di Lorenzo Colombo
Il vino che andiamo ad assaggiare per la rubrica settimanale InvecchiatIGP è di un’azienda che purtroppo non esiste più, la Bellaria di Paolo Massone.
Cominciamo dal nome, un aneddoto, raccontato da Gianluca Ruiz de Cardenas, produttore oltrepadano, amico di Paolo Massone la cui azienda risiede nella stessa frazione, Mairano, del comune di Casteggio, dove ha (aveva) sede anche la Bellaria.
Dunque Ruiz de Cardenas, grande appassionato di Borgogna e di Pinot nero, sostiene che il nome La Macchia sia stato da lui suggerito a Paolo in quanto traduzione dal francese di La Tache, Grand Cru del comune di Vosne-Romanée, nella Côte de Nuits, nonché monopole di Romanée Conti.
Cosa curiosa, dato che La Macchia è prodotto con uve Merlot.
L’azienda Bellaria
Un documento, presso la camera di commercio di Pavia, attesta che l’azienda è stata condotta, sin dal 1840, dalla famiglia Massone, Paolo Massone, che è stato anche presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, l’ha gestita sino al mese d’agosto 2019, anno in cui l’ha poi venduta.
La Nuova Bellaria è il nome che è stato dato all’azienda dai nuovi proprietari, la famiglia Zaffarana e Federperiti, Filippo Zaffarana è infatti co-fondatore, nel 1992 di questa associazione, nonché suo presidente da oltre vent’anni.
L’azienda è stata trasformata in Resort, pur continuando la produzione di vino, che però non viene commercializzato sugli usuali canali di vendita, ma è possibile acquistarlo unicamente in azienda.
Il vino
La Macchia veniva prodotto con uve Merlot provenienti da un vigneto messo a dimora nel 1990 su suoli di natura argillosa, allevato a Guyot con densità d’impianto di 5.000 – 6.000 ceppi ettaro.
La prima annata di produzione è stata la 1997, anno in cui, per puntare sulla qualità assoluta del vino s’è passati da una produzione media per ceppo si quattro chilogrammi ad una di 1,5 chilogrammi tramite drastici diradamenti.
L’ultima annata di produzione del La Macchia è stato il 2005, anno infausto per Paolo Massone, che in un solo anno ha vissuto la perdita di più familiari.
Nel 2019, come sopra specificato la decisione sofferta di vendere, anche perché i figli avevano scelto un’altra strada.
Ora Paolo, col quale abbiamo avuto una conversazione telefonica alcuni giorni fa collabora col vecchio amico Gianluca Ruiz de Cardenas nella sua azienda.
Al telefono ci ha detto che le annate migliori per i suoi vini sono state quelle a cavallo degli anni 2000 ed in effetti, consultando una vecchia guida abbiamo constatato che La Macchia 2000 aveva ricevuto il prestigioso riconoscimento dei 2 Bicchieri Rossi dalla guida Vini d’Italia del Gambero Rosso-Slow Food, non ci resta quindi che provarlo, se riusciremo a scovare qualche bottiglia di quell’annata, a tal proposito, nella ricerca nella nostra cantina abbiamo scovato un Bricco Sturnèl 1998, Cabernet sauvignon con l’aggiunta di un 20% di Barbera, ci ripromettiamo quindi d’assaggiarlo quanto prima.
L’assaggio
La bottiglia, tenuta rigorosamente coricata per anni in cantina, si presentava nuda, sia l’etichetta che la controetichetta erano integre ma completamente staccate, l’apertura s’è rivelata un poco laboriosa, siamo infatti riuscire a togliere il tappo in tre steps.
La prima impressione, vedendo il tappo quasi completamente colorato dal vino, non è stata delle migliori, comunque lo stesso non denotava alcun segno olfattivo di degradazione.
Scaraffando il vino ecco un altro buon segno dato dal colore ancora molto bello, data l’età, granato di buona intensità con unghia leggermente sfumata verso l’aranciato.
Integro al naso, discretamente intenso, elegante ed ampio, con frutto ancora in evidenza (ciliegia matura e prugna), si colgono in sequenza note balsamiche, accenni di sottobosco e spezie dolci, vaniglia, sentori di noci, sbuffi di pepe.
Dotato di discreta struttura, asciutto, con trama tannica ancora in bell’evidenza, legno ancora presente ma ben integrato ed assolutamente non fastidioso (ricordiamoci che eravamo negli anni dove l’uso del legno, barriques soprattutto, era gestito con disinvoltura), morbido ma con buona vena acida, accenni di caffè in polvere, cioccolata calda, vaniglia e poi ancora la frutta rossa, lunga la sua persistenza su sentori di liquirizia.
Un grade vino del quale sentiamo la mancanza.
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