vino vesuviano del quale non faccio in tempo a scorgere l’etichetta. “Un Lacryma? C’è questo qua” mi fa.
Confesso che per un attimo mi ha sfiorato il pensiero che non toccasse a un Lacryma Christi pescato all’ultima ora, tirar su il piatto della bilancia del pomeriggio. Mi vedevo già precipitare nello sconforto.
Ma lei è troppo gentile e il Vesuvio troppo potente per dirgli no in faccia.
Lo accosto al naso e… Eureka: “eleganza!”. E’ paglierino carico, con riflessi dorati, luminoso e piuttosto consistente. Al naso ha un battito minerale evoluto ma per niente “stanco”.
Non ha grande intensità al naso ma una complessità che conquista, strappando esclamazioni di sorpresa a ogni olfazione. Un tappeto minerale, e sentori di ginestra, frutta matura ma non cotta. Un accenno fumè proprio elegante mi fa pensare a un vino francese di gran finezza.
Il tutto è discreto e sussurrato. In bocca mostra un bel dinamismo, con un giochino piacevole tra sapidità, freschezza e dolci note vellutate. Non una grande lunghezza, ma, tutto sommato, una decisa coerenza.
“Chi? Cosa?” sono le domande, ora. “Villa Dora” mi diranno. “C’è qualcosa di speciale, però, in questa bottiglia!…Qualcosa che mi sfugge”. La giro per dare un’occhiata alla retro etichetta è scopro l’arcano: ho tra le mani una notevole e sorprendente 2002.
L’azienda della famiglia Ambrosio, con Vincenzo, fondatore, e i figli Antonio, Francesca e Giovanna a coadiuvarlo, con la consulenza dell’enologo toscano Roberto Cipresso, lavora falanghina, coda di volpe, aglianico e piedi rosso su 13 ettari di proprietà, a Terzigno,
I vigneti coltivati sulle terre nere del Parco Nazionale del Vesuvio sono a circa 250 metri sul livello del mare.
“Che fantastica bottiglia!” mi dico. La prendo e, mentre il personale di servizio al castello, allo scoccare dell’orario di chiusura della sala, ci caccia invitandoci a restituire i calici, la porto via dall’isolotto di Megaride. Ho già un piano per lei.
Qualche settimana dopo, difatti, stupirò il gruppo di colleghi di Slow Food al lavoro sui Greco di Tufo alla Fabbrica dei Sapori convivendo questo goccio di una vendemmia di 8 anni fa. Insomma, lo confesso: è furto con scasso, con l’attenuante del movente passionale: sottolineare che il Lacryma Christi bianco a volte è un bicchiere elegante (l’annata infelice, poi, rifletterò, dà a questo bicchiere fisico da mannequin) e che può vivere anche a lungo.
Un’altra casella nell’archivio della memoria è stata messa al suo posto.
Questa scheda è di Monica Piscitelli
Sede a Terzigno, Via Boscomauro, 1.Tel. 081.5295016, fax 081.8274905. www.cantinevilladora.it
Ettari: 13 di proprietà. Bottiglie prodotte: 50.000. Vitigni: piedirosso, aglianico, coda di volpe, falanghina.
La precedente scheda di Lacryma Christi 2002 Villa Dora doc
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