Qualità della mozzarella e qualità della camorra

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

La sensazione diffusa fra i produttori di mozzarella, come del resto fra i vignaioli di Montalcino, è di essere precipitati in un burrone spinti dalla malvagità della stampa, forse da un complotto secondo il modo di pensare italico che ci trasciniamo dalla strage di Senigallia in poi come spiegazione più profonda quando non riusciamo ad inquadrare il razionale evidente al primo sguardo.Invece, il terzo consorzio più grande del Belpaese (dopo Parmigiano e Grana Padano) e il più forte nel mondo del vino hanno semplicemente dovuto affrontare la crisi prodotta dai rispettivi territori. Ovviamente si tratta di una qualità dei problemi assolutamente diversa perché nel caso toscano al centro della questione c’è l’ingordigia mercantile, come l’ha definita Jacopo Biondi Santi in una intervista che mi ha rilasciato al Mattino durante il Vinitaly (chi lo ha detto che i produttori non parlano? Basta interpellarli) mentre la questione in Campania è il controllo criminale di parte del territorio.L’aspetto più affascinante dell’enogastronomia è, come ben sa il cacciatore di prodotti e manualità Tommaso Farina, la possibilità di entrare nelle pieghe più segrete di una comunità, tanto che sovente un prodotto ne rappresenta il genius loci al pari della sua storia, di una chiesa o di un monumento. Nel caso della mozzarella, il formaggio più amato dagli italiani ha avuto il pregio di riflettere al tempo stesso il rinascimento napoletano e il suo declino soffrendo di una questione tutto sommato estranea alla filiera ma che ha finito per condizionarla in modo decisivo in questi giorni, è cioé quella del controllo della camorra su ampie fasce della regione.In una interessante analisi di qualche tempo fa, Goffredo Fofi leggeva l’ascesa al potere di Bassolino, e poi le sue difficoltà, come l’ennesimo tentativo della debole borghesia napoletana, cioé dell’unico ceto sociale legato al progetto di unità d’Italia con convinzione, di conquistare spazio fisico in città: quante più piazze e strade erano consegnate ai turisti e presidiate dalle forze dell’ordine tanto più il lumpen proletariat, i lazzari moderni in Kawasaki, erano costretti a ripiegare. In fondo il centro diventava un quartiere consegnato ad una banda particolare, lo Stato. Già, perché quello che distingue la criminalità organizzata nel Sud dal resto di Europa è la capacità di controllo del territorio e la contesa alla Stato moderno della prerogativa esclusiva di usare la forza: ciò è possibile non solo per l’aspetto, come dire, militare, ma anche perché alle spalle ci sono modelli capaci di costruire consenso di massa, luoghi comuni rovesciati rispetto alla legalità.La diossina nel latte, c’è o non c’è non ha importanza, riflette esattamente l’incapacità dello Stato di far rispettare la legalità, attraverso le sue articolazioni, in ampie fasce di territorio e, al tempo stesso, il consenso malavitoso fra la gente che per un motivo o per l’altro invece di denunciare gli scarichi abusivi e il traffico di rifiuti industriali preferisce farsi i fatti suoi per paura o perché alla fine ne è coinvolta.La questione poco compresa fuori dai confini regionali è tutta qui. Lo Stato moderno, banalizzo la lettura di Hobbes, è un patto fra i cittadini in base al quale l’uso della forza, prerogativa individuale dell’uomo, viene conferito a terzi, alla forza pubblica che lo esercita in nome e per conto di tutti garantendo in cambio il rispetto delle regole che la comunità si è data. Al Nord l’insoddisfazione verso Roma nasce dalla percezione di insicurezza sociale. Un sentimento assente da Roma in giù dove paradossalmente la vita è molto più a rischio, ma qui non c’è la repulsione etnica a fare da coagulante politico, niente ronde, ci pensa già la camorra a controllare i quartieri. In Campania, in Calabria e in Sicilia l’uso della forza non è prerogativa esclusiva statuale, bensì di una pluralità di soggetti e dunque lo scontro è continuo, starei per dire infinito perché alla fine anche pezzi dello Stato hanno convenienza in questa situazione grigia. Insomma, al Nord c’è voglia di riappropriarsi di questa prerogativa perché non è garantito il servizio, al Sud il problema non si pone perché dal brigantaggio in poi la statualità piemontese è sempre stata un’anatra zoppa.C’è però una differenza profonda fra le diverse forme di criminalità al Sud: mentre la mafia e la ‘ndrangheta hanno una gerarchia piuttosto solida che le ha consentito un salto qualitativo dei traffici, cioé dalla ruralità alla globalizzazione, la camorra è un insieme di piccoli clan diffusi sul territorio, una organizzazione facilmente permeabile in genere costituita da un capo clan e dalla sua famiglia che si regge grazie all’uso continuo della pressione militare sul territorio, non c’è un progetto di costruire qualcosa di veramente più grande che vada al di là della punta del proprio naso. Gli ultimi a pensare lungo sono stati i camorristi degli anni ’80, da un lato Cutolo, dall’altro il clan Alfieri-Galasso, non a caso emersi nel momento di massima difficoltà dello Stato al Sud, nel dopoterremoto. Da giovane cronista giudiziario li ho visti spesso nelle aule dei tribunali: veri capi, politici di razza in confronto a queste mezze calzette che invece di lavorare infestano i canali televisivi la sera.Questo dimostra il livello qualitativo attuale molto basso della camorra, la sua banalità brutale, la sua voglia di punire con la pena massima, l’omicidio, anche lo sgarro più piccolo, incurante del clamore e della reazione dello Stato perché i numeri del fenomeno sono impressionanti e il consenso al modello travalica chi vive nella illegalità dichiarata per tracimare anche fra coloro i quali non commettono formalmente reati.Immaginate gli americani nel triangolo sunnita: possono un giorno entrare con i carri armati, distruggere Falluja, ma sono incapaci di conservare il controllo del territorio se non scendendo a patti con clan e tribù. Questa è, più o meno, la situazione in un territorio compreso fra la periferia della città fino alla piana Aversana e Casertana. Qui, non a caso, ci sono le discariche inquinanti, la dimostrazione di una criminalità stracciona e ignorante perché una mafia seria non inquina i luoghi dove nascono e vivono i propri figli, ma si pone magari il problema di organizzare un traffico intenazionale di rifiuti, meglio se fuori dai riflettori dei media occidentali.La mozzarella, emblema del territorio campano negli ultimi anni più della pasta, paga a livello di immagine precisamente questa situazione di ingovernabilità. Ci sono delle colpe specifiche nella filiera, dei ritardi culturali pazzeschi, io stesso ho fatto l’esperienza più sconfortante proprio incrociando questo settore dove a volte i comportamenti sono naif e protocommerciali, ma il punto vero della questione è che in Campania si è costretti a convivere in questa situazione di guerra civile a bassa intensità per usare il titolo di un libro di Lucia Annunziata. In fondo, uno o due morti al giorno sono pochi rispetto alle vittime degli incidenti d’auto, ci si abitua, l’omicidio fa titolo solo nei quotidiani o nelle edizioni locali.C’è una via di uscita oltre a quelle normali, ossia controlli e qualità? Ulisse e Polifemo si scambiano colpi continui, quando l’uno sembra prevalere l’altro improvvisamente tira fuori un trucco e ribalta la situazione, è questa la dialettica all’ombra del Vesuvio da molti decenni. Così come è difficile mettere insieme una organizzazione criminale di respiro lo è anche creare associazioni e consorzi che funzionino, soprattutto le nuove generazioni stanno subendo un processo di americanizzazione pazzesco che restringe al loro ambito individuale fisico il massimo del progetto della propria vita. “Io penso a me, degli altri non mi frega niente”, un atteggiamento diffuso e invasivo in ogni ambiente, compreso in quello del vino. Come dire, Napoli ha avuto industrie senza capitalismo, ha anche individualismo greco senza modernità occidentale.In fondo, è questo il suo fascino. Già, perché state tranquilli che qui solo dalle crisi profonde nascono i progetti seri. Nascerà, già sta accadendo, un equilibrio di tipo diverso e la mozzarella continuerà ad essere buona e sicura.


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