Noi italiano siamo magnifici. Digiti Prosek e Google ti regala come primo articolo un pezzo di Cook del Corriere che ci spiega che il Prosek croato è assolutamete differente dal nostro prosecco perchè si tratta di un vino ambrato, strutturato e secco mentre il prosecco è uno spumante ottenuto, nella stragrande maggioranza dei casi, con il Metodo Martinotti. E poi, conclude l’articolo di Cook, la dimensione dei volumi è davvero enorme fra le due produzioni.
In un paese dove qualcuno può andare in un convegno al Senato e dire che il Covid non esiste o dove politici alla rincorsa dei voti arrivano a dire che i vaccini producono le varianti del virus (per fortuna con il vaiolo e tante altre malattie non è sucesso, siamo stati fortunati), tutto può accadere. Anche comprare dei pop corn ed assistere seduti in poltrona alla disputa europea fra Prosecco e Prosek.
Questa vicenda è veramente la cartina da tornasola dei problemi che il nostro Paese si tira dietro da anni, primo fra tutti quello di non saper difendere le eccellenze della nostra agricoltura sia nelle sedi istituzionali europee e mondiali che sul piano commerciale.
Vogliamo ricordare due clamorose sconfitte italiane, così tanto per ricordare che non possiamo usare il metodo Champnois che si scriveva nelle nostre bottiglie metodo classico perchè i Francesi ci hanno imposto il divieto europeo in quanto è un termine assonante con Champagne.
E il termine Tocai? Usato da secoli dai nostri viticultori friulani (si da secoli, proprio come i oggi i croati dicono di chiamare il loro vino Prosek), anche questo impossibile da usare su diktat europeo perchè il paese di Orban ha sostenuto che faceva concorrenza al tokai ungherese.
Il tema della piccola quantità. Non potrò mai dimenticare il caso di un piccolo viticolture irpino inseguito da agguerriti studi legali perchè aveva usato, a loro dire, il colore della copertina simle allo Champagne della Moet. Come se si potesse confondere un Brut Contadino con lo Champagne. Eppure il nostro viticultore ha fatto marcia indietro.
La lezione che ho imparato da questa vicenda è che il nome di un prodotto si difende casa per casa nel mercato globale e noi italiani dovremmo essere specializzati in questa difesa visto che è stato calcolato che il sounding del Made in Italy produce 80 miliardi di euro ogni anno di contro ai 70 delle nostre esportazioni. Vero è che noi siamo i primi falsari di noi stessi e non dobbiamo stupirci più di tanto.
L’Agricoltura non è mai stata teuta in considerazione da partiti le cui ideologie sono nate nel tessuto urbano (comunismo, fascismo, socialismo, catolicesimo popolare, liberismo) e lo abbiamo visto in occasione del lockdown. Di fronte alla riciesta di un pugno di produttori croati che vogliono usare un nome perfettamente uguale al Prosecco, cos verrà percepito dal 99%della popolazione mondiale, ossia tutti tranne gli italiani e i croati il nostro paese dovrebbe sviluppare tutta la sua potenza di fuoco diplomatica, istituzionale e legale per tutelare la sua doc più importante che impone ogni anno oltre mezzo milioni di bottiglie in tutto il mondo.
Mi auguro che questo avvenga.
Vuol dire che i produttori dalmati cambieranno nome così come hanno fatto i friulani con Tocai e i trentini e i franciacortini con Champenois. Se il prodotto è davvero buono, andranno avanti.
Speriamo che il nostro Paese in Europa batta le scarpe sui banchi, come fece Kruscev all’Assemblea dell’Onu e che non faccia di una eccellenza italiana la solita merce di scambio per fare debito o favorire l’industria metalmeccanica o compagnie aeree in via di estinzione.
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