di Raffaele Mosca
Un quartetto di vini sorprendenti e poco conosciuti da un tour tra costa barese, Valle d’Itria e Salento:
Colli della Murgia – Sellaia Rosato Puglia Igp 2021
Dalla buona selezione di vini regionali de La Uascezze, osteria nascosta tra i vicoli di Bari Vecchia, pesco questo rosato sbarazzino di un’ azienda biologica nella Puglia meno battuta. E’ chiaro ma non diafano, puntuale nel proporre i connotati speziati del vitigno abbinati a peonia, ribes e un accenno di timo. Il sorso ha la tenacia tipica del Primitivo coltivato sopra i 500 metri, sui suoli pietrosi dell’ Alta Murgia. E’ snello, tonico di arancia amara e zenzero piccante, molto saporito. Un accenno di tannino rafforza l’ effetto sgrassante e facilita il passaggio da riso, patate a cozze a una tiedda con cicoria, caciocavallo e pancetta.
Marco Ludovico – Verdeca 2022
Tra Valle d’Itria e bassa Murgia è partita una rivoluzione bianchista che ha come protagonista la Verdeca, autoctono che, sulle terre bianche degli altipiani carsici, dà vita ai vini più freschi e slanciati di tutta la regione. Marco Ludovico ce ne propone una versione centrata nella sua essenzialità: da vigne condotte in regime biologico, fermentata con pied de cuve, può ricordare un Verdicchio un po’ ruspante con il suo naso tutto incentrato su mela limoncella, mandorla amara, erbe aromatiche e un’idea iodata. Di tensione e precisione quasi nordiche, ma con energia più sapida che acida a ricordarci dove siamo, è stato un compagno perfetto per le linguine allo scoglio leggermente piccanti, il fragolino alla griglia e i gamberi rossi della Taverna del Porto di Tricase (LE).
Amalberga – Ostuni Ottavianello 2019
Lo sapevate che il Cinsault, vitigno assai diffuso nel sud della Francia e genitore del Pinotage sudafricano, vanta una storia centenaria nell’Alto Salento? Lo ha introdotto il marchese di Bugnano, originario di Ottaviano (NA), e si è diffuso in particolar modo nell’agro di Ostuni, dove esiste una DOC apposita. Tra i pochi a rivendicarla c’è Amalberga, azienda agricola collegata ai ristoranti Osteria Monacelle e AMA, due porti sicuri nella bolgia di locali spennaturisti che invadono il centro di Ostuni. Niente di meglio da abbinare alla cucina casereccia e sostanziosa della seconda insegna, che offre anche una terrazza con affaccio sui tetti della città bianca. Acidità discreta, alcol proporzionato e tannini accondiscendenti rendono l’ Ostuni Ottavaniello molto più scorrevole e versatile del solito Primitivo bodybuilder o dei tanti Susumaniello con evidenti segni di sovramaturazione. La parte aromatica è molto allettante e ricorda proprio i vini del Rodano e dintorni con questo intreccio di pepe fresco di macina, garriga, viola appassita e marasca che s’intensifica nel matrimonio con le braciole al sugo.
L’Astore Masseria – Alberelli di Negroamaro 2007
Che fine ha fatto il buon vecchio Negroamaro? Nelle cantine dei ristoranti salentini sembra quasi scomparso: surclassato da Primitivo e Susumaniello anche tra i rosati. Bisogna andare da Osteria degli Spiriti, forse il ristorante con la carta dei vini di maggiore spessore a Lecce, per trovarne un assortimento degno di nota. Il patron Piero Merazzi ha pensato di bene di mantenere un buon numero di vecchie annate a prezzi onesti. Graticciaia e Le Braci sono in prima linea, ma c’è anche questa chicca semi-sconosciuta da vigna ad alberello piantata nel 1947. Un piccolo capolavoro che, al pari del Piromafo di Cantine Fiorentino di cui ho scritto poco tempo fa, mette in luce il potenziale evolutivo di un vitigno perennemente sottovalutato. Il colore è ancora è ancora compatto e giovanile; tabacco, liquirizia e humus la fanno da padrone sulle prime, ma il frutto è ancora intonso e dona immensa piacevolezza a una bocca reattiva e vellutata allo stesso tempo. Ha raggiunto il suo picco e sta bene con i formaggi stagionati o, rimanendo in tema di cucina salentina, con le sagne ‘ncannulate con la ricotta forte.
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